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Capire il modernismo del Concilio per capire la crisi ecclesiale di oggi di Radio Spada
Vescovi al Concilio Vaticano II Nel suo diario del Concilio, in data 3 dicembre 1962, mons. Borromeo, vescovo di Pesaro, chiudeva il racconto dell’intervento del Cardinale di Monaco a proposito di collegialità [1] con una acutissima riflessione sul modernismo, che vedeva ben rappresentato in quella agguerrita “combriccola” composta dai Cardinali Bea, Frings, Doefner, Alfrink, Suenens, Leger e dai Prelati di Francia, Germania, Olanda e Belgio. Riteniamo molto utile riportare questa pagina di diario perché coloro di cui mons. Borromeo scriveva, sono coloro che con l’appoggio di Roncalli e Montini hanno fatto il Concilio, l’hanno fatto diventare il luogo del trionfo delle nuove idee (condannate dieci anni prima da Pio XII [2]). E siccome sul Concilio e le sue dottrine si fonda la situazione catastrofica che caratterizza la Chiesa Cattolica dal 1965 ad oggi, è bene rileggere queste righe quando si sente parlare di nuove dottrine: di documenti papali che autorizzano in sostanza il concubinato e le comunioni sacrileghe; di assenze di registratori al tempo di Gesù; di ammiccamenti alle istanze omofile; e di altre sozzure che sono in sostanza accomodamenti con quanto di peggio c’è al mondo. Il Lettore può trarre da esse l’insegnamento che il modernismo che ha fatto il Concilio è LO STESSO che muove l’azione di Bergoglio, il quale non a caso ha “canonizzato” Giovanni XXIII e soprattutto Paolo VI, suo citatissimo ispiratore [3]. Più si va avanti e più ci si deve accorgere che il dissidio tra le due correnti non è di forma, ma di sostanza: non è intorno al modo col quale si debba esprimere ad insegnare la verità, ma intorno alla verità stessa. Siamo in pieno modernismo. Non il modernismo ingenuo, aperto, aggressivo e battagliero dei tempi di San Pio X, no. Il Modernismo di oggi è più sottile, più camuffato, più penetrante e più ipocrita. Non vuole sollevare un’altra tempesta, vuole che tutta la Chiesa si trovi modernista senza che se accorga. Si salva la Rivelazione, ma qui la Rivelazione viene dal basso, non dall’alto; viene dal di dentro, non dal di fuori. Se la rivelazione è divina, non è divina perché Dio, personale, ha parlato, concezione grossolana e banale, ma perché il divino che è in noi ci muove, ci sprona, ci guida attraverso incessanti esperienze religiose, che si esprimono in sentimenti, in esclamazioni, in canti, in riti, in feste. Il contenuto di questi atti, in quanto siano diventati atti sociali e comunitari ed abbiano acquistato col tempo significazione precisa e comunemente accettata, costituisce la sostanza ed il contenuto del dogma religioso, formulato e proposto dall’Autorità. Perché questo è l’ufficio della comunità religiosa, di elaborare e produrre il dogma, e questo è l’ufficio dell’Autorità religiosa, di dare al dogma una forma precisa e definitiva da custodirsi e tramandarsi allwe generazioni future per mezzo del Magistero. Riesce allora ben chiaro perché questi modernisti non vogliono sentir parlare di Tradizione, come fonte della Rivelazione. Così intesa la Tradizione sarebbe antecedente alla Scrittura (formulazione delle esperienze comunitarie) e non trarrebbe origine dalle esperienze religiose, ma sia allaccerebbe ad un insegnamento diretto e superiore, ricevuto dalla Chiesa e da essa custodito e tramandato mediante il suo magistero. La tradizione è ammessa anche dal novello modernista, ma conseguente alla Scrittura, interpretativa della Scrittura, originata dalla Scrittura e dal magistero, che in origine ebbe per oggetto solo la Scrittura. [4] Il Cristo si salva nel modernismo, ma non è un Cristo storico; è un Cristo che la coscienza religiosa ha elaborato perché una figura umana, ben delineata e concreta, facesse da supporto ad esperienze religiose che non potevano essere espresse nella loro ricchezza ed intensità per via di puri concetti razionali ed astratti: l’amore degli uomini per Dio, la colpa, la espiazione, la giustificazione del dolore e della morte non si potevano esprimere nel linguaggio della matematica e dei sillogismi. Un Padre Dio che manda un Figlio Dio; un bambino che nasce da una Vergine; una culla nulla notte fredda; Angeli che cantano, pastori che adorano, Re che giungono dal misterioso oriente ecc.: questo è il linguaggio di cui aveva bisogno il cuore umano e la coscienza religiosa delle folle per esprimere quelle che sentiva e quello a cui aspiravano. E questo è tutto vero; ma non nel senso in cui noi diciamo essere vero che Cicerone è stato console ed è stato un grande oratore o che Mussolini ed Hitler sono stati capi di Stato, amici ed alleati; ma solo nel senso che veri sono i sentimenti espressi da quelle immagini e vera è la efficacia espressiva delle immagini stesse, in quanto rendono precisamente, con vivacità e forza quanto è stato provato, vissuto, elaborato ed espresso dalla coscienza della comunità. L’ispirazione della Scrittura? È vera, ci credono anche i Modernisti. Ma lo Spirito Santo è lo spirito che anima tutte le coscienze religiose, come il calore che riscalda e rende incandescente tutti i metalli. Lo Spirito Santo ha parlato e parla a tutti quelli che amano e pregano, mentre amano e pregano. L’autore dell’ispirazione quindi è tutto interiore alla coscienza umana, ed il soggetto della ispirazione non è una persona singola, Luca, Marco, Matteo, ma soggetto della ispirazione è la Comunità. Gli Autori sacri si possono e si devono dire ispirati in quanto hanno attinto ai prodotti della coscienza comunitaria, sicché la coscienza comunitaria, e l’Autorità religiosa, hanno riconosciuto nella loro opera, cioè nei loro scritti; la genuina collezione, il genuino coordinamento, la genuina espressione delle loro esperienze e delle più elementari e frammentarie espressioni delle esperienze medesime. Così il Modernismo d’oggi salva tutto il Cristianesimo, i suoi dogmi, la sua organizzazione, ma lo svuota tutto e lo capovolge. Non è più una religione che venga da Dio, ma una religione che viene direttamente dall’uomo ed indirettamente dal divino che è nell’uomo. NOTE 1 - Quantunque poco considerata, la collegialità è forse l’errore più esiziale fra quelli del Vaticano II. Vedi gli articoli: Episcopato e collegialità e Lumen Gentium e Dominus Jesus. All’origine della sinodalità e del turbo-ecumenismo di Bergoglio. 2 - Vedi La ‘nouvelle théologie’. Dalla condanna di Pio XII al trionfo nel Vaticano II. 3 - Vedi Bergoglio, come Montini, custode dell’ideologia conciliare. 4 - Vedi Il vero concetto di Tradizione spiegato da Mons. Spadafora. |