|
|
La tradizione e il sensus fidei di Don Nicolas Cadiet, FSSPX Pubblicato sul sito francese della Fraternità San Pio X La Porte Latine Tavoli di lavoro al Sinodo sulla sinodalità Il primo Concilio del Vaticano ha fissato in maniera decisa le prerogative del Sommo Pontefice: il primato conferito a San Pietro, la trasmissione del primato ai successivi vescovi di Roma, le sue competenze magisteriali, la definizione solenne dell’infallibilità pontificia. Impediti a causa degli avvenimenti politici a proseguire i loro lavori, i Padri del Concilio non hanno potuto esporre una uguale dottrina sul potere dei vescovi. Questa lacuna avrebbe dovuto essere colmata dal secondo Concilio del Vaticano. Ora, si sa che la frangia progressista spingeva imperturbabilmente per un cambiamento della struttura gerarchica della Chiesa verso una aristocrazia dei vescovi, che avrebbero governato la Chiesa facendo del Papa un semplice presidente onorario. Anche il Padre Schillebeeckx, un teologo poco sospetto di tendenze integraliste, si scandalizzò per la manovra che consisteva nel «dire le cose diplomaticamente» per riservarsi di trarne le conseguenze dopo la chiusura del Concilio (1). Per far passare l’idea, la parola chiave fu «collegialità», con la quale si sfruttava al massimo il dato tradizionale della preoccupazione comune dei vescovi su tutta la Chiesa (2). L’intervento in extremis di Paolo VI con una nota esplicativa previa alla Costituzione Lumen Gentium impedì il peggio. Oggi, Papa Francesco sfrutta il tema del sensus fidei, l’istinto della fede che anima ogni battezzato in stato di grazia, per promuovere la partecipazione di tutti i fedeli al governo della Chiesa. Laddove i progressisti del Concilio puntavano ad una aristocrazia episcopale per la Chiesa, i progressisti di oggi puntano alla democrazia, sfruttando scandalosamente il dato tradizionale del sensus fidei. Collegialità e sensus fidei corrispondono a dati tradizionali, ma questi contorsionisti della dottrina ce ne offrono un significato adulterato che snatura la costituzione divina della Chiesa. Che fare per riprendere il significato corretto? Dei dotti teologi ci spiegano che la dottrina della Chiesa deve conformarsi alla lex vivendi. A partire da Prospero d’Aquitania, nel V secolo, si conosceva la lex orandi e la lex credendi (con la seconda che deve fissare la prima), oggi bisogna aggiungere la lex vivendi, che deve determinare le altre due, dipendendo, sembra, dalla direzione del vento sinodale (3). Dunque, sarebbe la vita della Chiesa a dover determinare il dogma. Ma se una parte della Chiesa si lascia sviare pretendendo di essere l’autentica voce dello Spirito Santo, come si potrà decidere? Bisogna ritornare a San Paolo: «Se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema!» (Gal. 1, 8). Concediamo che la vita della Chiesa sia un criterio di giudizio in teologia, come nel caso della pratica del Battesimo dei bambini, che ha contribuito ad esplicitare la dottrina del peccato originale; vi è un aspetto della vita della Chiesa che illustra la collegialità e il sensus fidei? A dire il vero, quando i fedeli, negli anni Settanta, abbandonarono le loro parrocchie in cui si predicava un altro Vangelo, per cercare dei sacerdoti che trasmettevano la fede cattolica, essi hanno dato prova di un vero sensus fidei. E quando Mons. Lefebvre procedette alle Cresime e alle ordinazioni sacerdotali in tutto il mondo – e anche alle consacrazioni episcopali – egli diede prova di una autentica sollecitudine episcopale per il bene della Chiesa in generale, per procurare ai fedeli quel quadro di vita cristiana integrale che non potevano trovare, se non eccezionalmente, nelle loro parrocchie e diocesi: non solo il rito della Messa, ma tutta la liturgia, la vita parrocchiale, il Catechismo, la vita religiosa, ecc.. Chi ci avrebbe creduto? Quando i futuri teologi cercheranno nella storia della Chiesa ciò che alimenta una corretta dottrina della gerarchia della Chiesa e delle prerogative dei laici, probabilmente è il movimento tradizionale che sarà il più significativo segno dei tempi, e un autentico luogo teologico! NOTE 1 – Citato in Raymond Dulac, La collégialité épiscopale au 2e Concile du Vatican, DMM, 1979, pp.145–146. 2 – Cfr. tra i testi del Concilio, la Costituzione Lumen gentium, n° 23, e il Decreto Christus Dominus, n° 3. 3 - Cfr. Grégory Solari, Visite apostolique de la Fraternité Saint-Pierre : « Le traditionalisme veut échapper au vis-à-vis de l’Église », la-croix.com, 3 ottobre 2024. |