Il Signore è Dio

e noi siamo Suoi



di Elia



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Vacate, et videte quoniam ego sum Deus (Sal 45, 11).
«Calmatevi e considerate che io sono Dio».

L’esortazione divina riportata dal Salmista, pur nella sua lapidaria brevità, si rivela quanto mai ricca di significato e carica di attualità. Essa può essere intesa in due modi e applicata a due opposte categorie di persone. Il fine del tenersi liberi da altre occupazioni è la riflessione, che si può appunto sviluppare in due direzioni: «Io sono niente meno che Dio», ossia «l’Essere perfettissimo, Creatore e Signore del cielo e della terra», come scandisce san Pio X (Catechismo della dottrina cristiana, 2); oppure: «Io sono Dio, non voi», come dovrebbe esser chiaro ad ogni uomo ragionevole. Questa affermazione va utilmente ribadita sia per coloro che pensano di esser padroni della Chiesa e di poterne fare ciò che vogliono, sia per quanti si affannano a difenderla come se la sua sopravvivenza dipendesse dalla loro azione.


Bestemmie contro la Santissima Trinità

C’è chi, da undici anni e mezzo, si ostina ad offendere l’unico vero Dio, il quale si è veracemente rivelato in Gesù Cristo e, di conseguenza, non può esser conosciuto e servito se non tramite Lui e la comunità da Lui fondata, la Chiesa.
Lasciar intendere che cristiani, ebrei e musulmani rendano culto alla stessa divinità è una menzogna, una bestemmia e un insulto alla ragione: una menzogna, perché ebrei e musulmani non riconoscono la Trinità né adorano Gesù Cristo; una bestemmia, perché Allah e il dio della Cabala sono controfigure di Lucifero; un insulto alla ragione, perché il principio di non contraddizione non consente di ammettere come entrambe vere, nello stesso tempo e sotto lo stesso aspetto, proposizioni contraddittorie: o Gesù Cristo è il Figlio di Dio, in quanto è la seconda Persona della Santissima Trinità, che ha assunto la natura umana, o è un semplice uomo.

Questo genere di problemi, naturalmente, non sussiste affatto per chi non considera la fede adesione alla verità oggettiva, cioè a una dottrina corrispondente alla realtà dell’essere, bensì, secondo questo fondamentale assioma del modernismo, espressione di un sentimento religioso con cui ogni uomo si avvicinerebbe al “divino” mediante il modo in cui se lo rappresenta e l’esperienza che ne farebbe, al fine di trovarvi consolazione e orientamento.
Nel soggettivismo assoluto, tipico di tale posizione, la contraddittorietà delle dottrine è piuttosto presentata come una “ricchezza”; gli uomini religiosi si dovrebbero allora frequentare mettendo in ombra ciò che li divide e valorizzando invece ciò che li unisce, come si sente spesso ripetere. Questo programma – vale la pena ribadirlo – disonora Dio e offende la ragione, la quale è fatta per conoscere la verità, non per sdoganare l’errore.

Tale atteggiamento intellettuale è contrario all’intelletto stesso di cui l’uomo è dotato, ma conduce altresì direttamente all’indifferentismo totale e, indirettamente, all’ateismo pratico: se infatti tutte le religioni sono ugualmente valevoli e tutte le dottrine si equivalgono, nessuna di esse è vera e, di conseguenza, nessuna di esse merita l’adesione da parte di un essere ragionevole.
Chi richiede ad altri di rinunciare alla verità pretende che abbandoni l’uso del raziocinio, quindi l’esercizio della propria stessa natura, in nome di una falsa armonia tra i popoli presentata come valore supremo, ma che nasconde in realtà la sottomissione dei cristiani agli infedeli, i quali perseguono non il dialogo, bensì l’annientamento della Chiesa.
Chi propaganda questa menzogna è così ammonito dal Signore: «Ricordati che io sono Dio: sono l’Onnipotente (capace di intervenire in qualunque momento per rimettere ordine) e io soltanto (non tu né le false divinità adorate da chi mi rifiuta)».


Credenze formalistiche non applicate

La fede è vera conoscenza di Dio, che porta a contare su di Lui con la speranza e ad amarlo per Se stesso mediante la carità. I demoni sanno bene che Dio esiste (cf. Gc 2, 19), ma certo non lo amano né sperano di goderlo.
Poiché la fede è fondata su ciò che Dio stesso ha fatto conoscere di Sé, essa esige l’adesione, sostenuta dalla grazia, alla verità rivelata, la quale permette all’intelletto umano di elevarsi al sopra di sé per riflettere la realtà oggettiva di Dio per mezzo di una dottrina definita, non di un vago sentimento religioso.
Ora, se negli ultimi decenni i movimenti “cattolici”, diretto parto del modernismo, hanno insistito molto su quest’ultimo, non dobbiamo affatto cadere, per reazione, in quel formalismo dottrinale che si ferma all’esattezza nominale degli enunciati di fede, ma non ne trae alcuna conseguenza sul piano della vita.

Ci sono cattolici che discettano di dogmatica, morale, liturgia, diritto canonico e quant’altro con una sicurezza stupefacente, pur non avendone titolo, ma dimostrano poi, all’atto pratico, di non coltivare la fiducia nella Provvidenza né, tanto meno, la carità.
C’è chi pubblica dotti compendi del trattato De Deo revelante o di quello De Ecclesia con l’ardire di indicare ai lettori la soluzione di problemi che non sono di sua competenza e, spesso, non sussistono proprio. Quanto infatti vien detto o scritto da membri della gerarchia, qualora non rientri nelle forme ufficiali del Magistero, non impegna affatto la coscienza dei fedeli; potrà certamente ferirla e darle scandalo, se non è ortodosso, ma è del tutto irrilevante. Dobbiamo abituarci a distinguere le diverse modalità in cui si esprime chi è rivestito di autorità, così da non lasciarci scuotere da esternazioni apparentemente estemporanee.

Certo, è inevitabile che la coscienza retta di ogni buon cattolico si ponga un dilemma, se colui che almeno materialmente dirige la Chiesa impiega il suo potere per il fine opposto a quello per il quale è stato istituito; tuttavia il problema, allo stato attuale, risulta insolubile ed è perciò inutile – se non dannoso – continuare a spaccarsi la testa con mille ipotesi teologico-canoniche una più strampalata dell’altra, a meno che non siano eventualmente pubblicati documenti del Papa defunto, tenuti finora segreti. In ogni caso, bisogna che la fede nell’indefettibilità della Chiesa non rimanga mero asserto verbale, ma divenga nutrimento dell’anima e sostegno del cuore nel tener fermo in questa situazione apocalittica; altrimenti rimarremo vittime di quel formalismo intellettuale che si avvita su se stesso nel vano tentativo di rimettere ordine nelle idee senza alcun influsso sulla realtà.


Reazioni davvero cristiane

Anche chi si trova sul fronte opposto a quello dei dissolutori della Chiesa, dunque, ascolti le parole che l’Onnipotente gli rivolge: «Férmati e renditi conto che io sono realmente Creatore e Signore – e non tu. La mia provvidenza dirige ogni cosa vero un fine positivo e trae il bene anche dal male; non ho bisogno del tuo dimenarti mentale alla ricerca di soluzioni che non sono alla tua portata».

Chi si rimette effettivamente alla Provvidenza, riconoscendo nei fatti (e non a parole) la sovranità di Dio, placa le passioni disordinate e ritrova la gioia di offrire ad Essa, giorno per giorno, la propria umile collaborazione, preziosa non per se stessa, ma perché voluta dall’Altissimo. Ottimo antidoto all’ira – pur comprensibile – di chi vede il Signore continuamente insultato da chi dovrebbe onorarlo è la gratitudine per gli immensi e innumerevoli Suoi doni, spirituali e temporali; se dei secondi possiamo esser privati, i primi nessuno potrà mai toglierceli, se non siamo noi ad acconsentire.

Il dissidente russo Sergej Fudel’ (1900-1977), costatando come gran parte della gerarchia si fosse piegata al regime sovietico, coniò un’efficace locuzione per designarla: sosia oscuro della Chiesa. «Accanto alla vita immortale della Chiesa di Cristo, il male c’è sempre stato, all’interno stesso del sacro recinto. Dobbiamo guardarlo ad occhi aperti, sempre ricordando che “chi mette con me la mano nel piatto è colui che mi tradisce” [Mt 26, 23]. […] Andarsene dalla Chiesa per via del degrado morale che vediamo in essa è follia religiosa che riflette la nostra incapacità di riflettere in profondità sulle situazioni. Tutto quel che di errato, distorto o impuro possiamo vedere all’interno delle porte della Chiesa, non è Chiesa. Per non rendercene complici non abbiamo da lasciare il recinto della Chiesa; semplicemente dobbiamo rifiutarci di aver parte in ciò che è cattivo» (S. Fudel’, La luce splende nelle tenebre, Ponteranica 2021, 38-39).
L’osservazione non lo condusse così alla ribellione, bensì alla gioiosa scoperta, pur nel realistico riconoscimento della malattia, della santità invincibile del Corpo Mistico.

Queste parole di un uomo che conobbe il carcere duro e l’esclusione sociale sono uno schiaffo morale per noi, che ancora non abbiamo sperimentato una persecuzione violenta. Dopo decenni di vacuo trionfalismo, nei quali ci siamo illusi che nella Chiesa tutto andasse a meraviglia perché Piazza San Pietro si riempiva e turbe entusiaste acclamavano il Papa, sono arrivati i tempi della purificazione, in cui il Signore ci chiede di portare la Croce con Lui sull’erta del Calvario.
Molti sedicenti cattolici si rifiutano di partecipare a questa Passione, strepitano e si agitano. Se invece volete contribuire in modo efficace al bene della Chiesa, rimanete saldi al vostro posto facendo ognuno il proprio dovere con umiltà e perseveranza. Se poi volete riparare alle bestemmie proferite contro Cristo e la Trinità, ripetete spesso il Credo, il Pater noster, il Gloria Patri; fatevi il segno della Croce in pubblico, senza rispetto umano, per attestare a Chi appartenete.
In ogni occasione, rendete a tutti serena testimonianza dell’unico vero Dio.

Sappiate che il Signore stesso è Dio; egli ci ha fatti, non noi, che siamo suo popolo e pecore del suo pascolo (Sal 99, 3 Vulg.).














 
settembre 2024
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