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I carcerati di Bergoglio di
Belvecchio
Questa lettera che abbiamo
ricevuta ci dà la possibilità di soffermarci su alcune
delle interminabili parole di papa Bergoglio, che, come accaduto al
nostro lettore, ci lasciano perplessi.
Come riportato da Radio Vaticana, papa Bergoglio, in una udienza ufficiale ai circa 200 partecipanti al Convegno nazionale dei cappellani delle carceri italiane promosso a Sacrofano, nei pressi di Roma, il 23 ottobre scorso, ha affermato: “Voi
siete segno della vicinanza di Cristo a questi fratelli che hanno
bisogno di speranza. Recentemente avete parlato di una giustizia di
riconciliazione, ma anche di una giustizia di speranza, di porte
aperte, di orizzonti. Questa non è un'utopia, si può fare.”
In effetti, il convegno in questione si è svolto sul tema: “Giustizia: pena o riconciliazione. Liberi per liberare”. Dove il “liberi per liberare”, se non è un enunciato esoterico è allora una tipica affermazione moderna che serve per dire niente con parole vuote che neanche nascondono il nulla. Potremmo parlare di demagogia, ma ce ne asteniamo per non dare l’impressione che manchiamo di carità cristiana, mentre invece scriviamo queste righe proprio per carità cristiana. Il Papa, parlando dei carcerati con cui è in corrispondenza, ha affermato: “Qualche
volta li chiamo, specialmente la domenica, faccio una chiacchierata.
Poi quando finisco penso: perché lui è lì e non io
che ho tanti e più motivi per stare lì? Pensare a questo
mi fa bene: poiché le debolezze che abbiamo sono le stesse,
perché lui è caduto e non sono caduto io? Per me questo
è un mistero che mi fa pregare e mi fa avvicinare ai carcerati”.
Davvero singolare questa confessione, che induce a riflettere con attenzione, soprattutto perché suggerisce sottilmente la strana idea, per una persona normale, che i carcerati siano in carcere non per una colpa che hanno commesso, ma per un qualche capriccio di qualcuno, se non addirittura per un’ingiustizia subita per mano dei più forti; come sembra spiegare papa Bergoglio quando dice: “Potete
dire questo: il Signore è dentro con loro; anche lui è un
carcerato, ancora oggi, carcerato dei nostri egoismi, dei nostri
sistemi, di tante ingiustizie, perché è facile punire i
più deboli, ma i pesci grossi nuotano liberamente nelle acque.
Nessuna cella è così isolata da escludere il Signore,
nessuna; Lui è lì, piange con loro, lavora con loro,
spera con loro.”
Verrebbe da dire: Amen! E invece sorge subito dal cuore un moto di
stupore, misto ad un certo disorientamento che rasenta l’indignazione.Orbene, tutto parte da quello che la Chiesa ha sempre raccomandato tra le opere di misericordia corporale: “visitare i carcerati”, perché l’amore per il prossimo si manifesta anche così, proprio sulla base di quanto raccomanda Nostro Signore: “Allora il re
dirà a quelli che saranno alla sua destra: «Venite,
benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato
per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi
avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero
straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi
avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi” (Mt, 25, 34-36).
Raccomandazione che Gesù lega al giudizio finale, quando i
giusti verranno separati dai maledetti e posti alla sua destra
perché “In
verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di
questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt, 25, 40).A leggere, anche ripetutamente, questo passo del Vangelo di San Matteo, unitamente ai passi corrispondenti di San Luca 10, 16 e di San Giovanni 13, 34-35, invano si ricaverebbe quanto gratuitamente affermato da papa Bergoglio. Non un minimo appiglio per “il Signore è dentro con loro”; non una minima giustificazione per “è facile punire i più deboli, ma i pesci grossi nuotano liberamente nelle acque”; non il sia pur debole accostamento per poterne dedurre: “perché lui è lì e non io che ho tanti e più motivi per stare lì?”. L’unica cosa che si ricava è che papa Bergoglio giuoca con le parole e con i sentimenti per fare delle affermazioni scomposte e fuori luogo. Se si deve andare a visitare i carcerati, è perché costoro sono carcerati in forza delle loro colpe e quindi in forza delle loro debolezze a cui non hanno saputo o voluto resistere. Certo, questo può capitare a chiunque di noi poveri peccatori, ma è logico che poi dobbiamo subire il giusto castigo, accettandolo come ricompensa per le nostre colpe. Se così non fosse, anche la giustizia divina sarebbe incongrua col raccogliere alla sinistra del Re coloro che non hanno visitato i carcerati e per i quali c’è il “fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli” (Mt. 25, 41). Non abbiamo difficoltà a riconoscere che la giustizia umana è soprattutto manchevole, ma qui papa Bergoglio non fa un discorso sulla manchevolezza della giustizia umana che tante volte è una vera ingiustizia, no, egli parla in generale, compiangendo la mala sorte dei carcerati come se essa fosse frutto di un qualche abuso, concetto sottolineato da quel richiamo ai deboli che verrebbero puniti perché deboli. Questa è demagogia assurta a predicazione cattolica per una distorta concezione della religione di Dio. Quand’egli si chiede: “perché lui è lì e non io che ho tanti e più motivi per stare lì?”, relativizza la colpa del reo e confonde volutamente la condizione di peccatore con quella di violatore della legge, abbassando così la giustizia divina alla giustizia umana. E non c’è scappatoia, perché, o papa Bergoglio ha qualche grave colpa da confessare al magistrato, e non avendolo fatto ne ha rimorso, o si riferisce alla sua condizione di uomo peccatore e inganna i carcerati facendo credere loro che non avrebbero colpe diverse da quelle di un qualunque altro uomo. Cosa significherebbe altrimenti la battuta spiritosa: “e non io che ho tanti e più motivi per stare lì?”. Ancora una volta papa Bergoglio confonde il sacro col profano e lo fa un po’ volutamente e un po’ inconsciamente, perché davvero dimostra di non avere idea di che cosa significhi essere un uomo di Chiesa. La cosa grave, però, sta nel fatto che così facendo distrugge nei fedeli il vero senso dell’essere cattolici, inducendoli a considerare la religione cattolica come fosse un’ideologia, quasi a confermare che egli rifugge da ogni altra ideologia che non sia la sua: populista, pauperista e buonista… costi quel che costi… anche a costo della perdizione delle anime dei fedeli. E non esageriamo, perché tutto questo bel discorrere si risolve inevitabilmente nella relativizzazioe del sacramento della confessione, come papa Bergoglio ha già avuto modo di fare in questi mesi (vedi gli articoli di Giovanni Servodio: Papa Bergoglio si confessa) A riprova di ciò ecco una frase magistrale che sembra fatta apposta per ingannare e per condurre fuori strada: “Recentemente
avete parlato di una giustizia di riconciliazione, ma anche di una
giustizia di speranza, di porte aperte, di orizzonti. Questa non
è un'utopia, si può fare.”
Che cosa si può fare? La giustizia di speranza? Una pura invenzione di Bergoglio: perché la grande speranza per chi ha commesso un reato è scontare la pena corrispondente col cuore contrito e col proposito di non sbagliare più. Che cosa si può fare? La giustizia di porte aperte? Cioè una giustizia ingiusta che non darebbe ad ognuno il suo, parificando i violatori della legge ai rispettosi della legge? Che cosa si può fare? La giustizia di orizzonti? Che è una mera inconsistenza verbale buttata lì per confondere le idee e permettere a chiunque di leggervi quello che più gli pare? |