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Cos’è il Cielo? E gli aspetti “secondari” del Paradiso Luca Giordano, Gloria di Sant'Andrea Corsini Scrive San Giovanni Crisostomo: “Che cosa vi è di più felice
di quella vita? In essa non si temono la miseria o la malattia, nessuno
ferisce e nessuno viene ferito, nessuno provoca all’ira, nessuno viene
provocato; nessuno va in collera o è preso dall’invidia, o
brucia per indegna concupiscenza, nessuno vive in ansia per l’acquisto
degli articoli di necessità, nessuno si lamenta del magistrato o
del principe. Ogni tempesta d’affetti è placata, tutto è
in pace, nella gioia, nell’allegrezza; tutto trascorre tranquillo e
nella serenità; tutto è giorno, splendore, luce; ma non
la luce di questa terra, verrà un’altra luce tanto più
splendida di questa, quanto la luce del giorno è superiore a
quella della lucerna. Ivi non c’è vecchiaia, né i suoi
acciacchi, ma tutto ciò che tende alla corruzione viene
eliminato, perché ovunque regna la gloria incorruttibile. E
ciò che è più bello di tutto, godranno
dell’amicizia di Cristo insieme con gli Angeli, con gli Arcangeli, con
le supreme potestà” (1).
Con l’Ascensione il Signore ha spalancato le porte del Paradiso ai Profeti, ai Padri, ai Santi che attendevano nel Limbo dei Patriarchi di poter godere pienamente di quella beatitudine tanto attesa. Il Capo doveva entrare perché tutto il Corpo mistico potesse avere accesso al Cielo, laddove la nostra mente sarà irrobustita per contemplare la Santissima Trinità e partecipare ad una gioia simile a quella di cui gode Dio, contemplando Se stesso.Con l’Ascensione il Signore ha spalancato le porte del Paradiso ai Profeti, ai Padri, ai Santi che attendevano nel Limbo dei Patriarchi di poter godere pienamente di quella beatitudine tanto attesa. Il Capo doveva entrare perché tutto il Corpo mistico potesse avere accesso al Cielo, laddove la nostra mente sarà irrobustita per contemplare la Santissima Trinità e partecipare ad una gioia simile a quella di cui gode Dio, contemplando Se stesso. Al Cielo rimarremo uomini quali siamo, ma questa nostra povera mente sarà dilatata, per così dire, fino a poter vedere Dio. Discorso difficile da spiegare per noi. Come tutte le cose grandi sappiamo che ci sono, ma non sappiamo dirlo e non perché sono oscure, dice S. Ireneo, ma perché le cose troppo luminose abbagliano gli occhi, e solo quando lo splendore di Dio si riverbera in noi, le capiamo. Solo immersi nella luce ne percepiamo lo splendore (2). Beati i puri di cuore perché vedranno Dio (Mt 5,8), dice la Sacra Scrittura. Non sarà la potenza dell’intelligenza naturale, ma il merito derivante dalla purezza del cuore ad aprirci la visione di Dio, Egli ci elargirà il lumen della gloria per poterlo vedere. Potenzierà mirabilmente il nostro intelletto perché possa essere proporzionato ad un oggetto tanto grande. Ma cos’è la beatitudine del Cielo? “Ogni bene”, o meglio, per dirla con S. Tommaso “un bene tanto perfetto da soddisfare pienamente ogni desiderio” (3). Le ricchezze, gli onori, la fama, la gloria, i piaceri, danno una certa “soddisfazione” effimera, ma che non dà mai piena soddisfazione. “Il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te” dice S. Agostino, perché nulla delle cose create ci appaga veramente. Solo quel Bene infinito può davvero soddisfare, perché si rivolge al piano spirituale - ciò che di più sublime è in noi - appagandolo pienamente. “Dio è raggiunto e posseduto come fine ultimo dell’anima. L’amore e la gioia sono proprietà che necessariamente seguono la visione beatifica” (4). Allora infatti la nostra conoscenza sarà “riempita” da Dio e tutto il nostro affetto si lancerà verso di Lui, attratto irresistibilmente godrà di questo amore immenso per tutta l’eternità (5) e sarà gioia senza fine. Ma ne parliamo appena e già, stando quaggiù, è talmente luminoso tutto ciò, che quasi la nostra mente ne è abbacinata. Perché, dice San Giovanni, anche se siamo già figli di Dio, “non ancora è stato mostrato quello che saremo” ( Gv 3, 1-2). Questa nostra mente infatti è abituata a conoscere “per speculum in aenigmate” ovvero vede e conosce le cose come in maniera riflessa in uno specchio e si avvicina alla conoscenza di Dio passando dalla conoscenza delle creature e attraverso il chiaroscuro della fede. Per elevare lo spirito al Creatore, almeno per coloro che non scelgono volontariamente di accecarsi, lo spirito deve compiere un processo che ha anche un risvolto laborioso, ovvero riflettere sul mondo, sull’origine delle cose e sul loro fine, sull’ordine del Creato e così giunge a Dio e si avvicina ai suoi misteri. Seppur nella luce soprannaturale della fede, quaggiù deve riflettere e talvolta, pur nella fedeltà, arrancare. Mentre lassù sarà conoscenza intuitiva, senza le fatiche del ragionamento, ma contemplazione pura e gioia. Gioia immensa, perché il piano spirituale, il più nobile in noi - e il più inquieto sulla terra - godrà di ciò per cui è fatto: Dio, contemplato non più in enigma, ma faccia a faccia. Superata la fase della fede ne avremo la visione diretta, la contemplazione appagante. Ma siccome tutto ciò è talmente grande, che quasi ci lascia attoniti e spaesati, la Chiesa per farci innamorare del Cielo ci ricorda anche qualcosa che in sé è “secondario”, nel senso che non è l’oggetto principale della visione beatifica, ma è qualcosa di più accessibile alle nostre limitate conoscenze e alle povere capacità intellettive di pellegrini (viatores) sulla terra. Qualcosa di “secondario”, ma capace di condurci per mano più in alto e di aprirci a quella gioia principale, che però ora è ancora lontana dal nostro orizzonte troppo terrestre. La nostra mente infatti è come un bambino che per andare alle cose grandi ha bisogno di esempi concreti, ed anche noi per capire il Cielo dobbiamo riatterrare ogni tanto…sulla terra. E allora è utilissimo pensare a quelle gioie che più assomigliano a quelle che già abbiamo provato in questa vita e che ci accompagneranno anche nell’aldilà, pur non essendo l’essenziale del Cielo. Ad esempio, quella sete di conoscenza e quel piacere intellettuale, che si ha nel conoscere, sarà soddisfatto anche dopo la morte. Poiché se vedremo Dio, non ne vedremo un pezzetto, certo non lo comprenderemo come Lui solo comprende Se stesso, ma vedremo tutto il Creatore che è anche Redentore e vedremo la Sua opera. E così conosceremo non solo Lui, ma anche tutte quelle cose che dipendono da Lui e che hanno un legame con noi (6). Godremo in Cielo piacevolmente anche delle creature, ma senza lo scoglio terreno di perdere la testa disordinatamente per esse. Siamo un pezzetto dell’universo ed allora conosceremo in certa misura l’insieme delle creature che lo costituiscono e di cui siamo parte, gli Angeli, le singole parti del mondo e gli eventi o le cose in qualche modo a noi legate. Conosceremo i misteri di fede e conosceremo anche il piano della salvezza. Ci allieteremo nel conoscere la trama provvidenziale degli avvenimenti e esclameremo: “guarda di cosa si è servita la potenza di Dio per portarmi fino al Cielo! Quella morte, quell’insuccesso, quella malattia, quella guerra, quella perdita mi hanno portato fino a qui. Io ci piangevo all’epoca e mi hanno causato tanta gioia”. E vedere questa trama di eventi ci farà contemplare ed amare ancor più la sapienza increata di Dio, che mirabilmente gestisce per noi le cose create (7). L’anima beata è poi anche una “persona sociale” e come tale “vede tutto ciò che gli interessa, secondo la sua condizione sociale” (8): un re conoscerà gli eventi del suo regno, un fondatore di ordine religioso gli avvenimenti che riguarderanno i suoi confratelli, un capofamiglia quel che concernerà i suoi figli, i parenti, i discendenti e le loro vicissitudini. E Maria Santissima, in quanto Madre di tutti gli uomini, accede alla conoscenza delle pene e delle gioie dei suoi figli e, proprio in quanto Madre che deve occuparsene, ne ha conoscenza ancora più ampia, proporzionata al ruolo d’Avvocata che la Provvidenza le assegnò dall’eternità. Vi è poi quel gaudio supplementare che vien detto delle “corone” o delle “aureole” (9), che saranno quel trofeo posto sul capo dei Beati per i meriti conseguiti sulla terra: la corona di martire, a celebrare la vittoria sugli affetti terreni e sui tormenti ricevuti dall’esterno. Vittoria degna di gloria celeste perché conseguita non per motivi umani, ma quella causa onestissima che è Cristo. Un’aureola speciale sarà data a chi insegnò la verità e allontanò l’errore dagli altri: con la predicazione e la dottrina essi allontanarono il diavolo non solo da se stessi, ma anche dagli altri e, dice San Tommaso (10), questo premio non è solo riservato ai prelati, ma a chiunque esercitò bene tale “carità della verità”. Dice Daniele: “i saggi splenderanno come corona del firmamento e coloro che inducono molti alla giustizia saranno come stelle nell’eternità senza fine” (Dan. 12, 3). La corona sarà data anche ai vergini che combatterono e vinsero contro la carne, vincendo le più fastidiose passioni interne della sensualità. Gioia, beatitudine e premio eterno “accidentali” che, non costituendo l’essenziale del Cielo, servono a noi quaggiù per farci un’idea, benché pallida, di quanto grande sia il bene e la pace che ci aspetta. Nemmeno vedere i dannati darà pena (11), perché vedremo le cose come Dio le vede, Lui che dà il premio a chi ha meritato e che condanna i reprobi. Quindi loderemo la sua divina giustizia e, vedendo dall’alto l’inferno, lo ringrazieremo per aver evitato un male così grande, ricordando e contemplando per quali straordinarie vie ci ha condotto per mano. E poi la gioia di rincontrare i nostri amici. Dice S. Cipriano (12): “lì ci attendono la folla dei nostri cari, ci desidera la moltitudine dei genitori, dei fratelli, dei figli che già sono sicuri della loro incolumità e sono solleciti della nostra salvezza. Giungere alla loro presenza, al loro abbraccio: quale grande gioia sarà per noi e per loro!”. E se questo pensiero già ci consola, che sarà mai vedere Dio! NOTE 1 - Ad Theodorum lapsum, 1, 11; P.G. 47, 291. 2 - Adv. Haeres., 4, 20, 5. P.G. 7, 1035. 3 - S. Th., Ia IIae, q. 2, a. 8. 4 - A. Piolanti, La Comunione del Santi e la vita eterna, Roma 1992, p. 509. Si cerca qui di offrire una sintesi dell’argomento trattato dal grande maestro della Scuola Romana, mai abbastanza raccomandato, principalmente alle pp. 491-537. 5 - S. Th., Ia, q. 94, a. 1. 6 - S. Th., Ia, q. 89, a.8. 7 - A. Piolanti, cit., p. 519-520. 8 - Ibidem, p. 520. 9 - S. Th., Suppl., q. 96, a. 6, c. 10 - S. Th., Suppl., q. 96, a. 7, c. 11 - S. Th., Suppl., q. 94, a. 1. 12 - De mortalitate, 26. |