Il duplice infanticidio di Parma

e quell’umanità negata del concepito

   


di Fabio Fuiano

Pubblicato su Corrispondenza Romana









Negli ultimi giorni si sta discutendo di un fatto di cronaca nera che ha colpito nel profondo moltissime persone.
Una ventunenne di Parma, Chiara Petrolini, è stata arrestata per duplice infanticidio dopo che i resti dei suoi due figli sono stati ritrovati sepolti nel giardino di casa sua.
Appena un anno fa, si consumava una tragedia analoga, ad opera della ventisettenne Monia Bortolotti. Solo che, in quest’ultimo caso, i figli avevano rispettivamente quattro e due mesi.
Nel caso di Parma, sono stati uccisi e sepolti appena dopo la nascita.

Questa vicenda sollecita ulteriormente le corde dell’emotività e forse ancor più visto che oltreoceano si disquisisce animatamente sulla possibilità o meno di eseguire aborti fino al nono mese e di sopprimere le tutele per i sopravvissuti ad un intervento abortivo.

Commenti di psicologi, psichiatri, giornalisti, gente comune si sono soffermati sulle circostanze sospette degli omicidi, su come sia stato possibile per una ragazza occultare la propria gravidanza persino ai genitori e al fidanzato. Questioni dirimenti per chiarire l’effettiva dinamica dei delitti, ma non per capire il reale perché di quanto accaduto.

E’ interessante constatare come un buon numero di persone, scandalizzata dal duplice infanticidio, si sia domandata come mai la ragazza non avesse ricorso all’aborto. Viviamo in un contesto culturale così assuefatto dall’ideologia che non ci si rende nemmeno conto, con le proprie parole, di ammettere che aborto e infanticidio condividono la medesima natura. Il primo è solo un modo più “pulito e sicuro”, con il benestare di una legge dello Stato, per eliminare quegli stessi identici esseri umani in una fase diversa del loro sviluppo. Quel che cambia è che le vittime, totalmente oscurate dal grembo materno, non si vedono e non si sentono. E allora, “occhio non vede, cuor non duole” e si continua indefinitamente e pacificamente ad accettare la distruzione di milioni di innocenti in nome della “libertà di scelta” della donna. Libertà limitata tuttavia dai tempi e dalle procedure previsti dalla 194: tassativamente entro il terzo mese, per qualsiasi ragione, o entro il quinto quando il concepito è colpevole di non appartenere ai “perfetti”, purché in una struttura autorizzata.

Al di fuori di questo perimetro, l’aborto diviene un inaccettabile reato: forse perché si sopprime un essere umano innocente? No, perché si agisce al di fuori di ciò che è previsto dalla norma. Nella 194 non c’è alcun giudizio sull’aborto in sé, ma solo sulle circostanze in cui viene espletato.

Molti asseriscono che i limiti temporali imposti dalla 194 siano stati dettati da ragioni di carattere “scientifico”. Se così fosse, non si capirebbe per quale motivo tali limiti presentino variazioni così consistenti a seconda del paese considerato: si va dal Portogallo in cui vige un limite di 10 settimane, alla Spagna, con 14 settimane, passando dalla Svezia, con 18 settimane, fino ad arrivare alla Norvegia con 22 settimane e al Regno Unito con 24.

In alcuni stati americani, l’aborto è legale senza limiti gestazionali. Il criterio che guida il legislatore abortista in tutto il mondo non sembrerebbe essere poi così unanime, men che meno “scientifico”. Ma allora cosa dice davvero la scienza sul concepito?

La disciplina che si occupa specificamente di studiare le diverse fasi dello sviluppo umano è l’embriologia. Vi sono innumerevoli riferimenti all’interno dei libri di embriologia su quando effettivamente abbia inizio la vita di un nuovo essere umano.
In un documento del 1982 intitolato The Human Life Bill, riportante le audizioni davanti alla sottocommissione per la separazione dei poteri della commissione giudiziaria del Senato degli Stati Uniti d’America, si trovano diverse testimonianze tra cui quelle del Professor Jérôme Lejeune (1926-1994), del Professor Hymie Gordon (1926-1995) e della Professoressa Micheline Mathews-Roth (1934-2020). Quest’ultima, in particolare, citò numerosi riferimenti bibliografici di testi d’embriologia che mostrano come fatto scientificamente acclarato che la vita umana ha inizio col concepimento (pp. 14-17).
Le loro testimonianze sono state essenzialmente sintetizzate nelle parole di Lejeune che ha conchiuso affermando che lui e i suoi colleghi si erano limitati semplicemente ad affermare ciò che viene insegnato in tutto il mondo come un fatto: l’umanità del concepito.

A titolo d’esempio, si pensi a quanto riportato, nel libro di Keith L. Moore, Ph.D. e T.V.N. Persaud, Md., Lo sviluppo dell’essere umano: Embriologia clinicamente orientata, ottava edizione, (Filadelfia, W.B. Saunders Company, 2008):
«Lo sviluppo umano inizia al momento della fecondazione, cioè il processo durante il quale il gamete maschile o spermatozoo si unisce ad un gamete femminile o ovulo per formare una singola cellula chiamata zigote. Questa cellula totipotente altamente specializzata segna il nostro inizio come individuo unico» (p. 15).


Ancora, in T.W. Sadler, Embriologia Medica di Langman, decima edizione, Filadelfia: Lippincott Williams & Wilkins, 2006, è riportato quanto segue: «lo sviluppo di un essere umano inizia con la fecondazione, un processo mediante il quale due cellule altamente specializzate, lo spermatozoo del maschio e l’ovocita della femmina, si uniscono per dare origine ad un nuovo organismo, lo zigote» (p. 11).

All’embriologia, qualora non bastasse, viene in aiuto anche la genetica.

Il venerabile Lejeune scrisse anche un interessante libro intitolato Il messaggio della vita (Edizioni Cantagalli, Siena, 2002). In esso, affermava che «l’oggetto della genetica è appunto cogliere dal vivo ciò che anima la materia grezza, e descrivere l’informazione che produce e controlla miriadi di molecole capaci di incanalare questo formicolio di energia per conformarla alle nostre necessità. Nella vita è presente un messaggio e, se questo messaggio è umano, questa è la vita di un uomo» (pp. 21-22).

Nel medesimo volume, alla domanda se sia scientificamente possibile stabilire se l’embrione sia un essere umano, oppure se si tratti di una affermazione infondata, Lejeune risponde con nettezza: «Oggettivamente esiste una sola definizione possibile dell’essere umano: un essere umano è un membro della nostra specie. La sua natura è determinata dal patrimonio genetico della specie umana che riceve dai suoi genitori; l’embrione fa dunque parte della specie umana. La fecondazione segna l’inizio della vita, vale a dire la comparsa di un nuovo essere umano perfettamente unico e differenziato. La prima cellula umana e i suoi 46 cromosomi contengono già tutta l’informazione necessaria e sufficiente da cui uscirà, nome mesi più tardi, quel bambino che avrà un nome e caratteristiche proprie.

E continuava dicendo che «il metodo messo a punto in Inghilterra, da anni, da Alec Jeffreys per la lettura del DNA dei cromosomi umani, permette di identificare con precisione le caratteristiche di un individuo. Fornisce la prova, scientificamente irrefutabile, del carattere rigorosamente unico di ogni individuo. Non esiste alcuna differenza di natura fra l’embrione, il feto ed il bambino dopo la sua nascita: si tratta, in ogni caso, di una sola e stessa persona presa nei diversi stadi del suo sviluppo» (pp. 41-42).

A questo punto, si potrebbe ancora asserire di non essere riusciti a vedere ciò che è nascosto. Esiste tuttavia un sito The Endowment for Human Development, scientificamente inoppugnabile, che permette una visione interattiva dello sviluppo prenatale tramite una timeline che mostra non solo quali sono le strutture fisiologiche che si sviluppano ad ogni stadio della gravidanza, ma consente anche la visione di ogni stadio fetale tramite degli estratti di un documentario della National Geographic intitolato The Biology of Prenatal Development. Realizzato nel 2006 in collaborazione con esperti dello sviluppo umano, esso «comunica la meraviglia dello sviluppo umano dalla fecondazione alla nascita. Utilizzando sei tecnologie di imaging medico, il programma presenta una videografia diretta straordinariamente rara dell’embrione umano vivente e del feto nelle prime fasi del suo sviluppo all’interno del grembo materno da 4 settimane e mezzo a 12 settimane dopo la fecondazione».

Possiamo ben asserire, sulle spalle dei giganti, che l’abortismo non è solo contraddittorio e immorale, ma anche profondamente antiscientifico. Fatti come quello di Parma e similari, non fanno che attestarlo sempre di più.











 
settembre 2024
AL SOMMARIO ARTICOLI DIVERSI