I risultati del linguaggio “pastoralmente” aggiornato

Di Marco Bongi

Domandina facile facile… Supponiamo, ed è comunque tutto da dimostrare, che ogni esternazione dell'attuale “Vescovo di Roma” sia dottrinalmente corretta ed assolutamente ortodossa: “Chi sono io per…” “Chi non cerca Dio si salva se segue la sua coscienza” “per gli omosessuali e i divorziati ci vuole più tenerezza e misericordia”, ecc. - e che ogni fraintendimento sia dovuto unicamente alla cattiva interpretazione dei mass-media:

Mi chiedo:
Per quale motivo tali fraintendimenti si verificano costantemente e sistematicamente?

Siamo del resto ormai abituati alla triste litanìa dei giornalisti e commentatori cosiddetti “conservatori conciliari”: il Papa non è stato correttamente interpretato, non intendeva assolutamente dire quello che hanno riportato le testate laiche, si è mantenuto fedelissimo al Magistero precedente…
  
Sarà... ma non mi risulta che il Sillabo o l’enciclica “Pascendi” di San Pio X, in quei tempi lontani e difficili, fossero stati interpretati in modo differente rispetto al loro reale significato.
Anche allora c’erano i liberali e gli anticlericali, anche allora c’era interesse a distorcere il pensiero dei Pontefici, ma ciò semplicemente non era materialmente possibile.
I pronunciamenti infatti erano talmente chiari e cristallini che nessun lettore, per quanto in mala fede, avrebbe potuto distorcerli. 

E allora? Le risposte al mio quesito non sono molte, ma, come spesso chiedo ai lettori, mi farebbe davvero piacere che ce ne fossero altre.
Posto infatti che tutti conosciamo, e quindi dovrebbero conoscerle anche in Vaticano,  la superficialità e la malignità di molti commentatori degli organi d’informazione, se davvero si volessero evitare i fraintendimenti, ci sarebbe un unico rimedio: tornare ad un linguaggio chiaro e definitorio, preciso, inequivocabile e netto. 
Questo aspetto della comunicazione ecclesiale contemporanea è stato evidenziato, con mirabile acutezza, da Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro nel loro recente volume “La bella addormentata” (Vallecchi 2011).
Tali pagine erano dedicate all'analisi dei documenti conciliari ma le medesime considerazioni possono applicarsi, forse ancora di più, al linguaggio colloquiale di Papa Francesco.
In altre parole: per cercare di essere più compresi dal mondo contemporaneo si è ottenuto paradossalmente l’effetto assolutamente opposto, cioè quello di non essere compresi da nessuno.
Già... perché le risposte sono soltanto due:

1 - O i comunicatori della Chiesa, ad ogni livello, non conoscono il significato comune di parole, espressioni idiomatiche o proposizioni. In questo caso dovrebbero soltanto mettersi a studiare…   
2 - Oppure, e fa tremare solo il pensarlo, questi signori lo fanno apposta. Usano un linguaggio volutamente ambiguo perché non hanno il coraggio di proclamare apertamente la Verità e così sperano di dire ad ognuno quello che questi vorrebbe sentirsi dire. Ai credenti, che bisogna convertirsi, agli atei, che basta seguire la coscienza, ai gay, che il loro comportamento non è giudicabile, ai divorziati, che il Cristianesimo non è un insieme di precetti, e via di questo passo.

Questo è il risultato dell’aggiornamento della comunicazione religiosa all’uomo contemporaneo?
Davvero sconfortanti i traguardi raggiunti dalla “pastoralità” del concilio Vaticano II. E poi si stupiscono se le vocazioni crollano? Se i fedeli non credono più alla Resurrezione di Cristo? Se le Chiese e i conventi sono vuoti?
Beh... anche per quest’ultimo problema ci sarebbe comunque la soluzione mediaticamente apprezzata: facciamone ricoveri per immigrati!






settembre 2013

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