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Impietosi dati ISTAT su matrimonio e famiglia: ma qual è la loro origine? di Fabio Fuiano Pubblicato su Corrispondenza Romana Secondo i dati divulgati
lo scorso 22 novembre dall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT),
nel 2023 «sono stati celebrati
in Italia 184.207 matrimoni, il 2,6% in meno rispetto al 2022. […]
Nei primi otto mesi del 2024 i
dati provvisori indicano una nuova diminuzione dei matrimoni (-6,7%)
rispetto allo stesso periodo del 2023».
Nel report diffuso dall’ISTAT, si legge anche che «la diminuzione tendenziale dei primi matrimoni […], è strettamente connessa alla progressiva diffusione delle libere unioni (convivenze more uxorio). Queste ultime sono più che triplicate tra il biennio 2000-2001 e il biennio 2022-2023 […]» (p. 2). La notizia arriva a ridosso della manifestazione dell’associazione femminista “Non una di meno” che, il 23 novembre, al grido di “disarmiamo il patriarcato” e di improperi contro la famiglia, ha sfilato per le strade di Roma e di Palermo. Il Ministero dell’Interno ha anche disposto dei cordoni di polizia per deviare il percorso del corteo su via Merulana evitando che passasse per l’ultimo tratto di via Labicana e impedendo così un nuovo assalto alla sede di Pro Vita & Famiglia Onlus come quello del 25 novembre 2023. Ciononostante, un gruppo di ragazze si è staccato dal corteo e ha aggredito gli agenti di polizia in tenuta antisommossa nel tentativo estremo di raggiungerla ugualmente. Qualsiasi persona di buon senso dovrebbe domandarsi da dove venga questo odio viscerale contro la famiglia. Purtroppo, il colpo da maestro dei rivoluzionari per sovvertire l’ordine naturale, è stato proprio quello di distruggere la famiglia avvalendosi di un abile escamotage: sostituendo cioè ad essa un mero surrogato che non evoca nel cuore quell’amore cui naturalmente tenderebbe se gli fosse posta davanti la vera famiglia, bensì solo disprezzo per un anelito tradito. Queste donne, in realtà, lottano contro un’idea di famiglia – quella che si sono formate sulla base dell’opprimente narrazione rivoluzionaria anti-famiglia, incarnatasi poi nella propria (disastrosa) esperienza familiare – che nulla ha a che vedere con la famiglia come istituzione naturale voluta da Dio. E, così facendo, divengono inconsapevoli pedine per distruggere quel poco che ne rimane. Se realmente ci si vuol chiarire le idee, non si può fare a meno di leggere l’illuminante opera di mons. Henri Delassus (1836-1921) intitolata Lo Spirito Familiare nella società e nello Stato (Edizioni Fiducia, Roma 2024). In essa si delineano le cause della disgregazione della famiglia ma anche le condizioni per la sua ricostruzione. Sinora, qualsiasi sforzo in questo senso è fallito perché, afferma mons. Delassus, «subendo l’azione deprimente delle leggi e dei costumi usciti dai sofismi di Rousseau, noi non abbiamo visto che l’individuo, abbiamo lavorato sull’individuo, invece di considerare la famiglia e di portare i nostri sforzi a ricostituirla. La famiglia ricostituita genererebbe uomini nuovi. E’ il grido generale: Non abbiamo più uomini! Se noi non abbiamo più uomini, dipende dal fatto che non abbiamo più famiglie per produrli; e noi non abbiamo più famiglie perché la società ha perduto di mira il fine della propria esistenza, che non è di procurare all’individuo la maggior copia possibile di godimenti, ma di proteggere il primo germe delle famiglie, e di aiutarle a elevarsi sempre più in alto» (p. 97). Le leggi succitate sono principalmente (a) il Codice civile post-Rivoluzione francese e napoleonico e (b) la legge sul divorzio. Questa legislazione, combinata con una nuova concezione romantica del matrimonio, ha disgregato i due elementi su cui si fondava la famiglia: il focolare e la tradizione degli antenati. Mons. Delassus fa notare come «questi due sostegni sono stati rotti ambedue dalla legge: il primo direttamente, il secondo indirettamente. La trasmissione del focolare e del patrimonio che lo circonda formava nelle generazioni successive il vincolo materiale che le accostava le une alle altre. A questo primo legame se ne aggiungeva un altro: la genealogia e le istruzioni degli antenati consegnate nel libro in cui era descritta la genealogia. Il Codice civile si è opposto alla trasmissione del focolare; ha decretato la divisione eguale dei beni mobili ed immobili: con ciò ha isolate tutte le generazioni, le ha rese tutte indipendenti: e da quelle che le hanno precedute e da quelle che verranno; e per tutte esso ha modificato a poco a poco la maniera di pensare relativamente all’eredità paterna. Non vi si scorge più che una sorgente di godimenti individuali. Un tempo, era un deposito, un sacro deposito che si aveva obbligo di trasmettere come lo si era ricevuto» (pp. 97-98). Il focolare e il dominio patrimoniale erano in precedenza concepiti come un bene che non era permesso dissipare e che anzi ogni membro della famiglia doveva sforzarsi di accrescere. I figli venivano allevati «nel pensiero che, dopo la morte dei genitori, il patrimonio non poteva esser diviso, ed il focolare paterno, asilo di pace consacrato da tante rimembranze e virtù, non poteva essere venduto senza delitto. Quello che poteva essere diviso, era il prodotto netto del lavoro comune, al quale avevano contribuito i diversi membri della società domestica attuale; ma l’opera degli ascendenti doveva essere conservata intatta per essere fedelmente trasmessa nelle mani di coloro che domani, e nei secoli futuri, avrebbero continuato a conservar la famiglia che i primi autori avevano fondata» (p. 99). Questo garantiva la stabilità e perpetuità della famiglia, anche alla morte dei suoi singoli membri. D’altro canto, per quel che concerne il divorzio, lo scrittore francese Paul Bourget (1852-1935) ebbe profeticamente a dire: «la legge del divorzio è stata fatta a nome dei diritti dell’individuo, contro il vincolo della famiglia. E’ inevitabile che essa tenda sempre più a sciogliere questo vincolo finché finisca per romperlo interamente. Tutte le ragioni che furono valevoli per autorizzare il divorzio sono egualmente valevoli per la sua estensione indefinita, […] nel romanzo Deux Vies, Paul e Victor Margueritte venivano a farsi gli apostoli dell’“allargamento del divorzio”. Questi romanzieri ebbero il merito, non solo d’incarnare le loro teorie in una favola commovente e forte, ma perfino di trarne le conclusioni con una chiarezza singolare. Io sono persuaso che l’essenziale del loro progetto non tarderà ad entrar nel Codice, poi, dopo breve intervallo di tempo, sarà passato oltre, e che questa maggior facilità andrà aggravandosi fino al giorno in cui la legge del divorzio avrà manifestata la conseguenza che porta realmente in grembo: la sostituzione dell’Unione libera alla Famiglia» (Un Divorce in Revue de Lille, Ed. Suer-Charruey, Arras 1904, t. VIII, p. 1050). Anche l’Italia ha assunto la logica del Codice civile rivoluzionario (cfr. Codice civile, Libro Secondo, Titolo II, art. 566), con la sua massima espressione nella “riforma” del diritto di famiglia del 1975, ricordata di recente anche dal ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara: dopo aver annientato il focolare, si è distrutta anche la differenza naturale tra il padre (l’autorità della famiglia) e la madre (il cuore della famiglia). Ciò, ha spianato la strada alla legge sul divorzio promulgata il 1° dicembre 1970. Stanti così le cose non vi può essere famiglia nel senso stretto della parola. Si ha solo quel che il sociologo Frédéric Le Play (1806-1882) definiva “regime di famiglia instabile”. Infatti, «lo spirito ed il testo del Codice civile sono opposti ad ogni consolidamento, ad ogni perpetuazione. Esso dà della famiglia solo l’idea d’una società momentanea, la quale si scioglie alla morte d’uno dei contraenti» (Lo Spirito Familiare, p. 112). Non si tratta di teorie, ma di fatti, corroborati dagli impietosi dati ISTAT. Come stupirsi, dunque, che non si vogliano formare nuove famiglie ma, piuttosto, si prediligano le libere unioni? E che, vista la loro instabilità e conseguente innaturalità, gli uomini e le donne del nostro tempo non abbiano la benché minima nozione di “famiglia”? Sono nodi che non potranno essere sciolti fintantoché non si rimetterà in discussione il fondamento ideale delle leggi ingiuste vigenti. |