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«Insano archeologismo» e «malsano aggiornamento» di Don Curzio Nitoglia ![]() L’Autodemolizione dell’ambiente ecclesiale Oggi lavora nel seno della Chiesa una crisi generalizzata e senza precedenti di autodemolizione, perché, guidata da membri della Chiesa, che scuote in profondità la coscienza dei fedeli, in quanto, li confonde in ciò che hanno di più essenziale nella religione. La crisi nella Chiesa non potrebbe essere più profonda. Che cosa è rimasto intatto nel cristianesimo? Infatti, se non vi è certezza sul dogma trinitario, mistero fondamentale della Rivelazione cristiana; se aleggiano ambiguità sulla Persona adorabile dell'Uomo-Dio, Gesù Cristo; se si è titubanti di fronte alla Santissima Eucaristia; se non si concepisce la Chiesa come istituzione di salvezza; se non si sa che posto occupa il sacerdote in mezzo ai fedeli e non vi è neppure sicurezza per ciò che concerne gli obblighi morali; se la preghiera non ha valore e neanche la sacra Scrittura, che cosa resta del cristianesimo, della Rivelazione cristiana? Complotto giudaico/massonico contro la
Chiesa di Cristo
Tanto più, in quanto, è in atto un’autentica cospirazione per demolire la Chiesa. I dubbi, le ambiguità e le incertezze nell’esposizione positiva del dogma, si aggiungono al silenzio su alcuni, misteri fondamentali del cristianesimo e alla tendenza a ricostruire, partendo dai dati psicologici e sociologici, un cristianesimo su cui si fondi una vita cristiana priva di elementi religiosi. L'azione duplice ma convergente nella
formazione
di una nuova “religiosità”: «insano archeologismo» e «malsano aggiornamento» Vi è perciò, in mezzo ai fedeli, un movimento, dall'azione duplice ma, convergente nella formazione di una nuova “religiosità”, che può essere soltanto una nuova falsa religione: da un lato, si generano incertezze sui misteri rivelati, sia tramite un «insano archeologismo» (PIO XII, Mediator Dei, 1947); dall'altro, si struttura una vita cristiana secondo i gusti dello spirito del secolo, tramite il modernismo. Si tenta, per mezzo di un linguaggio ambiguo e ricercato, di presentare una nuova “religiosità”, consona ai gusti dell'uomo formato secondo le massime del mondo di oggi. Così si diffonde, più o meno ovunque, l'idea che la Chiesa romana deve passare attraverso un mutamento radicale, nella sua morale, nella sua liturgia, e anche nella sua dottrina. La chiesa preconciliare è sorpassata
S’inculca la tesi che la Chiesa tradizionale, come esisteva sino al Vaticano II, non è più all'altezza dei tempi moderni. Di conseguenza, deve trasformarsi totalmente. E un’osservazione rapida su quanto succede in ambienti cattolici porta alla convinzione che davvero, dopo il Concilio, esiste una nuova “religiosità”, essenzialmente distinta da quella conosciuta, prima del grande sinodo, come la religione dell'unica Chiesa di Cristo. Infatti, si esalta, come principio assoluto e intangibile, la dignità umana, ai cui diritti si sottomettono la verità e il bene. Questa concezione inaugura la religione e il culto dell'uomo; e fa dimenticare l’austerità cristiana e la beatitudine celeste. Nei costumi, il medesimo principio dimentica l'ascetica cristiana, ed è assolutamente indulgente anche con il piacere sensuale, dal momento che, l'uomo deve cercare la sua pienezza sulla terra. Nella vita coniugale e familiare, la religione dell'uomo esalta l'amore e antepone il piacere al dovere, giustificando, a questo titolo, i metodi anticoncezionali, diminuendo l’opposizione al divorzio, e rivelandosi favorevole all’omosessualità e alla coeducazione, senza temere la sequela di disordini morali a essa inerenti, come conseguenza del peccato originale. Nella vita pubblica, la religione dell'uomo non comprende la gerarchia e propugna l’egualitarismo proprio dell'ideologia marxista e contrario all'insegnamento naturale e rivelato, che attesta l'esistenza di un ordine sociale richiesto dalla natura stessa. Una “Chiesa” trasformata in “istituto di
accoglienza e assistenza sociale”
Nella vita religiosa, lo stesso principio preconizza un ecumenismo che, a beneficio dell'uomo, metta d'accordo tutte le religioni; preconizza una “Chiesa” trasformata in istituto di assistenza sociale e rende inintelligibile il sacro, comprensibile soltanto in una società gerarchica. Da, ciò la preoccupazione eccessiva per la promozione sociale, come se la Chiesa fosse soltanto un più esteso organismo di assistenza sociale. Da ciò, e allo stesso modo, la secolarizzazione del clero, il cui celibato viene considerato qualcosa di assurdo, così come si considera strano il genere di vita del sacerdote, intimamente legato al suo carattere di persona consacrata, in modo esclusivo, al servizio dell'altare. Nella liturgia, si riduce il sacerdote a semplice rappresentante del popolo, e i mutamenti sono tali e tanti che essa cessa di presentare adeguatamente, agli occhi del fedele, l'immagine della Sposa dell'Agnello, una, santa e immacolata. I
“nuovi a/teologi”
Evidentemente il rilassamento morale e la dissoluzione liturgica non potrebbero coesistere con l’immutabilità del dogma. D'altronde, già quelle trasformazioni indicavano mutamenti nel modo di concepire le verità rivelate. Una lettura dei nuovi teologi, considerati come portavoce del Concilio, evidenzia come, di fatto, in certi ambienti cattolici, le parole con cui si enunciano i misteri della fede, comportano concetti totalmente diversi da quelli che risultano dalla teologia tradizionale. Ma, non si comportano allo stesso modo i teologi della nuova “religiosità”. Essi non sono attenti alla realtà, la cui espressione può variare, purché, tuttavia, la rappresenti quale essa è. Essi desiderano soddisfare la mentalità moderna. Per loro, l’attualizzazione della Chiesa consiste nell'adattamento della sua dottrina a questa mentalità. E siccome l'uomo moderno ha formato il suo pensiero in un ambiente culturale tutto rivolto verso le apparenze, verso i fenomeni e, inoltre, avverso alla metafisica, la Chiesa, dicono i “nuovi teologi”, per non sprofondare ha bisogno di accordare la sua dottrina a tale modo di pensare. Non si capisce come quest’atteggiamento possa sfuggire all'errore modernista, per cui il dogma si evolve dall'uno all'altro significato, secondo le esigenze culturali dell'epoca in cui viene enunciato. L’Immutabilità e sviluppo della
Verità rivelata
contro l’«insano archeologismo» e il «malsano aggiornamento» Ricordiamo che la verità rivelata si comunica al mondo in un linguaggio umano. Questo linguaggio, per quanto inadeguato, non è semplice simbolismo; esso deve esprimere, oggettivamente, ciò che è il mistero di Dio, benché non lo manifesti nella sua ricchezza inesauribile. Ecco la ragione per cui le formule dogmatiche non possono evolversi mutando di significato. La fede, una volta trasmessa, dice san Giuda Taddeo, lo è «una volta per tutte» (1). Essa è immutabile e invariabile. Non patisce addizioni, sottrazioni, o alterazioni. Può essere illuminata, non può trasformarsi. E come un essere vivente, che si sviluppa e si perfeziona, mantenendo tuttavia la medesima natura, che fa sì che l’individuo sia sempre lo stesso. Importanza
delle formule dogmatiche tradizionali
Per questo, è di somma importanza mantenere le formule che, costituite nella Chiesa con l'assistenza dello Spirito Santo, la Tradizione e i Concili hanno fissato, per esprimere con esattezza il concetto rivelato. Tale linguaggio dogmatico può subire alterazioni accidentali, ma non può essere modificato da cima a fondo. Ora, ciò cui, sotto il segno dell'«aggiornamento››, assistiamo dopo il Concilio, in vari ambienti cattolici, è il disprezzo tanto dei costumi come delle formule tradizionali. Facciamo qualche esempio. Il Concilio di Nicea, dopo anni di lotte contro gli ariani, ha fissato, nella parola consustanziale, il concetto della unità di essenza delle Tre Persone Divine. Oggi, in certi ambienti cattolici, quel termine viene coscientemente abbandonato. Da ciò l'incertezza, il dubbio che si lamenta riguardo ai dogmi della santissima Trinità e del divino Salvatore. Il Concilio di Trento, contro il simbolismo protestante, consacrò il vocabolo transustanziazione, per indicare il mutamento totale della sostanza del pane e della sostanza del vino nel Corpo e nel Sangue di Gesù Cristo. Tale parola dà l'idea di quanto avviene, oggettivamente, sull'altare, al momento della consacrazione nella santa Messa, e ci assicura della presenza reale e sostanziale di Gesù Cristo nel santissimo Sacramento, anche dopo che è terminato il “Santo Sacrificio”. In quanto, termine aristotelico, che non concorda con le correnti filosofiche attuali, la parola transustanziazione viene rigettata dai teologi della nuova teologia. La sostituiscono con un'altra - «transignificazione››, «transfinalizzazione›› dando ragione all'affermazione del Papa che si pone in dubbio il mistero dell'Eucaristia e della presenza reale. Nella pratica, si eliminano i segni di adorazione, di rispetto al santissimo Sacramento, come la comunione in ginocchio, sulla lingua, con il velo, la benedizione col Santissimo, la visita al Tabernacolo, ecc. L’immutabilità del dogma contro la
Sovversione dottrinale
Se la parola muta, e non si tratta di un sinonimo, si modifica naturalmente anche il concetto. Sono compresi in questo caso i nuovi termini dei teologi «aggiornati››, la cui conseguenza è il vacillare della stessa fede. Ecco che la nuova terminologia, di fatto, introduce una nuova religione. Non ci troviamo più nel cristianesimo autentico. D'altronde, le innovazioni non consistono soltanto in un cambio di parole. Vanno più lontano. In realtà, eccitano una sovversione totale nella Chiesa. Dal momento che, la filosofia moderna sopravvaluta l'uomo, che rende giudice di tutte le cose; la nuova “religiosità” stabilisce, come abbiamo detto, la religione dell'uomo. Elimina tutto quanto può significare un’imposizione alla libertà o una repressione della spontaneità e del sentimentalismo umano. Misconosce, così, la caduta originale e attenua la nozione di peccato. Non comprende il senso della rinunzia evangelica, e propugna una religione naturale fondata sui dati psicologici e sociologici. Rimedio per il male:
fedeltà alla Tradizione apostolica/patristica e scolastica Causa dello stordimento che soffrono i fedeli, angustiati perché ormai non sono più certi di quello che devono credere e di come devono agire è l'abbandono della Tradizione. Quindi, l'antidoto a una crisi tanto profonda di linguaggio, di pensiero e di azione, lo incontriamo soltanto nella fedeltà alla Tradizione apostolica e patristica. Le attuali circostanze esigono da noi un grandissimo sforzo, perché la parola di Dio nella sua pienezza giunga ai nostri contemporanei, e le opere compiute da Dio siano a essi mostrate senza alcuna adulterazione, con tutta l'intensità d'amore della verità che li salva. Un compito tanto nobile è assolvibile soltanto attraverso la fedeltà alla Tradizione ininterrotta che ricollega il nostro cristianesimo alla fede degli Apostoli. Ciascun vescovo, quindi, nella sua diocesi, deve stare attento affinché i nuovi studi non tradiscano mai la verità e la continuità della dottrina della fede. D'altronde, tutto il lavoro dei teologi deve essere nel senso della fedeltà alla grande corrente della Tradizione cristiana, dal momento che, la vera teologia si basa come su un fondamento perenne sulla parola di Dio scritta, inseparabile dalla sacra Tradizione. Riassumendo, si può sintetizzare la norma del Magistero ecclesiastico nella parola di san Paolo: «Anche se noi stessi o un angelo del Cielo venisse ad annunziarvi un Vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunziato noi, sia egli anatema » (2) ; infatti, non siamo noi, i giudici della parola di Dio: è essa che ci giudica e che mette in luce il nostro conformismo alla moda del mondo. Le manchevolezze dei cristiani, anche di coloro, che hanno la missione di predicare, non saranno mai nella Chiesa un motivo per attenuare il carattere assoluto della parola. Il filo tagliente della spada non potrà mai essere smussato (cfr. Hebr., 4, 12; Apoc., 1, 16; 2, 16). Essa mai potrà parlare della santità, della verginità, della povertà e dell’ubbidienza, diversamente da Cristo. Importanza della Tradizione
divino/apostolica
Il valore della Tradizione è tale che anche le encicliche e gli altri documenti del Magistero ordinario del Sommo Pontefice, sono infallibili soltanto negli insegnamenti confermati dalla Tradizione, cioè da un continuo insegnamento della dottrina, svolto da diversi Papi e per un ampio lasso di tempo. Di conseguenza, l'atto del Magistero ordinario di un Papa che contrasti con l'insegnamento garantito dalla Tradizione magisteriale di diversi Papi e attraverso un considerevole lasso di tempo, non dovrebbe essere accettato. Fra gli esempi di fatti del genere indicati dalla storia, risalta quello di Onorio I. Questo Papa visse nel tempo in cui l'eresia monotelita faceva stragi nella Chiesa d'Oriente. Negando l'esistenza di due volontà in Gesù Cristo, i monoteliti rinnovavano l'assurdo che Eutiche introdusse nel dogma, quando pretese che in Gesù Cristo ci fosse soltanto una natura, composta dalla natura divina e da quella umana. Il patriarca di Costantinopoli, Sergio, insinuò nello spirito di Onorio I, abilmente, che la predicazione delle due volontà del Salvatore causava soltanto divisioni nel popolo fedele. Accondiscendendo ai desideri del patriarca, che erano anche quelli dell'imperatore, papa Onorio I proibì che si parlasse delle due volontà del Figlio di Dio fatto uomo. Il Pontefice non si rese conto che il suo gesto lasciava il campo libero alla diffusione dell'eresia, pur non essendo formalmente eretica in se stessa. Per questa stessa ragione non si doveva prestare a esso attenzione. Fra coloro, che biasimarono l'atto di Onorio I, vi sono il VI Concilio Ecumenico, che fu il terzo riunito a Costantinopoli, e san Leone II, Papa, che confermò gli atti di quel Concilio. Fra quanti avevano continuato a insegnare le due volontà presenti in Gesù Cristo, vi è il grande san Massimo, detto il Confessore, perché sigillò con il martirio la sua fedeltà alla dottrina cattolica tradizionale. Norma per giudicare le novità
Custodiamo, quindi, con il massimo rispetto e con la massima attenzione, il criterio di verifica nei confronti delle novità che sorgono nella Chiesa: - Si
accordano con la Tradizione?
- Sono frutto di una buona legge? - Non si conformano, ma si oppongono alla Tradizione, oppure la sminuiscono? – Allora, non devono essere accettate. Insano ed «eccessivo
archeologismo»
Tradizione, certo, non è immobilismo. È crescita, ma nella stessa linea, nella stessa direzione, nello stesso senso, crescita di esseri vivi, che si conservano sempre gli stessi. L’errore dell’«insano archeologismo» condannato da Pio XII nell’Enciclica Mediator Dei (20 novembre 1947) a porta a negare ogni sana riforma che la Chiesa ha fatto dopo la fine del Medioevo (per esempio il Concilio di Trento e tutte le riforme che ne son seguite; come se, dopo il Medioevo, la Chiesa gerarchica petrina fosse finita e avesse ceduto il passo alla Chiesa pneumatica di Gioacchino da Fiore o di Lutero: la “Chiesa dei soli santi”). Ora, come si legge in san Paolo (1 Cor., XI, 17-34; epistola scritta attorno all’anno 56), l’Apostolo delle Genti abolì l’agape fraterna che si faceva praticamente, more apostolico ma non divinamente comandata, immediatamente prima della Messa. Certamente questa riforma fatta da san Paolo fu un «sano innovamento». Inoltre, sino ai primi secoli del Cristianesimo, dopo un peccato mortale si poteva ricevere l’assoluzione e l’Eucarestia solo dopo molti mesi di severa penitenza; anche questa pratica assai rigorosa fu addolcita e poi abolita. Prima di san Pio X, la Comunione quotidiana era sconsigliata se non addirittura proibita. Papa Sarto, abrogò questo costume, che era stato fatto proprio specialmente dai Giansenisti e spronò alla Comunione frequente e anche quotidiana, col permesso del proprio confessore, che doveva accertarsi delle buone disposizioni del fedele a ricevere frequentemente l’Eucarestia. Prima di Pio XII la Messa e la Comunione vespertina erano proibite, anche se all’epoca degli Apostoli la Messa era celebrata anche nella tarda serata sino all’alba come si legge negli Atti degli Apostoli (XX, 1-16); papa Pacelli le permise e giustamente; altrimenti anche san Paolo, gli Apostoli e la Santa Scrittura, che narra il fatto senza condannarlo, avrebbero errato, quod repugnat. La pia pratica delle Comunione nei “primi 9 Venerdì del Mese” (1673/75; 1684/88) o nei “primi 5 Sabati del Mese” (1917/25) fu incoraggiata e approvata dalla Chiesa e non si può negare la Comunione al fedele che la chiede col pretesto che la Comunione frequente è spiritualmente pericolosa; altrimenti significherebbe che la Chiesa - per quattro secoli - ha non solo permesso ma approvato e incoraggiato queste pratiche, che invece qualche singolo fedele ritiene erronee o non praticabili. Per quanto riguarda il digiuno eucaristico, papa Pacelli ha permesso di ricevere la Comunione tre ore dopo aver mangiato (e avere terminato, così, la digestione); certamente il digiuno a partire, dalla mezzanotte è una legge di diritto ecclesiastico; infatti, nei tempi apostolici si mangiava l’agape fraterna (1 Cor., XI, 17-34) e sùbito dopo (senza neppure aspettare le tre ore) si riceveva l’Eucarestia. Ora, questa mentalità rigoristica è non solo contraria alla pratica della Chiesa, ma ne mette in dubbio l’Autorità, la divina fondazione e assistenza e pone l’Ego (come faceva Lutero) al posto del Magistero. Quindi, essa è praticamente scismatica ed eretica e, invece, di condurre in paradiso, “sub specie boni” conduce alla perdizione; proprio come successe ai Giansenisti che “erano (o sembravano) puri come angeli ma, erano orgogliosi come diavoli”, mettendo il loro giudizio personale e soggettivo al posto del Magistero della Chiesa istituito da Gesù e assistito da Dio. Purtroppo, “quando l’uomo vuol fare l’angelo finisce per diventare una bestia”. Pertanto, chi scientemente e ostinatamente vuol perseverare in questa mentalità e pratica non può ricevere l’Assoluzione sacramentale e la Comunione. Non si possono considerare tradizionali i
costumi che la Chiesa non ha incorporato nell’esposizione della sua
dottrina o nella sua disciplina
Per questo stesso motivo, non si possono considerare tradizionali forme e costumi che la Chiesa non ha incorporato nell’esposizione della sua dottrina, o nella sua disciplina. La tendenza in questa direzione, fu definita da Pio XII «insano ed eccessivo archeologismo» (3). Insano ed «eccessivo
innovamento»
L’errore per difetto è quello del «malsano aggiornamento», che ha portato - dal Concilio Vaticano II sino a oggi - a pratiche e dottrine diametralmente contrarie alla Fede e Morale cattolica, come sono state definite infallibilmente dalla Chiesa sin dal Concilio di Gerusalemme (anno 49). Medugorje e Gloria Polo: Carismatismo e
Oriogenismo
Tra queste, oggi, in ambiente tradizionale si sono infiltrati perniciosi errori che portano a ritenere veri i messaggi di Medugorje (1981/2024 … (4)) o della dottoressa Gloria Polo (1995). Infatti, Gloria Polo dopo essere morta nello stato di peccato mortale, come lei stessa ha confessato - in maniera volutamente non chiara e definita - nel suo libro autobiografico (Alle porte del cielo e dell’inferno, Udine, Il Segno del soprannaturale, 2008), sarebbe risuscitata e avrebbe avuto - nello stato intermedio di morte preludente alla risurrezione - la possibilità di scegliere se restare nel peccato e dannarsi o se convertirsi e salvarsi. Quest’esperienza (contraria alla Fede che insegna che si è giudicati con Giudizio particolare sùbito dopo la morte) sarebbe concessa anche alle altre anime e così l’eresia dell’Apocatastasi condannata dal Concilio di Costantinopoli nel 543 e uscita allora dalla finestra è rientrata dalla porta con Gloria Polo. Tutta la nostra vita futura ed eterna (5) dipende dallo stato in cui si troverà la nostra anima in punto di morte. È per questo motivo che la buona morte, ossia la coincidenza della morte con lo stato di grazia, è chiamata la “grazia delle grazie”. Infatti, con essa tutto è ottenuto, senza di essa tutto è perso. Al contrario, l’impenitenza finale è la coincidenza della morte con la privazione della grazia santificante, quando si ha la sventura di morire senza volersi pentire del mal fatto, nello stato di rivolta contro Dio, senza alcun dolore di aver offeso Iddio. L’impenitenza della volontà per principio (non solo “di fatto”, ossia la mancanza del pentimento che può durare un certo lasso di tempo, che poi lascia il posto al dolore del peccato) è la ferma risoluzione della volontà di non volersi mai pentire dei peccati commessi neppure in punto di morte. Tuttavia, se l’anima arriva all’incontro con la morte nello stato d’impenitenza di fatto, essa diventa impenitenza di diritto o per principio o finale. Qualche volta, ma non sempre, Dio per sua pura misericordia, preserva un’anima che vive abitualmente nel male, dal giungere all’impenitenza finale, ma questa è l’eccezione che conferma la regola (cfr. S. AMBROGIO, De paenitentia, c. X – XII; S. GEROLAMO, Epist. 147 ad Sabinianum; S. AGOSTINO, Sermo 351; S. GIOVANNI CRISOSTOMO, Nove omelie sulla penitenza; S. BERNARDO DI CHIARAVALLE, De conversione). L’Aquinate (S. Th., III, q. 86, a. 1) spiega che il peccato diventa irremissibile o imperdonabile quando non ci si può più pentire di esso, cioè dopo la morte ; ora, i viventi non hanno la volontà fissata nel male, come invece i diavoli; mentre, la volontà dei vivi è ancora flessibile verso il bene o il male; perciò, i viventi possono sempre pentirsi dei loro peccati. Siccome la misericordia di Dio è infinita, se ci si pente del peccato, si ottiene sempre il perdono. Perciò, ogni peccato può essere cancellato col dolore e la confessione. Purtroppo, i teologi neo/modernisti illudono le anime e dicono che Dio dà a tutti un’illuminazione speciale, appena dopo la loro morte, con la quale mostra loro le pene dell’inferno e la gloria del cielo e lascia l’anima libera di scegliere l’uno o l’altro. Ora, ciò è palesemente falso, poiché dopo la morte non si può più meritare. «La morte è il termine non solo della vita terrena, ma anche del tempo utile per meritare. Infatti, Cristo parlando della morte la chiama “notte in cui nessuno può più operare” (Giov., IX, 4). Inoltre, San Paolo (Ebr., IX, 27) scrive: “È stabilito che gli uomini muoiano una volta, dopo di che c’è il giudizio”; ora, il giudizio decide della sorte dell’uomo definitivamente e irremovibilmente. Questa verità sviluppata ampiamente dalla Tradizione, e anche se non è definita solennemente, è insegnata dal Magistero Ordinario della Chiesa (DB, 530 ss. e 693). La Chiesa, condannando l’origenismo, ha negato la possibilità di una redenzione finale dopo la morte. Inoltre, la teoria recente della “illuminazione degli agonizzanti” sostiene che l’anima dopo la morte clinica che non è ancora la morte reale, ossia la separazione definitiva dell’anima dal corpo, potrebbe ancora ricevere una grazia d’illuminazione da Dio e convertirsi. Questa teoria, dilaterebbe di molto la via della salvezza, ma non ha trovato favore nella Chiesa, anzi è stata condannata (cfr. A. MICHEL, Mort, in DThC; S. TOMMASO D’AQUINO, Summa contra Gentes, L. IV, c. 95)» (A. PIOLANTI, De Novissimis, Torino, Marietti, 1943, p. 2 ss.). «La Chiesa ha insegnato più volte, senza definire solennemente, che le anime giuste, e pienamente purificate sùbito sono ricevute (mox) in cielo; le anime macchiate dal peccato mortale sùbito (mox) vengono precipitate nell’inferno (Concilio di Lione, professione di Fede di MICHELE PALEOLOGO, DB, 464; papa BENEDETTO XII, costituzione dogmatica Benedictus Deus, DB, 530-531; Concilio di Firenze, decreto di unione con i Greci, DB, 693). In questa dottrina, insegnata ripetutamente dalla Chiesa, anche se non definita infallibilmente, è affermato implicitamente che tutte le anime, sùbito dopo la morte subiscono il giudizio particolare con il quale viene loro assegnato il premio o il castigo» (A. PIOLANTI, De Novissimis, Torino, Marietti, 1943; ID., Giudizio divino, in Enciclopedia Cattolica, vol. VI, col. 727 ss.). Ciò nonostante, alcune volte (è l’eccezione che conferma la regola), Dio vuole permettere che uno dei suoi santi risusciti un morto nel peccato grave, affinché possa pentirsi e salvarsi l’anima, che altrimenti sarebbe stata dannata per l’eternità, ma questa è l’eccezione e non la regola. L’impenitenza finale voluta per principio, deliberatamente e freddamente, è non soltanto un peccato di malizia ma è una “bestemmia contro lo Spirito Santo” (S. Th., II – II, q. 14), che offende direttamente l’Amore divino che potrebbe aiutare l’uomo a rialzarsi dalla sua miseria. San Tommaso d’Aquino insegna che la “bestemmia contro lo Spirito Santo” non consiste soltanto nel proferire parole offensive contro Dio, ma anche nel peccare con malizia pienamente e freddamente voluta; ossia, volendo scientemente il male e rifiutando tutto ciò che possa distogliere dal peccato (q. 14, a. 1). Inoltre, l’Angelico aggiunge che sebbene l’impenitenza finale sia di per sé imperdonabile e irrimediabile; tuttavia, se interviene un miracolo eccezionale della divina misericordia, allora il peccatore indurito può lasciare il male e convertirsi al Signore (q. 14, a. 3). È necessario pentirsi sùbito del male commesso, altrimenti si precipita nell’impenitenza finale, dopo aver commesso molti altri peccati che accelerano la caduta nella mala morte. Infatti, se non teniamo conto della divina misericordia domandandole perdono e soccorso, piomberà su di noi la divina giustizia. Il Dottor Comune spiega che, se l’uomo si trova nello stato di peccato grave, la sua fragilità a resistere alle tentazioni di peccare mortalmente è talmente grave, che non può restare molto tempo in questo stato, senza commettere altri peccati mortali (S. Th., I – II, q. 109, a. 8). Talvolta, la misericordia onnipotente di Dio, converte all’ultimo istante dei peccatori incalliti (come il buon Ladrone), che avevano voluto restare nello stato di odio contro Dio sino alla fine. Detto questo, prendiamo come norma il seguente principio: quando è evidente che una novità si allontana dalla dottrina tradizionale, è certo che non deve essere ammessa. Vari modi di corrompere la Tradizione
Si può collaborare in diversi modi alla distruzione della Tradizione. Vi è anche, fra essi, una scala che va dall’opposizione aperta alla deviazione quasi impercettibile. Abbiamo un esempio di chiara opposizione nei diversi atteggiamenti assunti da teologi, e perfino da autorità ecclesiastiche, di rifiuto della decisione dell'enciclica Humanae vitae. Infatti, l'atto di Paolo VI, che dichiara illecito l'uso degli anticoncezionali, s’inserisce in una tradizione ininterrotta del Magistero ecclesiastico. Non accettarlo, insegnando l'opposto di ciò che esso prescrive, oppure consigliando pratiche da esso condannate, costituisce un tipico esempio di negazione di un insegnamento tradizionale. Più sottile è l'inganno, quando si colpisce la Tradizione, attraverso delucidazioni dogmatiche che, senza negare i termini tradizionali, di fatto, sono incompatibili con i dati rivelati; per esempio, continuare a fare professione di fede nel mistero della santissima Trinità, ma sostituire sistematicamente il termine consustanziale con un altro che non ha lo stesso significato, come la parola natura. Vi sono ugualmente deviazioni verso l'eresia, in deduzioni che ampliino il Contenuto delle premesse. Così, affermare che il Papa, in virtù della collegialità, non può decidere nulla senza avere udito il collegio episcopale, significa cadere nel conciliarismo che sovverte la Chiesa di Cristo. Più sottili sono i nuovi usi, specialmente in campo liturgico, che sostituiscono gli antichi, e che non solo non sono dotati della stessa ricchezza, ma insinuano altri concetti religiosi. Occorre, quindi, sottolineare l'importanza che posseggono gli usi e i costumi, tanto nel rendere più fervorosa la fede, come, in senso contrario, nel rovinare questa stessa fede, dal momento che il comportamento presuppone, e pertanto diffonde, concetti erronei sulle verità rivelate. Evidentemente, la responsabilità personale presente in questi diversi modi di contestare la Tradizione non è la stessa. Tuttavia, nelle circostanze attuali, tutti presentano un pericolo per la fede, e forse più quanti sembrano meno opposti alla Chiesa tradizionale. Ne consegue che da parte nostra si richiede un’attenta vigilanza, affinché non giungiamo ad assimilare quasi inconsapevolmente il veleno. Se vi è gente in buona fede che, per ignoranza o ingenuità, nelle novità che va accettando, ha soltanto l'intenzione di ottenere una nuova espressione della vera Chiesa, vi è anche e soprattutto, l'astuzia del demonio che si serve di queste stesse intenzioni per allontanare i fedeli dall’ortodossia cattolica. I falsi profeti e i nuovi catechismi
Occorre insistere sull'azione dei falsi dottori che, vivendo in mezzo al popolo di Dio, corrompono la fede e la religione. Cosi si deve affermare che è «per noi, Vescovi», l'avvertimento che si incontra in san Paolo: «Verrà un tempo in cui gli uomini non sopporteranno più la sana dottrina della salvezza. Condotti dalle proprie passioni e dal prurito di ascoltare novità, si circonderanno di maestri secondo i propri gusti. Allontaneranno gli orecchi dalla verità e si volgeranno alle favole» (6); e inoltre occorre ripetere lo stesso grido d’allarme, ancora con le parole dell'Apostolo: «Anche in mezzo a noi - come al tempo di San Paolo - sorgono uomini che insegnano delle dottrine perverse per trascinar dietro a sé dei discepoli (Atti, XX, 30)». Quando i nemici sono dentro la casa, è sommamente sciocco chi non raddoppia la vigilanza. Nell'attuale crisi della Chiesa, possiamo dire che la nostra salvezza è condizionata all'impiego di tutti i mezzi che preservino l'integrità della nostra fede. Pertanto, oggi è necessaria una grandissima attenzione per evitare le insidie preparate contro l'autenticità del nostro cristianesimo. Lo spirito modernista, infiltrato negli ambienti cattolici, introduce in mezzo ai fedeli il relativismo e il naturalismo religiosi, sovvertendo il dogma e la morale rivelati. Della diffusione di tale spirito s’incaricano, attualmente, i nuovi catechismi. Ecco che è doveroso attirare l’attenzione, dei fedeli, su queste nuove opere d’insegnamento e formazione religiosa che, sotto veste di fede per gli adulti o per l'uomo moderno, distruggono la dottrina tradizionale, ora con il silenzio, ora attraverso omissioni, ora in modo positivo, per mezzo di concetti contrari alla verità sempre insegnata dalla Chiesa. I nuovi catechismi sono il mezzo per inoculare nella mente dei fedeli una nuova religione, in consonanza con le correnti evoluzioniste e razionaliste del pensiero moderno. Non formuliamo nessun giudizio sulle intenzioni degli autori dei nuovi catechismi. Non dimentichiamo, tuttavia, che «l'uomo nemico››, cioè il demonio, che fa di tutto per perdere le anime, approfitta dei turbamenti causati nella Chiesa dai pruriti di novità, e insinua in esse i sofismi con cui corrompe la fede e perverte i costumi. Siccome i catechismi sono strumenti per formare nella religione le nuove generazioni, sarebbe ingenuo pensare che l'angelo delle tenebre non cercasse di servirsene, per realizzare la sua opera sinistra. Di fatto, poi, obiettivamente, i nuovi catechismi devono essere collocati tra gli agenti dell'autodemolizione della Chiesa. Non si esagera mai nel sottolineare l'importanza del catechismo. E, di conseguenza, non sarà mai eccessivo mettere in guardia i fedeli contro i testi di catechismo che sovvertono la religione di Nostro Signore Gesù Cristo. La professione di fede nelle pratiche
liturgiche e religiose
Nella sua esortazione apostolica, Paolo VI vincola gravemente la coscienza dei Vescovi, a vigilare perché la dottrina sia trasmessa pura non solo nell'insegnamento, ma anche nell'esempio che deve vivificare le parole. A questo punto si comprende, tutta l'importanza delle pratiche tradizionali di pietà. Di esse si è nutrita la fede delle generazioni passate, che con il loro esempio ci hanno trasmesso l'amore a Gesù Cristo, alla sua dottrina e ai suoi precetti. Esse fortificheranno, anche oggi, la nostra fede, e ci daranno le energie per seguire l'esempio dei nostri fratelli che ci hanno preceduto nel santo timore di Dio. In questo medesimo ordine d’idee dobbiamo prevenire i nostri fratelli nella fede contro le pratiche religiose, in cui s’incarna lo spirito della nuova “religiosità”, oppure s’illanguidisce l'adesione ai misteri rivelati. Trattandosi di una questione capitale, che interessa la salvezza eterna, raccomandiamo vivamente ai nostri carissimi fedeli che si mantengano fedeli agli esercizi ascetici raccomandati dalla Chiesa: meditazione, esame di coscienza, atti di mortificazione, visite al Santissimo, confessione e comunione frequente, preghiera continua, e, in modo speciale, la recita quotidiana del rosario della Madonna. Il culto verso la Santissima Eucaristia
In modo particolare ricordiamo nuovamente il rispetto che, tradizionalmente, si deve alla santissima Eucaristia, rispetto con cui facciamo professione di fede nella presenza reale e sostanziale del Dio fatto uomo nel Sacramento dell'Altare. In conformità al costume tradizionale che, secondo la Sacra Congregazione per il Culto Divino, dove esiste, deve essere conservato, i fedeli ricevano la santa comunione sempre in ginocchio, e le donne e le ragazze con il capo coperto, e non si accostino mai ai santi Sacramenti in abiti che contrastino con il rispetto e la riverenza dovuti alle cose sacre. Desacralizzazione
Si abbia sempre tutto il rispetto per il luogo sacro. Una delle caratteristiche della “religiosità” nuova è la desacralizzazione. Essa condanna gli edifici riservati solo al culto, e desidera che la religione si dissolva nella vita comune dell'individuo. Sotto il pretesto che tutto è sacro, in realtà riduce tutto al profano. Gesù Cristo badava molto alla distinzione tra il sacro e il profano. Commentando il passo di san Giovanni, in cui il divino Maestro scacciò i venditori dal Tempio, sant'Agostino afferma che il male non consisteva nel fatto di vendere gli animali, in quanto, si vende lecitamente, ciò che lecitamente si offre al Tempio. Il male consisteva nel fatto che la vendita si faceva, per puro interesse, in un luogo sacro, di per sé destinato alla preghiera e al culto divino (7). NOTE 1 - Giuda III 2 - Galati 1, 8 3 - PIO XII, Enciclica Mediator Dei del 20-XI-1947. 4 - Cfr. la videoconferenza del prof. Matteo D’Amico, apparsa in You Tube, su Medugorje. 5 - S. TOMMASO D’AQUINO, S. Th., Supplementum, qq. 69-81 ; S. contra Gentes, L. IV, cc. 79-97 ; L. BILLOT, Quaestiones de Novissimis, Roma, Gregoriana, 1908 ; A. PIOLANTI, De Novissimis, Marietti, Torino, 1943. 6 - 2 Tim., IV, 3-4. 7 - Cfr. SANT’AGOSTINO, in Jo., tract. X. |