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21 novembre 1974 – 21 novembre 2024 di
don Jean-Michel Gleize, FSSPX
Pubblicato sul Courrier de Rome n° 678 -
settembre 2024
Ripreso sul sito francese della Fraternità San Pio X La Porte Latine 1. Quest’anno 2024 ricorre il cinquantesimo anniversario della Dichiarazione di Mons. Marcel Lefebvre del 21 novembre 1974 (vedi). In essa, Monsignore scriveva a lettere d’oro le profonde ragioni dell’attitudine tuttora propria della Fraternità San Pio X, nel contesto del dopo Vaticano II. Queste ragioni sono le seguenti: obbedienza agli insegnamenti del Magistero; rifiuto degli errori contrarii a questi insegnamenti, così come sono emersi nel Vaticano II e successivamente; resistenza agli atti dei rappresentanti dell’autorità nella Chiesa quando essi impongono tali errori. 2. La ragione più profonda di tutte, ragione fondamentale che è alla base di tutte le altre, è l’obbedienza che esigono da tutti i cattolici gli insegnamenti e le direttive del Magistero ecclesiastico, Magistero affidato da Nostro Signore all’Apostolo San Pietro e tramite luia tutti quelli che gli succedono sul Soglio di Roma. Mons. Lefebvre scriveva: «Noi aderiamo con tutto il cuore, con tutta l’anima, alla Roma cattolica, custode delle fede cattolica e delle tradizioni necessarie per mantenerla; alla Roma eterna, maestra di saggezza e di verità». Questa obbedienza è in effetti la condizione assolutamente necessaria alla professione della fede salvifica. Perché, se la fede è un dono di Dio, una virtù soprannaturale infusa e ricevuta con la grazia del Battesimo, il suo esercizio dipende dal suo oggetto, ed è il Magistero instituito da Cristo che ce lo deve indicare, in nome di Cristo, dichiarando con autorità quali sono le verità che si impongono all’atto della nostra fede. Come ricordava ancora Pio XII nel 1950. «questo Magistero, in materia di fede e di morale, deve essere per tutti i teologi la regola prossima e universale della verità, poiché è lo stesso Cristo Signore che gli ha affidato il deposito della fede – Sacre Scritture e divina Tradizione – per conservarlo, difenderlo e interpretarlo» (1). 3. La seconda ragione è la prima conseguenza, inevitabile, della prima, al cospetto dei fatti che siamo obbligati a constatare. La conseguenza della sottomissione alla verità è il rigetto dell’errore ad essa contrario, quindi l’obbedienza agli insegnamenti del Magistero della Chiesa ha come conseguenza il rigetto di tutto ciò che vuole contraddire questi insegnamenti. E i fatti sono evidenti: l’errore contrario agli insegnamenti del Magistero è presente nella predicazione degli uomini di Chiesa, dal Vaticano II in poi. E Mons. Lefebvre continua: «Noi invece rifiutiamo e abbiamo sempre rifiutato di seguire la Roma dalla tendenza neo-modernista, neo-protestante, che si è manifestata chiaramente nel concilio Vaticano II e, dopo il Concilio, in tutte le riforme che ne sono derivate»: sì, chiaramente. L’opposizione tra gli insegnamenti del concilio Vaticano II e quelli del Magistero anteriore è evidente (2), se non altro nelle direttive pratiche che ne sono derivate e, a fortiori, nei passi chiave del Concilio relativi alla libertà religiosa (3), all’ecumenismo (4) e alla collegialità (5). 4. La terza ragione deriva dalle prime due: se l’obbedienza al Magistero ecclesiastico ci chiede di rigettare gli errori contrarii alle verità insegnate finora con autorità, la stessa obbedienza ci comanda di resistere agli atti degli uomini di Chiesa che vorrebbero imporre tali errori in nome di una falsa obbedienza. «Nessuna autorità», dice ancora Mons. Lefebvre, «anche la più elevata nella gerarchia, può costringerci ad abbandonare o a sminuire la nostra fede cattolica, chiaramente espressa e professata dal Magistero della Chiesa per 19 secoli! E’ per questo che, senza alcuna ribellione, alcuna amarezza, alcun risentimento, noi proseguiamo la nostra opera di formazione sacerdotale sotto la stella del Magistero di sempre, convinti che non potremmo rendere un servizio più grande alla santa Chiesa cattolica, al Sommo Pontefice e alle generazioni future». 5. Ed è qui che Mons. Lefebvre appoggia le sue dichiarazioni sul precetto dato dall’Apostolo San Paolo. Dice San Paolo nella sua Epistola ai Galati: «Se anche noi stessi o un angelo dal cielo - si nos aut angelus de cælo - vi predicasse un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anátema!» San Paolo anatemizza se stesso se insegnasse delle novità, se insegnasse qualcosa contraria a quello che ha insegnato prima. E’ questo che oggi ci ripete o dovrebbe ripetere il Santo Padre? E se dunque vi è formalmente una certa contraddizione nelle sue parole o nei suoi atti, o negli atti dei dicasteri, allora noi scegliamo ciò che è sempre stato insegnato e restiamo sordi alle novità distruttive della Chiesa! 6. Nel suo commento a questo passo dell’Epistola ai Galati (6), San Tommaso dà le seguenti precisazioni: «Vi sono tre tipi di insegnamenti: quello dei filosofi, che seguono la ragione naturale; la Rivelazione del Vecchio Testamento, comunicata dagli angeli (Galati III, 19); la Rivelazione del Nuovo Testamento, data direttamente da Dio (Gv I, 18; Ebrei I, 2). L’insegnamento dell’uomo può essere cambiato e revocato da un altro uomo che ha una migliore conoscenza; l’insegnamento dell’antica Legge rivelata dall’angelo può essere completato da Dio; ma l’insegnamento rivelato direttamente da Dio non può essere modificato né dall’uomo né dall’angelo. Ecco perché se accade che un uomo o un angelo dica il contrario di ciò che Dio ha rivelato, non è la sua parola che è contro la dottrina rivelata, ma è invece la dottrina rivelata che è contro la sua parola, così che chi ha pronunciato una tale parola deve essere escluso e cacciato dalla comunione basata su questa dottrina. Qui, l’Apostolo dice che la dottrina del Vangelo, direttamente rivelata da Dio, è di una così grande dignità che, se un uomo o un angelo predicasse qualcosa di diverso di ciò che è stato enunciato in questo Vangelo, egli è anatemizzato, cioè deve essere tagliato fuori e scacciato». 7. Teniamo in mente questa idea, che ha tutta la sua importanza: «Se avviene che un uomo o un angelo dica il contrario di ciò che Dio ha rivelato, non è la sua parola che è contro la dottrina rivelata, ma è invece la dottrina rivelata che è contro la sua parola». E’ la dottrina rivelata, già comunicata agli uomini dall’organo del Magistero divinamente istituito, che giudica contraria questa parola. Questa spiegazione del Dottore angelico corrisponde esattamente al criterio enunciato da Mons. Lefebvre in una omelia pronunciata a Ecône il 22 agosto 1976: «E quando ci si dice: “Voi giudicate il Papa, voi giudicate i vescovi”, noi rispondiamo che non siamo noi che giudichiamo i vescovi, è la nostra fede, è la Tradizione. E’ il nostro piccolo catechismo di sempre. Un bambino di cinque anni può dimostralo al suo vescovo. Se un vescovo dice ad un bambino: “Quello che ti dicono sulla Santa Trinità, che ci sono tre Persone nella Santa Trinità, non è vero”; il bambino prende il suo catechismo e dice: «Il mio Catechismo mi insegna che nella Santa Trinità ci sono tre Persone. E’ lei che ha torto. Sono io che ho ragione». Egli ha ragione perché con lui vi è tutta la Tradizione, perché con lui vi è tutta la fede. Ebbene, è questo che noi facciamo. Non siamo nient’altro. Noi diciamo: la Tradizione vi condanna. La Tradizione condanna quello che voi fate adesso» (7). 8. E’ vero. Abbiamo detto, ricordando l’insegnamento di Pio XII, che il Magistero della Chiesa, in materia di fede e di morale, deve essere per ogni teologo la regola prossima e universale della verità. Questa regola è quella dell’enumciato del Magistero, da cui i teologi, e con essi tutti fedeli, ricevono la Parola rivelata da Dio, il deposito della fede. In tempi normali si tratta dell’enunciato attuale, purché esso rimanga in perfetta omogeneità con quello espresso dal Magistero fino ad ora, in tutto il passato (8). Il Magistero si potrebbe descrivere con l’immagine di un’eco ininterrotto. Esso è detto «vivente» per distinguerlo dalla Rivelazione che è detta «compiuta» o «chiusa»; e il Magistero è vivente secondo questa accezione e non come fosse il Magistero attuale del Papa nel tempo presente, ma come è quello che è dal tempo degli Apostoli e fino alla fine del mondo. E’ questo Magistero ad essere la regola della verità in materia di fede e morale. Esso lo è ordinariamente nella sua predicazione attuale, purché essa sia l’eco inalterato di tutte le predicazioni passate. 9. Noi siamo obbligati a constatare che la predicazione attuale degli uomini di Chiesa, a partire dal Vaticano II, lungi dall’essere l’eco della predicazione del Magistero vivente della Chiesa, è in contraddizione con essa. Vi è dunque una carenza che deve indurci a basarci su tutta la predicazione passata del Magistero vivente della Chiesa, a basarci sulla Tradizione di venti secoli, per continuare a conservare la fede preservandoci dagli errori. Ed è questo il criterio indicato da San Paolo, come spiega San Tommaso: è la dottrina rivelata da Dio e già proposta dal Magistero vivente della Chiesa che è contro la parola degli uomini di Chiesa di oggi, che giudica e condanna le nuove parole del Vaticano II. 10. Mons. Lefebvre continua insistendo sulla gravità di questi errori, che toccano i fedeli soprattutto attraverso la messa in opera della riforma liturgica: «Non si può modificare profondamente la lex orandi, cioè la liturgia, senza modificare la lex credendi. Ad una Messa nuova corrispondono un Catechismo nuovo, un sacerdozio nuovo, seminari nuovi, Università nuove, una Chiesa carismatica, pentecostale; tutte cose opposte all’ortodossia e al Magistero di sempre. Questa riforma, scaturita dal liberalismo, dal modernismo, è interamente avvelenata, essa viene dall’eresia e conduce all’eresia, anche se tutti i suoi atti non sono formalmente eretici». 11. In nome dell’obbedienza al Magistero vivente della Chiesa, si impone la resistenza, in nome dell’eco ininterrotto della predicazione di Cristo e degli Apostoli: «E’ dunque impossibile per ogni cattolico cosciente e fedele adottare questa riforma e sottomettervisi in qualche modo. Il solo comportamento salutare e fedele alla dottrina cattolica è il rifiuto categorico dell’accettazione di questa riforma; è per questo che noi ci atteniamo fermamente a tutto ciò che è stato creduto, praticato nella fede, i costumi, il culto, l’insegnamento del catechismo, la formazione dei sacerdoti, l’istituzione della Chiesa fino al 1962, anteriori dell’influenza nefasta del concilio Vaticano II. Così facendo, con la grazia di Dio, l’aiuto della Vergine Maria, di San Giuseppe, di San Pio X, siamo convinti di rimanere fedeli alla Chiesa cattolica e romana, a tutti i successori di Pietro, e di essere i fedeli dispensatori dei Misteri di Nostro Signore Gesù Cristo in Spiritu Sancto». 12. Così facendo, Mons. Lefebvre e la sua Fraternità non mettono in causa l’indefettibilità della Chiesa? La famosa constatazione espressa continuamente dall’ex arcivescovo di Dakar («siamo obbligati a constatare»), non è forse quella del fallimento dell’istituzione fondata da Gesù Cristo e la negazione della Sua natura divina? Se si è ben compreso in che consiste esattamente l’indefettibilità della Chiesa (9), l’obiezione scompare da sola. Qui, tutto è basato sulla distinzione fondamentale tra, da un lato la stessa istituzione della Chiesa, che è una istituzione divina e dunque indefettibile, e dall’altro gli atti degli uomini di Chiesa che presentano questa istituzione. Il fallimento, se ce n’è uno, attiene non alla Chiesa in quanto tale, considerata nel suo Magistero, ma alcuni degli atti compiuti da alcuni membri della sua gerarchia, che hanno rotto con la Tradizione e che disgraziatamente occupano i posti di autorità nella Chiesa. Ma la Chiesa rimane indefettibile, attraverso la coraggiosa resistenza di tutti coloro che si oppongono alle riforme uscite dal Concilio e si attengono fermamente «a tutto ciò che è stato creduto […] fino al 1962, prima della nefasta influenza del concilio Vaticano II». 13. D’altronde, Mons. Lefebvre parla precisamente non di un’altra Roma, di una Roma eretica e scismatica, di una Roma neo-modernista e neo-protestane, ma di una Roma «dalla tendenza» neo-modernista e neo-protestante. Questa espressione vuole indicare, non la Chiesa in quanto tale, ma coloro che, nella Chiesa, spingono le anime verso gli errori già da tempo condannati. 1 - Pio XII, Enciclica Humani generis del 12 agosto 1950, AAS, t. XLII (1950), p. 567. 2 – Si vedano i numeri di luglio-agosto 2011, dicembre 2011, febbraio 2012 e settembre 2012 del Courrier de Rome. 3 – Dichiarazione Dignitatis humanae, n° 2. 4 – Decreto Unitatis redintegratio, n° 3 ; Costituzione Lumen gentium, n° 8. 5 – Costituzione Lumen gentium, n° 22. 6 – Commento all’Epistola di San Paolo ai Galati, cap. I, versetto 8, lezione II, n° 25. 7 - Istituto Universitario San Pio X, Vaticano II. L’autorité d’un Concile en question, capitolo XI : «Vera e falsa obbedienza; la fede non appartiene al Papa», Vu de haut n° 13, 2006, p. 35–36. 8 - Si vedano gli articoli « Seulement le Magistère ? » nel numero di febbraio 2016 del Courrier de Rome; «Le Magistère» nel numero di novembre-dicembre 2020; «Tradition ou herméneutique » nel numero di dicembre 2023. 9 – Si veda l’articolo «L’Eglise est indéfectible» nel numero 678 del Courrier de Rome. Don Jean-Michel Gleize è professore di apologetica, di ecclesiologia e di dogma al Seminario San Pio X di Ecône. E’ il principale redattore del Courrier de Rome. Ha partecipato alle discussioni dottrinali fra Roma e la Fraternità San Pio X tra il 2009 e il 2011. |