TOMISMO CONTRO PANTEISMO

seconda parte




di Don Curzio Nitoglia


Prima parte
Seconda parte


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Critica del panteismo

SAN TOMMASO D’AQUINO nel Commento alle Sentenze (I, d. 8, q. 1, a. 2) si pone la questione “se Dio sia l’essere di tutte le cose” e risponde che “Dio è l’essere di tutte le cose non essenzialmente ma causativamente”. Ossia, Dio non è coessenziale al mondo, ma ne è causa efficiente e realmente distinta.
Poi lo prova, distinguendo tre tipi di causalità efficiente: a) causa univoca: causa ed effetto sono identiche o della stessa specie (padre e figlio); b) causa equivoca: non vi è nessuna identità reale ma solo una certa vaga somiglianza qualitativa nominale (il sole che scalda le pietre scaldate si somigliano quanto alla qualità del calore, ma non sono della stessa specie); c) causa analoga: vi è una certa somiglianza tra causa ed effetto (quanto al fatto di esistere) mista a una dissomiglianza (sostanziale) più marcata, per esempio tra Dio e l’uomo, vi è una certa somiglianza relativa quanto al fatto che esistono, ma sono sostanzialmente diversi poiché Dio è ‘a Se’, le creature ‘ab Alio’.

Da ciò risulta che Dio produce l’essere del mondo secondo una debole e imperfetta somiglianza per rapporto alla sostanziale diversità tra loro due. Quindi “l’Essere divino produce l’essere del mondo in quanto dall’Essere infinito procede o è causato efficientemente l’essere di tutte le creature” (I Sent., d. 8, q. 1, a. 2). Nella Summa contra Gentiles (Lib. III, cap. 68) l’Angelico precisa che Dio è onnipresente, ma “non si trova mescolato al mondo: Egli non è né forma né tanto meno materia di alcuna cosa, ma si trova nelle sue creature come causa agente efficiente”. Quindi il mondo e le creature possono essere chiamati “divini” solo per partecipazione e imitazione in quanto creati da Dio (S. Th., I, q. 45, a. 7; I, q. 91, a. 4).

L’Aquinate elimina così anche ogni possibile equivoco immanentistico, distinguendo presenza, inerenza o immanenza da immanentismo. Così Dio non solo è l’«Ens a Se», ma è anche “Ens a quo omnia alia”. Come dice ancora S. Tommaso: “Quod dicitur maxime tale in aliquo genere, est causa omnium quae sunt illius generis” (S. Th., I, q. 2, a. 3) ossia Dio che è Essere massimo è causa di tutti gli enti; come pure “omnia quae sunt in aliquo genere, derivantur a principio illius generis” (S. Th., I-II, q. 1, a. 1, sed contra), cioè tutti gli enti, derivano o partecipano dal Principio dell’ente. Perciò Dio è Ens a se a quo omnia alia sunt; mentre la creatura è ens ab alio derivans et participans.

La FILOSOFIA TOMISTICA ha compendiato il pensiero del Dottore Comune così: il vero problema è quello della coesistenza e conciliazione del finito coll’Infinito. Posto ciò vi sono diverse scuole filosofiche: a) o si dice che Dio assorbe in Sé tutto e che non vi sono enti finiti all’infuori dell’Essere Infinito di Dio (panteismo monista); b) o se esistono altri enti, essi si aggiungerebbero a Dio formando assieme a Lui una perfezione ancora più grande, ma questa è una falsa nozione di Dio ed equivale a negare il vero concetto di Dio (ateismo). c) Tuttavia, vi è una terza possibilità: l’ente finito esiste, è un fatto, ora esso suppone una Causa incausata e Infinita, poiché una serie infinita di cause finite non spiega se stessa. Infatti, si resta nel campo dell’effetto e non si giunge alla causa o spiegazione della realtà creata e causata.

Se un cieco ha bisogno di una guida per camminare bene, la guida non può essere cieca, anche se la serie dei ciechi è infinita, non riesce a guidare o far camminare bene il cieco ultimo, anzi aumenterebbe la difficoltà e il caos; così se l’ignorante ha bisogno di un maestro, esso non deve essere ignorante, altrimenti non si arriverà mai all’istruzione, anche se la serie dei maestri ignoranti è infinita. Così si deve risalire dall’effetto alla causa, dal creato all’Increato, dal finito all’Infinito e non si può restare al livello degli effetti. La serie infinita di enti finiti ci farebbe restare nell’effetto causato e non ci fa risalire alla Causa incausata. Non si deve badare alla quantità o lunghezza della serie degli anelli di una catena, per spiegarne l’esistenza, ma occorre rimontare alla qualità degli anelli che compongono la catena e dall’effetto finito o causato risalire a una Causa incausata e Infinita.

La creatura è distinta da Dio perché essa è finita, però tutto ciò che ha, l’ha o lo partecipa da Dio che è l’Essere per essenza e non ha l’essere da nessuno (1). Onde, tutto quel che c’è di perfezione nella creatura è in maniera sovra-eminente ed infinita in Dio. Così la perfezione della creatura non aggiunge nulla a Dio. Dio e creature non formano “più-Essere” o “Super-Essere”, ma solo più enti, poiché l’essere della creatura è partecipato o dato da Dio, come se un allievo sa qualcosa in quanto glielo ha insegnato, dato o partecipato il maestro, maestro e scolaro non fanno più scienza ma solo più scienti.

Così a) tra panteismo (l’essere finito assorbito in Dio) e b) dualismo reale o Deismo (essere finito estraneo a Dio) vi è una terza posizione: c) l’essere finito delle creature che è partecipato o derivato da Dio (Essere Infinito), contiene in grado limitato quella perfezione che in Dio è Infinita. Vi sono più enti, ma non cresce l’Essere divino (contro il monismo panteista).
Perciò se si esclude a) l’identità o univocità tra Dio e mondo, come pure b) la separazione assoluta o dualistica (specialmente del Deismo moderno), resta c) la partecipazione causale. Dio è distinto dagli altri enti, ma non ne è separato, in quanto Infinito è distinto dagli enti finiti, ma anche presente dappertutto, come Causa efficiente, finale ed esemplare. Onde «l’ente e l’essere si dice di Dio e degli altri enti secondo l’analogia di proporzionalità propria. Dio sta al suo Essere in modo simile come ogni altro ente sta al suo essere. Tuttavia l’Essere di Dio è essenzialmente diverso da quello degli altri enti: Dio è lo stesso Essere per sua essenza, mentre ogni altro ente riceve, ha o partecipa dell’essere. C’è quindi una certa relativa somiglianza e una sostanziale diversità tra l’essere degli enti e quello di Dio» (2).

Il professor Andrea Dalledonne scrive che mentre Spinoza parte dal concetto dell’Assoluto come causa sui, la quale non può creare nulla; S. Tommaso inizia dall’ens il cui esse come atto è realmente diverso dalla sua essenza che è potenza, per raggiungere, mediante l’essere partecipato dell’ente finito la conoscenza di Dio come ipsum Esse subsistens e creatore di tutti gli enti composti di essenza ed essere. Quindi, l’Essere divino è infinitamente trascendente su tutti gli enti creati e allo stesso tempo presente ma non identico al mondo (3).



Obiezioni e risposte

Hegel valendosi di Spinoza ha apportato a favore del panteismo l’argomento più forte. Egli critica la Teologia naturale o dimostrazione razionale dell’esistenza di Dio a partire dalle creature per giungere a conoscere anche qualche suo attributo, per esempio l’Infinità. Soprattutto cerca di minare l’oggettività e la realtà dell’Essere divino, che sarebbe inventato o postulato da qualcun altro ossia l’uomo (Kant).

Per Hegel la teodicea tradizionale e specialmente tomistica compirebbe un passaggio indebito dal finito all’Infinito, di modo da non poter uscire dal bivio: o non liberare Dio dalla finitezza del mondo; o lasciarlo come un oggetto ‘davanti’ al soggetto, cadendo nel dualismo di tipo manicheo. Mentre solo il panteismo potrebbe rivendicare l’Infinità divina, che non può essere limitata da nulla e non può avere nulla ‘davanti’ a Sé o distinto da Sé. L’equivoco spinoziano-hegelista consiste nel voler porre Dio e il mondo “accanto” l’uno all’altro, come due enti finiti. No Dio e il mondo non sono due realtà di una medesima specie, così come un albero “accanto” a un altro albero lo limita o un Infinito “accanto” ad un altro Infinito lo esclude.

Tra Dio e il mondo non vie è univocità ma analogia, che salva la trascendenza e la distinzione reale, questo è il cuore del problema. L’esistenza finita del mondo, non toglie nulla all’Essere infinito di Dio come Atto puro da ogni potenza. Come il mondo non può aggiungere nulla all’Essere divino, poiché somma e sottrazione presuppongono omogeneità, (una mela meno una mela e non meno una pera), e non differenza (tre mele meno tre pere).

L’Essere infinito di Dio non obbliga a concepire il mondo finito come manifestazione diretta e connaturale dell’Infinità, ma piuttosto come qualcosa che, pur in una diversità sostanziale, ha in sé qualcosa (il fatto di esistere o di partecipare all’Essere divino) che rimanda necessariamente dal finito all’Infinito, dall’effetto alla Causa incausata.

Ma, divinizzare il mondo, per evitare questi scogli inesistenti (dacché il mondo essendo un effetto finito, voluto e creato liberamente da Dio, non limita la sua natura infinita) è una contraddizione, poiché l’Infinito per Spinoza ed Hegel, si attua necessariamente attraverso il mondo finito che noi conosciamo, il quale non è contingente ma necessario e coessenziale a Dio o appartenente alla sua natura. Per cui la finitezza del mondo non è nulla di reale e di “finito” ha solo il nome e non la realtà, essendo connaturale all’Infinità. Onde si cade nella contraddizione di far coincidere il finito coll’Infinito o il “cerchio col quadrato”. Un Dio la cui essenza coincide come le deficienze di questo mondo finito, è solamente un falso concetto di Dio, come un mondo talmente perfetto da essere Infinito è un falso concetto di mondo.

Hegel ha preso atto di questa critica mossa allo spinozismo ed ha cercato di uscirne, ricorrendo alla scappatoia della dialettica, che nega il principio di non-contraddizione e che pone l’assurdo (il finito in evoluzione costante verso l’infinito) al posto del vero Dio. Quindi, anche il panteismo dialettico non supera lo scoglio dell’assurdità. Inoltre il panteismo oltre a togliere l’Infinità a Dio, toglie alle creature la loro “partecipazione” limitata e finita ma reale all’Essere infinito di Dio che ha voluto liberamente crearle.

Come si vede il presupposto del panteismo è l’univocità dell’essere, che renderebbe Dio e il mondo della stessa specie, ossia entrambi infiniti. Onde Dio è essenzialmente e non causativamente immanente a tutte le creature (immanentismo e non onnipresenza o immanenza).

Solo l’analogia, la partecipazione, la causalità efficiente spiegano la onnipresenza e la Trascendenza di Dio e refutano ogni tipo di panteismo. L’unica soluzione del problema della conciliazione del finito coll’Infinito non è quello di ridurre tutto ad un’unica Sostanza infinita che coincide col mondo (Spinoza) e neppure la coincidenza sublimata degli opposti, tramite la dialettica hegeliana; bensì quella della loro armonizzazione ottenuta, mantenendo l’infinita differenza tra Dio e mondo mediante l’affermazione della loro analogia, presenza di causalità efficiente, trascendenza e distinzione reale di Infinito e finito. Come giustamente osservava Garrigou-Lagrange: “O Dio o l’assurdità radicale”.

La condanna formale del panteismo da parte della Chiesa risale al Sillabo di Pio IX (1864), San Pio X nella Pascendi (1907) insegna che le dottrine modernistiche sull’immanenza e il simbolismo portano al panteismo.


NOTE

1 - Cfr. C. FABRO, La nozione metafisica di partecipazione secondo S. Tommaso d’Aquino, Milano, Vita e Pensiero, 1939; ID., Partecipazione e causalità in S. Tommaso, Torino, SEI, 1961.
2 - P. CAROSI, Corso di filosofia, IV vol., Ontologia: Dio, Roma, Paoline, 1959, p. 228.
3 - A. DALLEDONNE, Il rischio della libertà: S. Tommaso – Spinoza, Milano, Marzorati, 1990, pp. 183-184.






 
ottobre 2024
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