FINO A QUANDO ?

di L. P.


Siamo tentati, cari lettori, a emettere “voto perpetuo di silenzio” poiché il materiale da commentare, che papa Bergoglio ci offre, sta diventando una produzione senza soluzione di continuità a cui non è agevole e facile tener dietro.
Voto di silenzio e, quindi, una ferma alla nostra vigile sorveglianza. Non se ne può più di strafalcioni, di sceneggiate ad usum televisionis, di aberrazioni e di populismo peronista che sua Santità, quotidianamente, sciorina accompagnato dall’applauso universale dei suoi scaltri amici, vale a dire i nemici di Cristo e della Sua Chiesa  tanto somiglianti ai gatti di Fedro che, lieti e ammiccanti, portano in lettiga un galletto.

Lo abbiamo visto ieri, 22 settembre, nella visita “pastorale” in quel di Cagliari, sorridente offrirsi alle telecamere circondato da giovani in costume – manca che rilasci l’autografo… - ma abbiamo anche visto un pontefice reticente, “prudente” su taluni punti e vibrante e quasi savonarolesco su altri.
Eh sì, perché nel commentare la contemporanea strage di cristiani, perpetrata da elementi islamici legati ai taliban, fuori e all’interno di una chiesa cristiana di Peshawar (Pakistan), egli ha deplorato la morte di “70 persone” – numero salito poi oltre gli 80 - attribuita all’odio, ma tacendo della matrice e del colore di questo, matrice e colore islamici, e tacendo, vistosamente e pavidamente la confessione religiosa dei martiri.
70 cristiani ? No, 70 persone, solo questo.
Sarebbe stato onesto e doveroso dirci se gli attentatori suicidi avessero agito in “buona coscienza” secondo l’opinione da lui stesso espressa all’ateo Scalfari e se, quindi fossero stati perdonati e accolti nel seno di Dio.
Sarebbe stato ancora onesto e doveroso se avesse chiamati gli attentatori col vero nome: islamici.
Ma si sa, papa Bergoglio ama questi “cari fratelli” e mai li indicherebbe come esecutori di efferati delitti che gridano vendetta al cospetto di Dio.
Ma quando si tratta di altri fratelli, dei Frati dell’Immacolata ad esempio, c’è subito pronto un “commissario”…
   
Lo abbiamo visto e sentito, indossato l’abito del sindacalista e il casco del minatore, – non sia mai la mitria né tanto meno la tiara, figuriamoci…! -  lanciarsi in una giustissima critica al capitalismo e alle politiche mondialiste, priva, però, di quella tagliente e implacabile forza che fece esclamare al poeta “Maladetta sie tu, antica lupa/che più di tutte l’altre bestie hai preda/per la tua fame sanza fine cupa” (Pg. XX, 10/12) e  lo abbiamo visto e sentito affermare che “senza lavoro non c’è dignità”. Vero, conveniamo.
 
Ora, però, non vorremmo apparire – perché non lo siamo - insensibili alle cose di quaggiù, noi che abbiamo sperimentato nel vivo la disoccupazione, le lunghe giornate prive di pane e di companatico, la ricerca talora umiliante di un aiuto dal prossimo, gli sfratti forzosi e i pignoramenti, e perciò – cari lettori - comprendiamo, facendo nostra, con sofferta partecipazione, l’angoscia che attanaglia  oggi  in questa oscura ma pilotata crisi fatta di larga povertà e di consumismo/sperpero colossale, le famiglie e gli individui a cui mancano il sostegno e la sicurezza della sopravvivenza e del futuro.
Ma questi discorsi sono quelli del sindacalismo internazionale.
Noi avremmo voluto sentire più forte, e più elevata, la protesta papale se avesse ricordato che la dignità sta, innanzitutto, nell’adozione a figli di Dio, nella chiamata di Cristo a suoi coeredi, nell’indicazione che le cose di quaggiù sono date in aggiunta a chi cerca le cose di lassù. “Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete… Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt. 6,25-33). Compito primario del papa cattolico è quello di ricordare la Parola del Signore a cui può anche seguire il riferimento all’uomo e ai suoi problemi contingenti. E’ un discorso coraggioso ma, si sa, il Cristianesimo, messaggio di prospettiva ultraterrena, non è dottrina che si possa subordinare alle visioni sindacali o economiche. Sono queste, invece, che vanno coordinate nell’ottica cristiana. Ma dubitiamo che a siffatte parole sarebbe seguito l’applauso. Probabilmente qualche fischio.

Ma papa Bergoglio, definito dai massmedia, “papa operaio” aggiunge che “ devo dirvi: coraggio! Ma sono cosciente che devo fare tutto da parte mia, perché questa parola non sia una bella parola di passaggio! Non sia soltanto un sorriso di impiegato cordiale, un impiegato della Chiesa”.
Ci mancava, dopo un papa “venuto dalla fine della terra”, dopo un papa “uno come tanti”, dopo un papa  “gentiluomo”, dopo un papa “operaio”, dopo un papa incapace di definire l’omosessualità peccato gravissimo, ci mancava, dicevamo, un “papa impiegato della Chiesa”.
Da ex Vicario di Cristo, da ex successore di Pietro, da ex Vescovo di Roma siamo arrivati all’impiegato della Chiesa. Se si fosse chiamato “servo”, avremmo concordato dacché S. S. corrisponde, oltre che a Sua Santità, anche  a “servus servorum” - il servo dei servi - ma siffatta connotazione aggettivale, impiegato cioè, sa tanto di mestiere la cui caratteristica è anche la possibilità di licenziamento o di dimissioni volontarie.

E’ già successo e la stampa mondiale non si lascerà sfuggire l’occasione.
Primato petrino… addio!


   



settembre 2013

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