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Parigi: incontro internazionale per la pace nello spirito di Assisi Articolo di Marcus Chiusura del 38° incontro per la pace, davanti a Notre-Dame de Parigi, 24 settembre 2024 Il 38° Incontro per la pace,
organizzato dalla Comunità Sant’Egidio, si è svolto dal
22 al 24 settembre 2024 a Parigi.
Questi incontri hanno avuto inizio in seguito alla riunione di preghiera ad Assisi, realizzato da Papa Giovanni Paolo II, che aveva convocato tutte le religioni per pregare insieme per la pace il 26 ottobre 1986. 150 responsabili religiosi si erano riuniti nella città di San Francesco e avevano pregato con il Papa. Questa riunione fu stigmatizzata da Mons. Marcel Lefebvre, che aveva denunciato una apostasia, un rinnegamento della Regalità di Cristo e della religione cattolica da Lui fondata: la sola vera religione; che non può accettare che venga paragonata a quelle che non lo sono, in quanto non possono condurre a Dio. Gli Incontri per la pace perpetuano e continuano questo «spirito di Assisi» che, ahimè, quest’anno si è esibito, per la sua cerimonia di chiusura, davanti a Notre-Dame di Parigi, riproducendo lo scandalo del 1986. Questo spirito continua a dimenticare che la sola pace è Cristo, Re della pace, che solo Lui può dare. In occasione della riunione di Assisi, la rivista Sì Sì No No aveva presentato gli elementi teologici che condannavano la giornata di preghiera e che continuano a stigmatizzare gli Incontri per la pace, instancabilmente rinnovati. Riproponiamo l’articolo Assisi 1986, che pensarne? E’ stato detto, con una precisione certamente involontaria, che «l’incontro di preghiera» di Assisi, è una «iniziativa personale» di Giovanni Paolo II. In quanto iniziativa «personale» essa non impegna minimamente il suo mandato di «pastore e dottore di tutti cristiani» (Vaticano I) e non riguarda neanche la dottrina, in quanto si conforma al tema – politico – proposto dall’ONU per quest’anno 1986, proclamato «anno internazionale della pace». «Il prossimo 27 ottobre si riuniranno ad Assisi, non solo i cattolici, ma anche «i rappresentanti delle altre religioni del mondo» per un incontro per la pace» (Cfr. L’osservatore Romano del 26/27 gennaio scorso). Quelli che Giovanni Paolo II ha chiamato «i rappresentanti delle altre religioni» sono sempre stati chiamati più propriamente dalla Chiesa: «infedeli»: «sono infedeli nel senso più generale tutti coloro che non hanno la vera fede; nel senso proprio gli infedeli sono i non battezzati, e si dividono in monoteisti (giudei e musulmani), politeisti (indù, buddisti, ecc), e atei» (Roberti-Palazzini, Dizionario di teologia morale, p. 813). Quelle che Giovanni Paolo II ha chiamato «altre religioni» sono sempre state chiamate più propriamente dalla Chiesa: «false religioni»: è falsa ogni religione non cristiana «in quanto non è la religione che Dio ha rivelato e ha voluto veder praticata. E’ falsa anche ogni setta cristiana non cattolica, in quanto essa non accetta né pratica fedelmente tutto il contenuto della Rivelazione (ibidem). Detto questo, l’«incontro di preghiera» può essere solo considerato, alla luce della fede, come: 1) Una
offesa fatta a Dio;
2) Una negazione della necessità universale della Redenzione; 3) Una mancanza di giustizia e di carità verso gli infedeli; 4) Un pericolo ed uno scandalo per i cattolici; 5) Un tradimento della missione della Chiesa e di San Pietro. Offesa fatta a Dio Ogni preghiera, compresa la preghiera di petizione, è un atto di culto (San Tommaso, Somma teologica, II-II, 83). Come tale essa deve essere rivolta a Colui al quale è dovuta e nel modo dovuto. Colui al quale è dovuta è: il solo vero Dio, Creatore e Signore di tutti gli uomini a cui Nostro Signore Gesù Cristo li ha ricondotti (I Gv. 5, 20) confermando il Primo Comandamento della Legge: «io sono il Signore, tuo Dio… non avrai altri dei all’infuori di Me… non li adorerai né presterai loro culto» (Es. 20, 2, 5; cfr. Mt. 4, 3-10; Gv. 17, 3, Tim. 2, 5. (Si veda Palazzini, Vita e virtù cristiane, p.52; e Garrigou Lagrange, De Revelatione, Roma-Parigi 1918, vol. I, p. 136). Nel modo dovuto significa: che corrisponde alla pienezza della Rivelazione senza miscuglio di errori: «Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori» (Gv. 4, 23). La preghiera rivolta alle false divinità o animata da opinioni religiose contrastanti in tutto o in parte con la Rivelazione divina, non è un atto di culto, ma di superstizione; essa non onora Dio, ma Lo offende; almeno oggettivamente è un peccato contro il Primo Comandamento (Somma teologica, II-II, 92-96). Chi pregheranno coloro che si riuniranno ad Assisi e in che modo? Invitati come «rappresentanti delle altre religioni», «essi pregheranno ognuno a suo modo e nello stile loro proprio». Questo è quello che spiega il Cardinale Johannes Willebrands, Presidente del Segretariato per i non cristiani (si veda L’Osservatore Romano del 27/28 gennaio 1986, p. 4). La cosa è stata confermata il 27 giugno 1986 dal Cardinale Roger Etchegaray in una conferenza stampa pubblicata da La Documentation catholique (7/21 settembre 1986) nella rubrica «Atti della Santa Sede»: «Si tratta di rispettare la preghiera di ciascuno, di permettere a ciascuno di esprimersi nella pienezza della sua fede, della sua credenza». Dunque, il 27 ottobre ad Assisi, la superstizione sarà ampiamente praticata e nelle sue forme più gravi: dal «falso culto» dei Giudei che nell’era di grazia pretendono di onorare Dio negando Cristo (Cfr. Somma teologica, II-II, 92 ad 3 e I-II, 10,11), all’idolatria degli indù e dei buddisti che rendono culto alla creatura invece di renderlo al Creatore (Cfr. Atti 17, 16). L’approvazione di tutto questo, almeno esteriore, da parte della gerarchia cattolica è sommamente ingiuriosa per Dio, in quanto suppone che Egli possa guardare con occhio ugualmente benevolo sia un atto di culto sia un atto di superstizione, sia una manifestazione di fede sia una manifestazione di incredulità (Cfr. II-II, 94, 1), sia la vera religione sia le false; in breve: sia la verità sia l’errore. Negazione universale della Redenzione Vi è un unico Mediatore fra Dio e gli uomini: Nostro Signore Gesù, Figlio di Dio e vero uomo (1 Tim. 2, 5). Per natura, gli uomini sono «figli della collera» (Ef. 2, 3): da Lui sono stati riconciliati col Padre (Col. 1, 20) ed è solo tramite la fede in Lui che possono avere l’ardire di avvicinarsi a Dio con fiducia (Ef. 3, 12). A Lui è stato dato ogni potere in Cielo e sulla terra (Mt. 28, 18) e nel Suo Nome ogni ginocchio dovrà piegarsi, in Cielo, sulla terra e sotto terra (Fil. 2, 10-11). Nessuno va al Padre se non tramite Lui (Gv. 14, 6) e non esiste alcun altro nome sotto il Cielo col quale l’uomo possa salvarsi (Atti 4, 12). Egli è la luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (Gv. 1, 19), e chiunque non Lo segue cammina nelle tenebre (Gv. 8, 12). Chi non è per Lui e contro di Lui (Mt. 13, 30) e chi non Lo onora oltraggia anche il Padre Suo che Lo ha inviato (proprio come fanno i Giudei) (Gv. 5, 23). E’ a Lui che il Padre ha rimesso il giudizio sugli uomini, ma chi non crede è già stato giudicato poiché non ha creduto nel Nome del Figlio Unico di Dio (Gv. 3, 18), a Lui e al Padre che Lo ha inviato (Gv. 17, 3). In più, Egli è il Principe della Pace (Is. 9, 6, cfr. Ef. 2, 14 e Michea 5, 5), poiché le divisioni, i conflitti e le guerre sono il frutto amaro del peccato, da cui l’uomo non si libera per virtù propria, ma in virtù del Sangue del Redentore. Quale parte avrà Nostro Signore Gesù Cristo ad Assisi nella preghiera dei «rappresentanti delle altre religioni» non cristiane? Nessuna, poiché per essi Egli resta sia uno sconosciuto sia una pietra d’inciampo, un segno di contraddizione. L’invito rivolto loro a pregare per la pace del mondo implica e lascia inevitabilmente supporre che ci siano persone - i cristiani - che devono avvicinarsi a Dio attraverso la mediazione di Nostro Signore Gesù Cristo e nel suo nome, e altre - il resto del genere umano - che possono avvicinarsi a Dio direttamente in nome proprio, senza tener conto del Mediatore. Lascia supporre che vi siano degli uomini che devono piegare il ginocchio davanti a Nostro Signore Gesù Cristo e altri che ne sono esentati; degli uomini che devono cercare la pace nel Regno di Nostro Signore Gesù Cristo e altri che possono ottenere la pace al di là del Suo Regno e perfino opponendosi ad esso. D’altronde, è quanto si evince dalle dichiarazioni dei due Cardinali citati prima: «Se per noi cristiani, Cristo è la nostra pace, per tutti i credenti la pace è un dono di Dio» (Cardinale Willebrands, L’Osservatore Romano citato); «per i cristiani , la preghiera passa tramite Cristo» (Cardinal Etchegaray, La documentation catholique citata). «L’incontro di preghiera» di Assisi è dunque la negazione pubblica della necessità universale della Redenzione. Mancanza di giustizia e di carità verso gli infedeli «Gesù Cristo non è facoltativo» ha detto il Cardinale Pie. Non vi sono degli uomini che sono giustificati per la fede in Lui e altri che sono giustificati senza tenere conto di Lui: ogni uomo si salva in Cristo o si perde senza di Lui. Non esistono neppure fini ultimi naturali che l’uomo possa scegliere in alternativa al suo unico fine soprannaturale; se, sviato com’è dal peccato, non trova in Cristo l’unica via (Gv 4,6) per raggiungere il fine per cui è stato creato, non gli resta che la rovina eterna. E’ la vera fede, quindi, e non la semplice «buona fede» la condizione soggettiva della salvezza per tutti, anche per i pagani; essendo necessariamente il mezzo, «se essa viene a mancare (anche involontariamente) è assolutamente impossibile ottenere la salvezza eterna (Eb. 9, 6) (Roberti-Palazzini, op. cit., p. 66). L’infedeltà volontaria, spiega San Tommaso, è un peccato e l’infedeltà involontaria è un castigo. In effetti, gli infedeli che non si perdono per il peccato di incredulità, cioè per il peccato di non aver mai creduto in Cristo di cui non hanno mai saputo niente, si perdono per i loro altri peccati che non possono essere rimessi a chi non ha la vera fede (cfr. Mc. 16, 15-16; Gv 20, 31; Eb 9, 6; Concilio di Trento, Denzinger 799 e 801; Vaticano II Dz. 1793; cfr. S. Th. II-II, 11, 1). Niente è, quindi, più importante per l’uomo che l’accettazione del Redentore e l’unione col Mediatore: è una questione di morte o di vita eterna. Ecco cosa gli infedeli hanno il diritto di sentirsi annunciare dalla Chiesa cattolica, conformemente al Comandamento divino (Mc 6, 16 ; Mt 28, 9-20). Ed ecco quello che la Chiesa cattolica ha sempre annunciato agli infedeli, pregando non con loro, ma per loro. Che succederà ad Assisi? Non si pregherà per gli infedeli, presumendo implicitamente e pubblicamente che non hanno più bisogno della vera fede. Invece, si pregherà unendosi a loro o, secondo la sottilità rabbinica di Radio Vaticana, si starà accanto a loro per pregare, presumendo implicitamente e pubblicamente che la preghiera dettata dall’errore è gradita a Dio come la preghiera fatta «in spirito di verità». Secondo il Cardinale Etchegaray, «si tratta di rispettare la preghiera di ciascuno». Il che vuol dire che gli infedeli che si riuniranno ad Assisi e che – attenzione – non sono quei «selvaggi cresciuti nelle foreste» che «non hanno mai conosciuto nulla della vera fede» e sui quali i teologi costruiscono le loro ipotesi quando discutono il problema della salvezza degli infedeli (San Tommaso, De veritate XIV, 11), saranno «rispettosamente» lasciati «nelle tenebre e nell’ombra della morte» (Lc. 1, 79). Autorizzati a pregare con le loro vesti distintive di «rappresentanti delle altre religioni» e conformemente alle loro errate credenze religiose, essi sono anche incoraggiati a perseverare nei peccati, almeno materiali, contro la fede: l’infedeltà, l’eresia, ecc. Invitati a pregare per la pace del mondo, definita un bene «fondamentale» e «supremo» (Giovanni Paolo II e il Cardinale Willebrands, L’Osservatore Romano del 7/8 aprile e del 27/28 gennaio 1986), essi sono allontanati dai beni eterni verso un bene temporale, verso un fine secondario naturale, come se non dovessero procurarsi un fine ultimo soprannaturale, questo sì fondamentale e supremo: «Cercate il Regno di Dio e la Sua giustizia, e il resto vi sarà dato in sovrappiù» (Mt. 6, 33). Per tutti questi motivi, l’«incontro di preghiera» di Assisi è, almeno dal punto di vista esterno, una mancanza di giustizia e di carità verso gli infedeli. La tribuna con i rappresentanti delle diverse religioni per pregare insieme Pericolo e scandalo per i cattolici La vera fede è indispensabile per la salvezza. I cattolici sono quindi obbligati ad evitare ogni pericolo imminente per la loro fede. Tra i pericoli esterni vi è il contatto con gli infedeli quando non deriva da una vera necessità. Questo contatto è illecito in virtù della legge naturale e divina, prima ancora che in virtù della legge ecclesiastica, e anche nei casi in cui la legge ecclesiastica non lo proibisce, per esempio nei rapporti sociali: Haereticum hominem devita, «Evita l’eretico» (Tito 3,10). Peraltro, la Chiesa ha sempre proibito, per materna preoccupazione, tutto ciò che per i cattolici potrebbe essere, non solo un pericolo per la fede, ma anche un motivo di scandalo (si veda sia il Codice di San Pio X, che ha ripreso la legge secolare della Chiesa, i Canoni 1258 e 2316; sia la Somma Teologica II-II, 10, 9-11). Quanto alle false religioni, la Chiesa ha sempre rifiutato ad esse il diritto al culto pubblico. Essa lo ha tollerato quando era necessario, ma tolleranza vuol sempre dire «in relazione ad un male da permettere per una ragione proporzionata» (Roberti-Palazzini, op. cit., p. 1702). In ogni caso la Chiesa ha sempre evitato e proibito ogni apparente approvazione dei riti non cattolici. Che succederà ad Assisi? Cattolici e infedeli «saranno insieme per pregare» (anche se non «per pregare insieme», per un incredibile giuoco di parole). Il che significa semplicemente che pregheranno insieme ad Assisi, prima negli stessi momenti nelle loro rispettive residenze, poi riuniti insieme per la cerimonia conclusiva davanti alla Basilica superiore di San Francesco. Questo lo si fa, non per proteggere la fede dei cattolici o almeno per evitare di scandalizzarli, ma per permettere a ciascuno di pregare «secondo la maniera e lo stile loro propri», per «rispettare la preghiera di ciascuno» e per «permettere a ciascuno di esprimersi nella pienezza della sua fede, della sua credenza» (Dichiarazioni già citate dei Cardinali Willebrands et Etchegaray). Ecco cosa comporta una approvazione almeno esteriore: 1) dei falsi culti a cui la
Chiesa ha sempre negato ogni diritto;
2) del soggettivismo
religioso che la Chiesa ha sempre condannato con i nomi di
indifferentismo o latitudinarismo e che si «cerca di giustificare
con delle pretese esigenze di libertà, misconoscendo i diritti
della verità oggettiva che si manifesta sia con i lumi della
ragione sia con i lumi della Rivelazione» (Roberti-Palazzini, op. cit., p. 805)
Ora, l’indifferentismo religioso che «è una delle eresie più deleterie» e che «mette tutte le religioni sullo stesso piano», porta inevitabilmente a considerare ingiustificata la verità della credenza religiosa, ragion d’essere della vita regolata e della salvezza eterna; «Si finisce col considerare la religione come un fatto del tutto individuale, in cui ci si adatta alle disposizioni di ciascuno, lasciando che si formi una religione personale, per arrivare alla conclusione che tutte le religioni sono buone anche se si contraddicono tra loro» (Ibidem, op, cit., p. 805). Ma con questo siamo fuori dall’atto di fede cattolica; siamo all’«atto di fede del vicario savoiardo» di Rousseau, che è un atto di incredulità nei confronti della Rivelazione divina. Questa è un fatto reale, una verità accreditata da Dio attraverso dei segni certi, perché l’errore in questo dominio avrebbe per l’uomo le conseguenze più gravi (Leone XIII, Libertas). Ora, in presenza di un fatto reale o di una verità evidente, non si può essere tolleranti al punto da approvare il comportamento di chi le considera come inesistenti o false: questo supporrebbe che non crediamo affatto o non siamo pienamente convinti della verità della nostra posizione, o che non siamo (o riteniamo di essere) in presenza di una materia assolutamente indifferente o banale, o anche che consideriamo la verità o l’errore come delle posizioni puramente relative» (Roberti-Palazzini, op. cit. p. 1703). E poiché l’«incontro di preghiera» comporta esattamente tutto questo, esso è occasione di scandalo per i cattolici e di grave pericolo per la loro fede. Grazie all’ecumenismo, i cattolici alla fine si ritroveranno riuniti agli infedeli, ma nella loro «comune rovina» (Pio XII, Humani Generis, 1950). Tradimento della missione affidata a Pietro ed alla Chiesa Si tratta di annunciare a tutte le nazioni: 1) Che vi è un solo
vero Dio, che si è rivelato a beneficio di tutti gli uomini in
Nostro Signore Gesù Cristo;
2) Che vi è una sola
vera religione, la sola in cui Dio vuole essere onorato, perché
Egli è Verità e che tutto quello che si oppone alla
verità nelle false religioni Gli ripugna: errori dottrinali,
immoralità delle leggi, sconvenienza dei riti;
3) Che vi è un solo
Mediatore fra Dio e gli uomini perché l’uomo possa sperare di
essere salvato, perché tutti sono peccatori e rimangono nel loro
peccato se sono privati del Sangue di Cristo;
4) Che vi è una sola
vera Chiesa, conservatrice in perpetuo di questo Sangue e «che
bisogna credere che nessuno può salvarsi fuori dalla Chiesa
Apostolica Romana, che è l’unica arca di salvezza e che coloro
che non vi entrano periranno nel diluvio» (Pio IX, Denzinger
1647); e devono entrarvi avendo tra le loro disposizioni morali, almeno
il desiderio, esplicito o implicito, di compiere tutta la
volontà di Dio, se la loro ignoranza è davvero
invincibile (Ibidem).
La missione della Chiesa consiste dunque nell’annunciare tutto questo: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt. 28, 19-20). «Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato» (Mc. 16, 15-16). Ora, perché la Chiesa possa compiere in sicurezza questa missione nel corso dei secoli, Nostro Signore ha affidato a San Pietro e ai suoi successori la missione di rappresentarLo visibilmente (Mt. 16, 17-19; Gv. 21, 15-17): «Questo Vicario di Cristo non ha il compito di stabilire una nuova dottrina con l’aiuto di nuove rivelazioni, né di creare un nuovo stato di cose, né di istituire nuovi sacramenti, non è questa la sua funzione. «Egli rappresenta Gesù Cristo a capo della Sua Chiesa la cui costituzione è completa. Questa costituzione essenziale, cioè la creazione della Chiesa, è stata l’opera propria di Gesù Cristo, che Egli stesso doveva portare a compimento e di cui ha detto al Padre: «Ho compiuto l’opera che mi ha dato da compiere (Gv. 17, 4). Non vi è più niente da aggiungere, bisogna solo mantenere questa opera, assicurare il lavoro della Chiesa e presiedere al funzionamento dei suoi organi. «Due cose sono necessarie: governarla e perpetuare l’insegnamento della verità. Il Concilio Vaticano I ha ridotto a questi oggetti la funzione suprema del Vicario di Gesù Cristo, Pietro rappresenta Gesù Cristo sotto questi due aspetti» (Dom Adrien Gréa, De l’Eglise et de sa divine constitution; cfr. Vatican I, Costituzione Pastor Aeternus, Capitolo IV). Il potere di Pietro è dunque senza eguali, ma tale potere di Vicario non è affatto assoluto, ma limitato dal diritto divino di Colui che egli rappresenta: «Il Signore ha affidato a Pietro, non le pecore di Pietro, ma le Sue, per farle pascere non nell’interesse di Pietro, ma nell’interesse di Dio» (Sant’Agostino, sermone 285, n° 3). Non è dunque nel potere di Pietro promuovere delle iniziative contrarie alla missione della Chiesa e del Romano Pontefice, come è evidentemente «l’incontro di preghiera» di Assisi. Pietro non può invitare dei «rappresentanti» delle false religioni a pregare i loro falsi dei, in luoghi consacrati alla fede del vero Dio, lui che è il Vicario di Colui che ha detto: «Vattene satana, sta scritto: Adora il Signore tuo Dio e rendi culto solo a Lui» (Mt. 4, 10; cfr. Deut. 6, 13). Lui non può autorizzare a fare a meno di Nostro Signore Gesù Cristo, lui che è il successore di chi ha ottenuto il primato in ragione delle sua fede, per aver detto: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt. 16, 16; cfr. Gv. 4, 69-70). Non spetta a lui essere pietra di inciampo per la fede dei suoi fratelli e figli, lui, il successore di colui che ha ricevuto il compito di confermarli nella fede (Lc. 22, 32) |