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Sinodo sulla sinodalità: Un frutto maturo del concilio Vaticano II Quinta parte Il Segretario del Sinodo ha precisato che questa decisione del Papa non rendeva «normativo» il documento. Ma cosa contiene il documento? Il nostro primo articolo esaminava il primo capitolo del Documento finale (DF), che forniva il “cuore della sinodalità” e tentava di definirlo, cosa che è riuscita più o meno grazie ai testi della Commissione Teologica Internazionale (CTI). Il nostro secondo articolo prendeva in considerazione i rapporti proposti dal Sinodo e il modo in cui il clero viene spogliato del suo compito, pur affidatogli da Cristo stesso. Il nostro terzo articolo riguardava i processi di conversione, ovvero l’applicazione di una struttura “democratica” alla Chiesa. Il nostro quarto articolo trattava della parrocchia, delle Chiese locali e del Papa. Questo quinto e ultimo articolo tratta de «la formazione di tutti i membri del Popolo di Dio alla sinodalità missionaria». Questo capitolo del DF parla della catechesi dell’iniziazione cristiana, dei luoghi di formazione come le famiglie, le parrocchie, i seminari, le comunità religiose, le istituzioni accademiche. Ed anche della pietà popolare, cara a Papa Francesco, «che indica a tutto il Popolo di Dio il cammino da seguire. E parla anche di catechesi. Sono indicate anche molte altre istituzioni educative come «la scuola, la formazione professionale, l’Università, la formazioni all’impegno sociale e politico, il mondo dello sport, della musica e dell’arte». La formazione sacerdotale I seminari sono trattati in particolare al n° 148: «Lungo il processo sinodale è stato ampiamente chiesto che i percorsi di discernimento e di formazione dei candidati al ministero ordinato siano configurati in uno stile sinodale». Cosa che evidentemente non lascia presagire alcunché di buono. Il testo prosegue: «Questo significa che tali processi devono comportare una presenza significativa di figure femminili, un inserimento nella vita quotidiana delle comunità e una educazione alla collaborazione con tutti i membri della Chiesa, nonché alla pratica del discernimento ecclesiale». Un piano che è già ben avviato e che pone numerosi interrogativi. Ma bisogna cambiare più in profondità: «L’Assemblea chiede una revisione della Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis, che integri le richieste maturate nel Sinodo e le traduca in indicazioni precise per una formazione alla sinodaltà. I percorsi di formazione devono essere in grado di risvegliare nei candidati la passione per la missione ad gentes». Dovrà quindi essere elaborata una ennesima versione di tale Ratio Fundamentalis, che rifletta i risultati del Sinodo. Questo fa pensare a degli adattamenti continui dei programmi, in funzione della teoria più in voga in un dato momento. La Chiesa deve continuamente forgiare nuovi abiti in base ai progressi post-conciliari. Non sono trascurati neanche i vescovi: «Non meno necessaria è la formazione dei vescovi, perché possano assolvere meglio la loro missione di comporre nell’unità i doni dello Spirito e di esercitare con uno stile sinodale l’autorità loro conferita». Nessun commento. Poi è la volta del punto ecumenico: «Lo stile sinodale della formazione implica che la dimensione ecumenica sia presente in tutti gli aspetti del cammino verso il ministero ordinato». In altre parole, è necessario che l’ecumenismo impregni completamente il clero, al punto da chiedersi quanto valga il cattolicesimo senza le altre religioni. Le materie sulle quali deve particolarmente vertere questa formazione sono elencate al n° 151: «Anche i temi della dottrina sociale della Chiesa, dell’impegno per la pace e la giustizia, della salvaguardia della casa comune e del dialogo interculturale e interreligioso, devono essere più ampiamente diffusi in seno al Popolo di Dio, affinché l’azione dei discepoli missionari possa incidere nella costruzione di un mondo più giusto e più fraterno». Questo numero e altri dello stesso tenore che abbiamo già citati, portano ad una tragica constatazione: l’appiattimento della fede e l’importanza primaria data a degli elementi secondari; così come all’illusione che un mondo «più giusto e più fraterno» possa realizzarsi senza Cristo: solo la conversione a Colui che è «tutta giustizia» può consentire alle anime di costruire un mondo migliore. Siamo al cospetto di una concezione rousseauiana, che pensa che gli uomini siano giusti e buoni per natura e che basti fare appello ai buoni sentimenti perché l’umanità si elevi. Il che significa dimenticare il peccato originale e le sue conseguenze, nonché la riparazione di questo terribile stato mediante la grazia di Cristo. La sola elevazione possibile è convertirsi a Lui. Ma oggi questo errore è comune, e viene da molto in alto, poiché Papa Francesco mostra regolarmente dei sintomi che dimostrano che ne è affetto. Con lui, e con questo Sinodo, noi arriviamo ad un nuovo livello di distruzione che ha avviato il Concilio e di cui esso ha seminato i germi. |