Vita di San Pio X



Articolo della Fraternità San Pio X








Giuseppe Sarto, nato il 2 giugno 1835

Giuseppe Sarto, più conosciuto come Papa Pio X, nacque il 2 giugno 1835 a Riese, un paese di 4.500 abitanti in provincia di Treviso. Qui i suoi genitori: Giovan Battista Sarto e Margherita Sanson, contrassero matrimonio il 13 febbraio 1833 nella chiesa parrocchiale di San Matteo. Nella stessa chiesa venne battezzato il piccolo Giuseppe il giorno dopo la nascita.

Di famiglia modesta, il padre, Giovan Battista, lavorava come ufficiale giudiziario comunale; la madre, Margherita, era una sarta. Dalla loro unione nacquero dieci figli: Giuseppe, Giuseppe, Angela, Teresa, Rosa, Antonia, Maria, Lucia, Anna e Pietro. Ma il primo e l’ultimo (Giuseppe e Pietro) morirono subito dopo la nascita, ed ecco perché il secondo nato venne battezzato col nome di Giuseppe.

Come in tutte le modeste famiglie numerose, la famiglia Sarto doveva fare attenzione alle spese perché le entrate erano limitate, ma tutti si affidavano alla volontà del Signore, contenti di quello che il Signore forniva loro ogni giorno.

Sposa e madre esemplare, Margherita si sforzava di insegnare ai suoi figli le virtù cristiane che lei stessa aveva appreso dai suoi genitori.

E’ in questa atmosfera che crebbe il piccolo Giuseppe. Spesso andava pregare al Santuario di Cendrole, a un chilometro da Riese, poiché già dalla giovane età nutriva una speciale devozione per la Santa Vergine. Non mancava mai né al Catechismo né alla Messa. Per lui era una gioia assistere alle funzioni e servire all’Altare come chierichetto.
A casa si dilettava di costruire con i suoi fratelli dei piccoli altari, dove, con una semplicità infantile, si esercitava a seguire le cerimonie della chiesa. Questi atti di ingenua pietà alimentavano nel suo cuore i germi di quella vocazione che un giorno farà di lui il santo Papa che conosciamo.

Il suo vivo interesse per il Catechismo e la Messa attrasse l’attenzione di Don Fusarini, il parroco che l’aveva battezzato. Quando finì, con successo, gli studi elementari, frequentò come esterno, per i suoi studi secondari, dal 1846 al 1850, il collegio di Castelfranco Veneto (a 7 chilometri da Riese): qui apprese il latino.

Giuseppe Sarto fu cresimato il 1 dicembre 1845 nella Cattedrale di Asolo e fece la sua prima Comunione il 6 aprile 1847.

Sia d’estate che l’inverno, Giuseppe percorreva a piedi due volte al giorno la strada che portava in collegio, con un pezzo di pane in tasca per la colazione. Eccellente allievo, egli era sempre il primo. Dopo un brillante successo agli esami, voleva entrare i Seminario perché si sentiva chiamato al sacerdozio.
I suoi genitori non erano in grado di affrontare le spese per pagargli gli studi: le magre entrate bastavano appena a far vivere la numerosa famiglia e rendevano impossibile affrontare spese supplementari.

La preghiera e la fiducia nella Divina Provvidenza apportarono aiuto alla famiglia: il Patriarca di Venezia dispose numerose borse di studio per il Seminario di Padova, a favore dei giovani che aspiravano al sacerdozio.
Il cardinale Jacopo Monico, originario di Riese, venne informato dal parroco del caso difficile della famiglia Sarto e le assegnò volentieri una di tali borse di studio.


Dal Seminario di Padova alla parrocchia di Salzano

Il giovane Giuseppe entrò in Seminario nell’autunno del 1850 e vi rimase per otto anni.
I suoi Superiori conservarono di lui un buonissimo ricordo. Ben presto, egli divenne per i suoi condiscepoli un modello di umiltà e semplicità; virtù che seppe sempre coniugare con una grande fermezza di carattere. Maestri ed allievi apprezzavano la sua intelligenza, ma per lui questo non fu un motivo di vanità e anzi cercava di evitare di apparire. 

A Riese, tutti conoscevano la situazione molto modesta della famiglia Sarto. Benché accolto gratuitamente in Seminario per quanto riguarda la pensione, i genitori dovevano pensare alle spese per l’abbigliamento, per l’acquisto dei libri e per quanto serviva ad un allievo del Seminario. Alcune famiglie, che stimavano ed amavano il giovane Sarto, fornirono un po’ di denaro per tali spese.

Il 4 maggio 1852, una disgrazia venne a turbare la gioia di Giuseppe Sarto: la morte del padre, che fece cadere la famiglia in una situazione economica più che drammatica.
Il questa dolorosa circostanza, Don Fusarini, arciprete, fu veramente l’angelo consolatore: egli assicurò al padre morente che avrebbe continuato ad aiutare il figlio Giuseppe negli studi e, se necessario ad alleviare la miseria della famiglia. Così, il giovane seminarista si mise nelle mani di Dio e si affidò alla Sua divina volontà in spirito di sacrificio.

L’attenzione del giovane Giuseppe era rivolta alla musica e al canto della Chiesa, tanto che i suoi Superiori lo nominarono maestro di cappella al Seminario.
Alla fine dell’anno scolastico 1857-58, Giuseppe Sarto ultimò i suoi brillanti studi.

Il 18 settembre 1858 fu ordinato sacerdote. L’ordinazione avvenne nella Cattedrale di Castelfranco, e l’indomani, assistito dal parroco di Riese, canto con grande devozione la sua prima Messa, nello stesso posto in cui era stato battezzato. Poco dopo, Don Giuseppe fu nominato vicario a Tombolo.

Nel mese di maggio del 1867, all’età di 32 anni, fu nominato arciprete di Salzano, dove rimarrà per nove anni. Le sue entrate finanziarie qui erano più cospicue, ma servivano per i poveri e gli ammalati. Egli pensava a tutti, tranne che a sé stesso, solo felice per quello poteva fare per il prossimo.

In nove anni, egli guadagnò i cuori dei parrocchiani, con la sua parola, i suoi atti e l’esempio di una vita santa.


Da canonico e vescovo di Treviso al cardinalato e al patriarcato di Venezia

Treviso è a 30 chilometri da Venezia. Nel 1875, nella cattedrale di Treviso si trovarono vuoti tre posti di canonico. Il vescovo pensò dunque all’arciprete Sarto, di cui apprezzava le eminenti qualità di spirito e di cuore.
Saputo che il vescovo voleva nominarlo canonico, egli chiese di esserne dispensato, ma invano. Così, il 21 luglio 1875 si recò nella Cattedrale di Treviso per prendere possesso del suo canonicato.

Quando entrò in funzione come Direttore Spirituale, il Seminario contava 230 allievi, di cui 70 chierici.

Anche a Treviso, Mons. Sarto distribuiva in elemosine buona parte delle sue entrate. Egli voleva che nessuno lo sapesse, secondo le parole del Vangelo: «La vostra sinistra non sappia ciò che fa la destra» (Mt. 6, 3); ma anche se agiva in segreto, ben presto si seppe che aiutava i seminaristi poveri: che pagava ad alcuni la tonaca, ad altri il cappello, a molti i libri.

Per quanto fosse caritatevole con gli altri, con sé stesso era severo: egli si preoccupava poco dei suoi abiti e delle sue scarpe.
Che bell’esempio di carità per il prossimo!

Dopo la morte di Mons. Zinelli, il 24 novembre 1879, ebbe l’incarico di governare la diocesi di Treviso, dal 27 novembre 1879 al 23 giugno 1880.
Questo breve tempo gli bastò per fare molto: predicava più del solito, raddrizzava le cattive abitudini, introdusse le riforme che le Costituzioni Apostoliche permettevano di fare ai vicari capitolari; ma la sua più grande preoccupazione fu che il popolo fosse educato alla religione, i bambini catechizzati e preparati con cura alla Prima Comunione.

I molti meriti di quest’uomo di Dio, le sue notevoli virtù, la sua santità di vita, il suo zelo per la salvezza delle anime, la sua competenza nel governo della diocesi di Treviso, erano cose note al Papa Leone XIII, che volle testimoniargli la sua fiducia nominandolo vescovo di Mantova nel Concistoro del 10 novembre 1884.

L’umile Giuseppe Sarto, lungi dal gioirne, considerò questa nomina come una disgrazia e scrisse addirittura al Vaticano perché fosse revocata, dichiarandosi indegno di tale onore e incapace di portare un simile fardello; ma la sua richiesta fu respinta.
Partì quindi per Roma, dove la Domenica 16 novembre 1884, giorno dedicato al patrocinio della Vergine Maria Immacolata, protettrice di Mantova, venne consacrato vescovo nella chiesa di Sant’Apollinare. 

Il 25 febbraio 1885, Mons. Sarto, ottenne l’exequatur alla Bolla Pontificia che lo nominava vescovo di Mantova; e il 18 aprile 1885 entrò solennemente nella città tra gli applausi della folla gioiosa e al suono delle campane della città.

Per gli uomini destinati a grandi cose, le vie della Provvidenza sono spesso misteriose. Mons. Sarto dovette affrontare molte difficoltà; la sua nuova funzione si presentava tutta ritta di spine: c’erano numerose riforme da fare, ma egli si mise al lavoro con una inalterabile fiducia in Dio.

Si occupò innanzi tutto del clero, allo scopo di rilanciare le vocazioni; chiese che ognuno secondo le sue possibilità venisse in aiuto ai seminaristi, da cui dipendeva la speranza di un avvenire migliore per la diocesi. Il risultato fu positivo, poiché il numero dei chierici crebbe fino a 147.

Mons. Sarto ebbe particolarmente a cuore la formazione dei seminaristi nello spirito sacerdotale, nello zelo per la salvezza delle anime, fino al sacrificio di sé stessi. Di ogni giovane che desiderava entrare in Seminario, egli voleva sapere se aveva veramente la vocazione, se era pio, se frequentava i sacramenti, se pregava… In breve, egli desiderava dei veri futuri sacerdoti per la Chiesa.

Di fronte alla trascuratezza che già all’epoca albergava in certe parrocchie, egli decise di tenere un Sinodo diocesano al termine del quale vennero pubblicate alcune prescrizioni relative all’istruzione religiosa del popolo:

- Spiegazione del Vangelo ogni Domenica;

- Preparare meglio i ragazzi alla Prima Comunione;

- Creazione di circoli e associazioni cattoliche di giovani, per tenerli lontani dai pericoli;

- Riorganizzazione delle Confraternite.

Questo Sinodo può essere considerato il punto di partenza per la restaurazione morale e religiosa di tutta la diocesi di Mantova.

Dopo la morte del Cardinale Patriarca di Venezia, Domenico Agostini, il Papa Leone XIII, il 12 giugno 1892, nominò Giuseppe Sarto a succedergli. Ancora una volta egli chiese di essere dispensato da queste funzioni, ma invano, e si sottomise alla volontà di Dio.

Nell’ottobre dello stesso anno, egli andò a rivedere la sua amata madre e la sua città natale e battezzò un gran numero di bambini. Fu l’ultima volta che abbracciò la sua cara mamma: ella rese la sua bella anima a Dio nel febbraio dell’anno seguente; la perdita della madre gli causò un gran dolore.

Il 25 novembre 1894, egli officiò pontificalmente per la prima volta nella Basilica di San Marco a Venezia.
Il nuovo Patriarca riceveva ogni giorno chiunque avesse bisogno di lui e amministrava il sacramento della Cresima. Nato povero, egli visse sempre povero in spirito, pieno di pietà per le sofferenze degli sfortunati; era sempre pronto a soccorrere quelli che si rivolgevano a lui. Si può dire che nessuno bussava invano alla sua porta, senza essere aiutato.

Spesso visitava gli ospedali, i manicomi e le prigioni. Lo zelo e l’attività del Cardinale Sarto non conoscevano limiti quando si trattava di alleviare ogni sorta di miseria umana.

Lo stemma di Mons. Sarto era: «D’azzurro, all’ancora tridente d’argento sopra un mare in tempesta, illuminata da una stella d’oro».





I tre rami dell’ancora simboleggiavano la fede, la speranza e la carità: «che teniamo saldamente ancorate alla nostra anima come un’ancora sicura e ferma (Ebrei XIV, 19): la stella ricordava Maria, Stella del Mare.
Divenuto Patriarca di Venezia, egli aggiunse al suo stemma il Leone Alato che tiene il Vangelo, che rappresenta l’Evangelista Marco, Patrono principale dell’augusta città, con queste parole: « Pax tibi Marce evangelista meus ! ».
Divenuto Papa, San Pio X conservò il Leone nel suo stemma e aggiunse solo le insegne del Sommo Pontificato.


Elezione al Sommo Pontificato

Il 20 luglio 1903, Leone XIII rese l’anima a Dio. Qualche giorno più tardi, il 26, il cardinale Sarto lasciava Venezia per partecipare al Conclave.
I 64 Cardinali elettori erano quasi tutti presenti a Roma per l’inumazione del Papa Leone XIII, che ebbe luogo sabato 25 luglio 1903 nella Basilica del Laterano.

Essi si riunivano ogni giorno in congregazione sotto l’autorità del Cardinale Louis Oreglia di Santo Stefano, vescovo di Ostia e Velletri, decano del Sacro Collegio e Camerlengo.
L’inizio del Conclave fu fissato per venerdì 31 luglio alle ore 17,00.

Dopo la morte di Leone XIII, i pronostici andarono moltiplicandosi negli ambienti giornalistici, diplomatici ed ecclesiastici.
Sui 62 Cardinali presenti alla fine, 58 provenivano dalle grandi potenze europee dell’epoca (Italia, Francia, Austria-Ungheria, Germania e Spagna).
I «papabili» citati più sovente erano:
- Il Cardinale Mariano Rampolla, ex Segretario di Stato dell’ex Papa, arcifavorito e sostenuto dai «partiti» francesi, spagnolo e russo;

- Il Cardinale Girolamo Gotti, ex Prefetto della Congregazione della Propaganda della Fede (missioni), carmelitano, sostenuto principalmente dai «partiti» tedesco e austriaco;

- Il Cardinale Serafino Vanutelli, ex Gran Penitenziere che aveva i favori dei «partiti» tedeschi; ma egli aveva un fratello ugualmente Cardinale, Vincenzo, cosa che faceva pensare ad un possibile pontificato «nepotistico»;

Il Cardinale Giuseppe Sarto, Patriarca di Venezia, che non era tra i grandi favoriti, ma che era una personalità molto popolare in Italia e nella Chiesa della Penisola.

Quindi, il venerdì 31 luglio alle ore 17,00 si formò la processione solenne dei Cardinali per l’ingresso nella Cappella Sistina.
Ogni Cardinale aveva diritto a due accompagnatori.
Il Cardinale Sarto si fece accompagnare dal suo segretario, Mons. Giovanni Bressan, come conclavista, e dal conte Stanislao Muccioli come accompagnatore, «guardia nobile».

Su ogni lato della Cappella erano predisposti gli stalli dei Cardinali; ognuno sormontato da un baldacchino. Quando il nuovo Papa avrebbe accettato la scelta delle urne, tutti i baldacchini sarebbero stati abbassati, tranne quello dell’eletto.

Il Conclave si svolse sotto la guida del Cardinale Oreglia, Decano, assistito da un segretario del Conclave: Monsignor Raffaele Merry del Val, arcivescovo metropolita in partibus di Nicea, Presidente dell’Accademia dei Nobili Ecclesiastici; da un governatore del Conclave, Mons. Cagiado de Azevedo; e da un maresciallo del Conclave, il Principe Mario Chigi.

Dopo la prestazione individuale del giuramento di entrata in Conclave, i Cardinali andarono ad occupare le loro celle, il Cardinale Sarto occupava la camera n° 57 al terzo piano del palazzo.
Poi i Cardinali si ritrovavano per pregare insieme. Alle ore 20,00, i cerimonieri percorsero i corridori per gridare il terzo extra omnes (tutti fuori), mentre i Cardinale Oreglia e i suoi assistenti verificarono che tutte le porte fossero chiuse e che tutte le aperture fossero murate.

A questo punto i cardinali erano soli con l’assistenza dello Spirito Santo per eleggere il Successore di Pietro.

Da quando era sacerdote, Giuseppe Sarto dormiva solo 4-5 ore a notte, e forse anche da quando era in Seminario. Cosa intendeva quindi quando la mattina di sabato 1 agosto 1903, dopo la sua prima notte nella cella del Conclave, confidò al suo segretario, Mons. Bressan, di non essere riuscito a dormire e di aver passato gran parte della notte in preghiera?

Al mattino, dopo essersi lavati e aver fatto colazione, eventualmente con servitori e barbiere, sotto l’autorità delle loro guardie nobili, i cardinali si riunirono nella Cappella Sistina per assistere «in comunione» ad una Messa celebrata dal Cardinale decano e prendere la Comunione dalla sua mano.

In seguito iniziarono i lavori per il primo voto. Il Cardinale Sarto era seduto al suo stallo, al suo fianco, a sinistra, secondo l’ordine protocollare, vi era il Cardinale Angelo di Pietro, ex Prefetto della Congregazione del Concilio; alla sua destra vi era il Cardinale Domenico Stampa, Arcivescovo di Bologna.

Egli compilò accuratamente la scheda elettorale, di 15 cm per 12 cm, sulla quale figurava il suo numero e il suo motto (Instaurare omnia in Christo). In bella calligrafia scrisse il nome di colui che aveva scelto, poi firmò dove indicato, ripiegò i lembi del suo documento di riconoscimento, lasciando apparire solo il nome scelto.

Quando fu il suo turno, il cardinale Sarto si alzò e si diresse verso l’Altare in fondo alla Cappella Sistina, sotto il monumentale affresco del «Giudizio Universale» di Michelangelo. Davanti all’Altare, che reca un Crocifisso, prestò il giuramento prima della votazione, poi appoggiò la sua scheda sulla patena di un grande calice, la fece scivolare nel calice, rimise la patena sul vaso sacro e tornò al suo posto nello stallo.

Fuori, davanti alla Basilica di San Pietro, si era radunata la folla che scrutava con attenzione e impazienza la scarna canna fumaria della Cappella Sistina. Ma si sapeva che era molto improbabile che il nuovo Papa fosse eletto a questo primo scrutinio.
Alla fine della mattinata, verso le 11,30, apparvero i primi sbuffi di fumo che divennero una fumata nera: nessun Cardinale aveva ottenuto i due terzi dei voti necessari per la sua elezione. Alla fine del pomeriggio, dalla canna fumaria fuoriuscì ancora la fumata nera.

Gli scrutini della giornata corrispondevano alla lista dei «papabili», salvo quanto riguarda il Cardinale Serafino Vanutelli che non ottenne un punteggio significativo.
I risultati spinsero il Cardinale Sarto a rivolgersi scherzosamente in latino al Cardinale Lecot, arcivescovo di Bordeaux: «Vogliono giuocare col mio nome! Ma ancora una volta il dito di Dio è stato puntato contro il contadino figlio di Riese, l’uomo che molti, a partire da lui stesso, hanno definito un «semplice parroco di campagna».

La Domenica 2 agosto 1903, la mattinata era andata bene, ma il voto era ancora inconcludente. Il Cardinale Rampolla ottenne lo stesso punteggio del giorno precedente, 29 voti, ma il Cardinale Gotti ne ottenne di meno (9 voti) a profitto del Cardinale Sarto, che totalizza 21 voti.

Nel pomeriggio arrivò il primo tuono sul Conclave: il Cardinale Puzyna Kniaz de Kozielsko, principe arcivescovo di Cracovia in Polonia, allora sotto il dominio austriaco, lesse una dichiarazione dell’Imperatore d’Austria e Re d’Ungheria, Francesco Giuseppe, che dichiarava un «veto di esclusione» contro il Cardinale Rampolla.
Il Cardinale Rampolla si alzò in piedi e rispose con calma che in nome del principio protestava «contro l’attacco alla libertà e alla dignità del Sacro Collegio» e quindi manteneva la sua candidatura. Ma per quanto riguarda la sua persona, «non mi sarebbe potuto accadere nulla di più piacevole e onorevole».

Il Cardinale Oreglia, il Decano, fece anch’egli una dichiarazione di protesta solenne contro l’intervento politico e affermò che il Conclave intendeva conservare la sua piena libertà.
Questo venne confermato dal secondo voto del giorno, in cui il Cardinale Rampolla ottenne 30 voti, uno in più rispetto al mattino. Il Cardinale Gotti ebbe solo 3 voti e il Cardinale Sarto 24 voti, aumentando ancora.

Ma l’aumento dei voti del Cardinale Rampolla non fu altro che una messa in scena e tutti lo sapevano. Eleggere un Papa che non sarebbe stato riconosciuto dall’Impero Austro-Ungarico era sfortunatamente fuori discussione; tanto che il Cardinale Rampolla non ebbe più altri voti e i suoi «oppositori» erano numerosi e determinati.

Dunque, per la maggior parte dei Cardinali la soluzione evidente era di far convergere i voti sul Cardinale Sarto; per gli uni e per gli altri, per delle ragioni spesso differenti, egli appariva come il più idoneo; egli si trovava già in seconda posizione e il suo carisma e la sua bonomia avevano sedotto molti fin dall’inizio delle congregazioni.
Ma l’interessato non era dello stesso avviso. Man mano che lo scrutinio procedeva, la sua angoscia aumentava e la sua grande emotività lo portava a temere ciò che la sua brillante intelligenza gli suggeriva: sarebbe toccato a lui.

La stessa sera della Domenica 2 agosto, dopo lo spoglio del quarto scrutinio, un secondo tuono colpì la Cappella Sistina. Il Cardinale Sarto dichiarò: «che egli non era fatto per il papato e che il suo nome era stato fatto senza consultarlo».

Quella sera, mentre i Cardinali si ritiravano nelle loro celle, il Conclave, che si prevedeva dovesse durare poco, sembrava essere giunto ad un punto morto; e il Cardinale Sarto era in difficoltà. La serata e la notte non furono buone, probabilmente per nessuno dei Cardinali elettori, e certamente furono esecrabili per il Cardinale Sarto. Diversi cardinali lo incontrarono e si intrattennero con lui:  chi tra i corridoi, chi nella sua cella al terzo piano. Tutti lo esortavano ad accettare la direzione che la divina Provvidenza imprimeva al Conclave: la sua elezione.
In italiano o in latino, a seconda con chi parlava, il Cardinale ascoltava le argomentazioni e rispondeva sempre allo stesso modo: «Non se sono capace, non ne sono degno!».
Per il Patriarca di Venezia la notte passò in preghiera e con molte lacrime. Ma non più degli altri Cardinali. Quella notte, lo Spirito Santo non riuscì a mitigare le terribili apprensioni del Cardinale veneziano.

La mattina del lunedì 3 agosto, il quinto scrutinio non lasciò più adito a dubbi: se il cardinale Rampolla ottenne ancora 24 voti, sei in meno rispetto allo scrutinio precedente, il Cardinale Sarto ne totalizzò 27, e «passò in testa»!
All’annuncio di questo scrutinio, il Cardinale Sarto si alzò immediatamente; tutte le testimonianze concordano: egli era eccessivamente pallido, tremante, e la sua voce era intrisa di singhiozzi; dichiarò ai suoi pari di essere «indegno della scelta che molti avevano fatto su di lui» e supplicò pateticamente «che  passassero ad altri i suffragi e l’ufficio».

A mezzogiorno, i Cardinali si dispersero. Il Cardinale Decano, Oreglia, sempre preoccupato per il vicolo cieco imboccato dal Conclave, intendeva rilasciare una dichiarazione che rendesse ufficiale il rifiuto del Cardinale Sarto di accettare l’incarico se fosse stato eletto. Per far questo occorreva il consenso di quest’ultimo e quindi chiese al segretario del Conclave, Mons. Merry del Val, di parlarne con l’interessato.

Verso mezzogiorno, Mons. Merry del Val trovò infine il Cardinale Sarto nella Cappella Paolina, immerso in profonda preghiera davanti al quadro della Vergine «Nostra Signora del Buon Consiglio». In una scena quasi soprannaturale, il Cardinale Sarto confermò a Mons. Merry del Val che desiderava che il Decano facesse la dichiarazione ufficiale che avrebbe rifiutato l’ufficio del ministero petrino se fosse stato eletto. Mons. Merry del Val lo lasciò dicendogli: «Eminenza, siate coraggioso, il Signore vi aiuterà!».

Quale fu l’esatta portata di questo incontro tra due uomini che la Provvidenza non separerà più?

Quando riprese la seduta del Conclave, dopo mezzogiorno, e prima che il Cardinale Oreglia facesse la prevista dichiarazione, il Cardinale Sarto cedette alle ultime sollecitazioni dei suoi colleghi. Allo scrutinio della sera, il Cardinale Rampolla ottenne solo 16 voti; il Cardinale Sarto, con 35 voti era a soli 8 voti dal Sommo Pontificato.

Nel suo primo testo ufficiale, la sua dichiarazione programmatica per il governo della Chiesa, il Papa Pio X scriverà nelle prime righe: « … è inutile ricordarvi con quante lacrime e quante ardenti preghiere Ci siamo sforzati di allontanare da Noi l’ufficio così pesante del Sommo Pontificato …».

La sera di lunedì 3 agosto 1903, e ancora quella notte, lacrime e preghiere non riuscirono a superare del tutto l’angoscia e le apprensioni di colui che ancora per poche ore era Giuseppe Cardinale Sarto, Patriarca di Venezia.
Al primo scrutinio, la mattina di martedì 4 agosto, il cardinale Sarto ricevette 50 voti, ben più della maggioranza dei due terzi richiesta.
La sua reazione dimostrò che è ancora combattuto tra il terrore e la ragione.
Il Cardinale Matthieu riferisce: «Il Cardinale Sarto era sopraffatto. I suoi occhi erano pieni di lacrime, gocce di sudore gli imperlavano le guance e sembrava pronto a svenire». Lo si sentì dire ai suoi pari: «Che croce mi avete imposto!» e, come sempre, associare «Mamma Margherita» alla scelta di Dio: «Oh mia cara mamma, mia cara mamma!».

Secondo il rituale canonico, il Cardinale Decano Oreglia si avvicinò al Cardinale Sarto e gli chiede se accettava l’elezione che faceva di lui il Sommo Pontefice. La risposta non fu quella attesa: «Quoniam calix non potest transire, fiat voluntas Dei!».
Perché non vi fosse alcuna ambiguità, il Cardinale Oreglia ripeté la domanda con, si dice, un tona di impazienza. Questa volta il Cardinale Sarto risponde canonicamente: «Accetto» e aggiunge: «In crucem!» (come una croce!).

Quando il Decano gli chiede quale nome intendesse prendere, il Cardinale Sarto esitò un istante. Aveva pensato a Benedetto, in ricordo di Papa Benedetto XI (1303-1304), che era come lui originario della diocesi di Treviso. Ma la sua scelta caddee infine sul nome «Pio» e rispose: «Pius Decimus».

Il Conclave del 1903 è terminato. Nella Cappella Sistina tutti i baldacchini sono abbassati, salvo quello sopra lo stallo del Cardinale eletto. Quel martedì 4 agosto il Cardinale Giuseppe Melchiorre Sarto divenne il 257esimo Papa della Chiesa cattolica col nome di Pio X. Secondo l’espressione in vigore all’epoca, sarà «incoronato» la Domenica seguente: 9 agosto.

Quel 9 agosto 1903, la cerimonia dell’incoronamento fu molto commovente nella Basilica di San Pietro, dove Pio X celebrò la sua prima Messa come Sommo Pontefice. La cerimonia durò cinque ore.

Durante gli undici anni del suo pontificato, Pio X redasse non meno di 3.300 documenti ufficiali per restaurare tutto in Cristo. Nella sua prima enciclica, E Supremi Apostolatus, del 4 ottobre 1903, scrisse: «Noi dichiariamo che il nostro unico scopo, nell’esercizio del Sommo Pontificato, è di restaurare tutto in Cristo, affinché Cristo sia tutto in tutto».


Il difensore di Gesù Cristo e della Sua Chiesa

Qual è il ruolo di un Papa?, chiesi un giorno al parroco che faceva Catechismo. Il Papa, mi disse, nella sua qualità di Vicario di Gesù Cristo in terra e difensore della Chiesa, ha il ruolo di mantenere intatta la fede e la dottrina cattoliche.
Ecco una definizione che dovrebbe ispirare anche oggi!

Appena salito al Trono Pontificio, Pio X si mise coraggiosamente all’opera e cominciò a rivendicare la piena libertà del Sacro Collegio nella elezione del Sommo Pontefice.

Poco più di un anno dopo la sua elezione, Pio X dovette far fronte all’ingiusta legge francese sulla separazione fra la Chiesa e lo Stato, votata dal Parlamento il 9 dicembre 1905. Gli effetti di questa legge si faranno sentire molto presto:

- Spoliazione dei beni del clero;
- Persecuzione contro le istituzioni di beneficenza;
- Dissoluzione delle congregazioni religiose;
- Accatto senza pietà contro le Suore negli ospedali, nelle scuole, negli orfanotrofi e nei manicomi.

Eppure, quanti servizi avevano reso alla Francia queste Suore che, per occuparsi di disabili, orfani, bambini e malati, avevano lasciato genitori, amici, ricchezze, onori e tutto ciò che il mondo aveva da offrire!

E’ in questo contesto che Pio X protestò energicamente: con l’enciclica Vehementer del 11 febbraio 1906; Il Papa condannò solennemente la legge di separazione; poi, quasi un anno più tardi, nella sua enciclica « Una volta ancora» condannò la persecuzione contro la Chiesa in Francia.

Anche la Chiesa del Portogallo fu perseguitata, in maniera ancora più violenta e più barbara che in Francia. Anche qui, Pio X si comportò come si era comportato per la Francia: l’enciclica Jamdudum in Lusitania, del 24 maggio 1911, condannò le leggi persecutorie e rinnovò l’appello all’unione e alla perseveranza nella fede cattolica.
Una seconda volta, il Papa Pio X, con una chiarezza evangelica, andò in aiuto delle vittime della persecuzione, accogliendo per l’occasione in Vaticano i sacerdoti e i vescovi portoghesi.

Il 24 maggio 1910, pubblicò l’enciclica Editae saepe, nella quale metteva in rilievo la sua forza d’animo nella lotta contro gli errori del tempo. Egli indicava i caratteri che distinguevano la vera riforma dalla falsa, smascherando i pretesi riformatori il cui scopo inconfessato era distruggere la fede. E’ per questo che Pio X esortava tutti i fedeli a vivere da buoni cristiani, a frequentare i sacramenti e a spendersi per la salvezza delle anime.

Egli protestò ugualmente contro le vessazioni nei confronti degli indiani del Perù e di altri paesi vicini. Lo fece con la lettera Lamentabili del 7 giugno 1912 rivolta ai vescovi dell’America Latina.

Gli stessi non credenti ammirarono l’opera di Pio X: il 24 giugno 1914, la Serbia  concluse un Concordato secondo il quale i cattolici della Serbia godevano da allora la piena libertà nell’esercizio del culto, e venne aperto un Seminario a Belgrado.


Il vendicatore della Fede

Già all’epoca, delle nuove teorie minacciavano la Chiesa. Alcuni intendevano riformare le dottrine cattoliche sostituendole con altre meglio adattate alle condizioni dei tempi moderni; come se i dogmi cattolici dovessero cambiare con le idee degli uomini e come se spettasse alla religione adattarsi agli uomini e non viceversa.
Dio dovrebbe essere al servizio dell’uomo? Pensare questo significa fare dell’uomo un dio di cui Dio sarebbe lo schiavo! Eresia oggi ampiamente diffusa dalla dottrina progressista…

Così, i modernisti cominciarono ad infiltrarsi un po’ dappertutto. Pio X si preoccupava per la salvezza delle anime e per la stessa dottrina della Chiesa.
L’8 settembre 1907, pubblicò la sua mirabile enciclica Pascendi Dominici Gregis contro il modernismo, che faceva seguito al decreto Lamentabili sane exitu pubblicato un trimestre prima, il 3 luglio 1907. E’ in questo periodo che egli intervenne nella questione del Sillon.


Il riformatore

Il Papa Pio X regolamentò anche la predicazione e l’insegnamento del Catechismo. Ricordò ai parroci il dovere di istruire il popolo nelle verità della religione: egli volle che ogni Domenica e ogni festa dell’anno essi spiegassero il testo del Catechismo del Concilio di Trento.

Il 20 dicembre 1905, pubblicò il decreto Sacra Tridentina Synodus, in cui esortava alla Comunione frequente e quotidiana tutti fedeli che avevano raggiunto l’età della ragione.

Questa sollecitudine del Santo Padre nel ricordare a tutti i fedeli la Comunione frequente e quotidiana, produsse dappertutto una buona impressione: i sacerdoti rivaleggiavano nello zelo per diffondere questa santa pratica, e i fedeli risposero con prontezza all’appello del Sommo Pontefice. Fu un vero risveglio universale della devozione all’Eucarestia.

Constatando che un po’ dappertutto si ritardava in maniera abusiva l’atto solenne della Prima Comunione, egli decise che la si facesse all’età di sette anni.


Il liturgista

Il solo canto liturgico adottato dalla Chiesa fu quello a cui diede il nome San Gregorio Magno. A fianco del canto gregoriano, la Chiesa ammise anche la musiva polifonica, che il genio classico di Palestrina e di altri compositori portò al suo apogeo nel XVI secolo.

Tuttavia, qua e là, composizioni profane e teatrali avevano la precedenza sul canto gregoriano, che cominciava ad essere snaturato dai liturgisti.

Nella sua enciclica Motu Proprio del 22 novembre 1903, Il Papa Pio X si espresse con forza contro questa profanazione. Egli creò una Commissione incaricata in modo particolare di ristabilire nella sua originaria bellezza il canto liturgico, e fondò la Scuola Superiore di Musica Sacra.

Alle sue riforme necessarie, si aggiunse quella del Breviario e del Messale: con la Bolla Divino afflatu del 1 novembre 1911, egli tracciò le grandi linee di questa importante riforma, al compimento della quale furono pubblicati il nuovo Breviario e il nuovo Messale.

Come tutti sanno, i Santi e i Beati sono nostri intercessori presso Dio. Noi ricorriamo a loro per ottenere le grazie di cui abbiamo bisogno.
Pio X canonizzò quattro Santi e beatificò 73 Beati.

Il cinquantesimo anniversario della proclamazione del Dogma dell’Immacolata Concezione fu per Pio X l’occasione per fare amare di più la Vergine Maria.
Nell’enciclica Ad diem illum del 2 febbraio 1904, egli esortò tutti i fedeli ad onorare la buona Madre del Cielo e ad implorare spesso la sua protezione.

Quattro anni dopo si celebrò i cinquantenario dell’Apparizione della Santa Vergine a Lourdes.


Il legislatore

Il 19 marzo 1904,  Pio X decise che bisognava codificare il Diritto Canonico. A questo scopo egli costituì una Commissione di Cardinali incaricata di preparare dei progetti di legge.
Il nuovo Codice fu pubblicato da Benedetto XV, suo successore, ma questo non tolse alcunché ai meriti di Pio X, che in verità mise tutta la sua anima al servizio della sua elaborazione.

In Francia, la famiglia cominciava ad essere attaccata dalle idee dei massoni.
Per proteggere l’integrità della famiglia, Pio X modificò col decreto Ne temere del 2 agosto 1907, le regole relative ai fidanzamenti e alla celebrazione del matrimonio.


La morte del Papa

Nel 1914 scoppiò la Prima Guerra Mondiale. E’ indicibile la sofferenza che provò Pio X al pensiero dell’orribile massacro sui campi di battaglia. L’espressione più commovente del suo dolore fu l’ardente preghiera per la pace che inviò a tutti i cattolici del mondo.

Una bronchite aveva indebolito la sua robusta costituzione, ma era rimasto abbattuto soprattutto per la visione di questa orribile guerra, ogni giorno più sanguinosa.
L’augusto malato passava i suoi giorni e le sue notti a pregare per il ritorno della pace. Tuttavia, il suo stato di salute peggiorava di giorno in giorno.

Il 19 agosto 1914, il prelato sacrista gli amministrò gli ultimi sacramenti, che egli ricevette con molta pietà. Aveva già perduto l’uso della parola, ma conservava la sua lucidità e comprendeva tutto. All’una e un quarto del mattino – nella notte tra il 19 e il 20 – il Santo Papa rese la sua anima a Dio.


Il testamento di Pio X

Pio X iniziò il suo testamento con una invocazione alla Santissima Trinità, seguita da un atto di fiducia nella divima Misericordia, poi aggiunse:

«Sono nato povero, ho vissuto da povero e voglio morire povero. Io prego la Santa Sede di concedere alle mie sorelle Anna e Maria una pensione di non più di 300 franchi al mese, e al mio servitore di camera una pensione di 60 franchi».

In più, lasciò 10.000 franchi ai suoi nipoti, ma con la riserva che vi fosse l’approvazione del suo Successore, al quale chiese anche di valutare se fosse possibile consegnare alla sua famiglia i 100.000 franchi che un generoso donatore gli aveva donato a questo scopo.
Chiese che il suo funerale fosse il più semplice possibile secondo le regole liturgiche. Non volle che il suo corpo fosse imbalsamato e volle che fosse sepolto nei sotterranei della Basilica Vaticana.

Ciò che Pio X lasciò alle sue sorelle bastava appena per assicurare loro vitto e alloggio.
Così, i parenti del Servo di Dio rimasero dopo la sua morte nell’umile condizione in cui si trovavano al momento della sua elevazione alla Santa Sede.

Le spoglie mortali di Pio X, rivestiti con gli ornamenti pontifici, furono esposte nella Sala del Trono, poi vennero trasportate nella Basilica di San Pietro ed esposte nella Cappella del Santissimo Sacramento. La cerimonia religiosa ebbe luogo il 23 agosto 1014.


Pio X fu il primo Papa canonizzato dopo il XVI secolo.

Dopo la sua morte, la devozione verso Pio X non cessò. La sua causa fu aperta il 24 febbraio 1923, e si eresse in San Pietro a Roma un monumento in sua memoria nel ventesimo anniversario della sua elevazione al pontificato.
Visto l’afflusso di pellegrini che venivano a pregare sulla sua tomba nella cripta della Basilica di San Pietro, fu posta una croce di metallo sul pavimento della Basilica, in modo che i pellegrini potessero inginocchiarsi proprio al di sopra della sua tomba.
Furono celebrate delle Messe fino alla vigilia della guerra.

Il 19 agosto 1939, Pio XII pronunciò un discorso in sua memoria, e il 12 febbraio 1943, in piena guerra, fu proclamata «l’eroicità delle sue virtù». Poco dopo, Pio X fu proclamato «servo di Dio».
Fu allora che la Sacra Congregazione per i Riti aprì il processo di beatificazione, esaminando in particolare due miracoli. Il primo è quello di Marie-Françoise Deperras, religiosa che era affetta da un cancro alle ossa e che guarì nel dicembre 1928. Il secondo è quello di Suor Benedetta de Maria, di Boves, in provincia di Cuneo, che guarì da un cancro all’addome nel 1938.

Questi due miracoli furono ufficialmente approvati da Pio XII l’11 febbraio 1951 e portarono alla lettera di beatificazione di Pio X, del 4 marzo 1951.

La cerimonia ebbe luogo il 3 giugno 1951 nella Basilica di San Pietro alla presenza di 23 Cardinali, di centinaia di arcivescovi e vescovi, e di una folla di 100.000 pellegrini.
Pio XII parlò allora di Pio X come del «Papa dell’Eucarestia», riferendosi all’accesso alla Comunione dei giovani facilitata dal nuovo beato.

Il 17 febbraio 1952, il suo corpo fu traferito dalla cripta al sacello sotto l’Altare della Cappella della Presentazione, all’interno della Basilica, in un sarcofago di bronzo con una vetrata, dove si trova attualmente.

Il 29 maggio 1954, data della sua canonizzazione, la Chiesa cattolica riconobbe due miracoli: quello della guarigione di un avvocato italiano, Francesco Belsami, affetto da un ascesso polmonare; e quello della guarigione di una religiosa, Suor Maria-Ludovica Scorcia, affetta da un virus al sistema nervoso.

La Messa di canonizzazione fu celebrata da Pio XII alla presenza di 800.000 fedeli.

San Pio X è stato il primo Papa ad essere canonizzato dal XVI secolo, l’ultimo era stato il santo Papa Pio V.

Le festa liturgica di San Pio X è fissata al 3 settembre.







 
agosto 2024
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