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Da
Nostra Aetate a Benedetto XVI
febbraio 2025
di
don Jean-Michel Gleize, FSSPX
Un nuovo vincitore
1. Il Premio del cardinale Lustiger fa parte dei grandi premi letterari assegnati dall’Académie Française. Creato nel 2012, esso prema ogni due anni «un’opera di riflessione che corrisponde agli interessi del cardinale Jean-Marie Lustiger e relativo ai temi spirituali dei diversi fenomeni culturali, sociali e storici» (1). Il vincitore riceve la somma di 3000 euri. Il primo a ricevere questo premio fu, proprio nell’anno della sua creazione, il filosofo Jean-Louis Chrétien (1952-2019). Fu seguito, nel 2020, dal filosofo ebreo convertito al cattolicesimo Fabrice Hadjadj. Per l’anno scorso, durante le sessione pubblica annuale del 5 dicembre 2024, il Premio è stato assegnato al Reverende Padre Jean-Miguel Garrigues, per l’insieme del suo lavoro e in particolare per la sua ultima opera L’Impossible Substitution. Juifs et chrétiens (Ier - IIIe siècle), pubblicata nel 2023 dalle Edizioni Les Belles Lettres (2). 2. Nel discorso pronunciato lo scorso dicembre in occasione della consegna dei premi dell’Académie (3), Pascal Ory (4) ha ricordato che, secondo Jean-Luc Marion, anch’egli discepolo del cardinale Lustiger, il Padre Garrigues sarebbe «una figura significativa della teologia cattolica in Francia» (5), segnalato come tale «per la sua tesi, allora molto innovativa, su Massimo il Confessore». Conferenziere a Notre-Dame di Parigi e, in più occasioni, consulente a Roma, «si è distinto per due principali settori di ricerca e di riflessione: innanzi tutto la conciliazione tra le tradizioni teologiche latine e orientali, contribuendo così ad un documento romano sull’argomento; in seguito – e forse soprattutto – la rettifica del rapporto tra l’elezione del popolo ebraico e l’elezione della Chiesa, in linea diretta con la dichiarazione Nostra Aetate e le opere di Joseph Ratzinger e di Jean-Marie Lustiger». Nel suo recente libro: L’Impossible Substitution, «egli mostra che la promessa della salvezza universale fatta alla Chiesa non annulla né eclissa la prima alleanza di Israele, ma che l’una e l’altra si appartengono e si confermano». Dalla sostituzione allo strappo: rilettura o manipolazione? 3. L’idea principale che serve da guida a tutta la riflessione di Padre Garrigues è perfettamente sintetizzata nell’introduzione del suo libro: «Lo scopo della presente indagine di teologia storica è quello di interrogarsi sullo strappo religioso che si è prodotto quasi venti secoli fa in seno al popolo ebraico e che ha dato vita a quello che da allora è chiamato cristianesimo; uno strappo che rimane» (6). Il titolo dell’opera è di per sé chiarificatrice : la realtà storica è quella di uno «strappo» e, in nessun caso potrebbe essere quella di una «sostituzione». Vediamo la cosa un po’ più da vicino. La dottrina tradizionale nella scia di San Paolo «Translato enim sacerdotio necesse est ut
et legis translatio fiat» [mutato il sacerdozio, avviene
necessariamente anche un mutamento della legge] (Ebrei, VII, 12).
4. I dati tradizionali della teologia cattolica (7) sono pertanto chiari e provati – almeno lo sono stati per venti secoli, fino al momento in cui il concilio Vaticano II ne ha deciso la revisione quasi completa, ponendo dei nuovi principii nella dichiarazione Nostra Aetate, di cui Giovani Paolo II ha portato le conseguenze ancora più in là. 5. Precisiamo, per cominciare, che il cristianesimo, religione del Nuovo Testamento, non è un’altra religione diversa dalla religione del Vecchio Testamento. Come spiega San Tommaso (8), infatti, tra l’antica Legge e la nuova Legge non vi è la differenza che esiste tra due leggi essenzialmente diverse: si tratta della stessa legge, che si realizza nel Vecchio Testamento solo in maniera ancora imperfetta e provvisoria, e nel Nuovo Testamento in maniera perfetta e definitiva. «Vi sono due modi con cui le cose possono essere distinte. Il primo è quello che attiene alle cose totalmente diversificate per la loro specie, come il cavallo e il bue. Il secondo si trova tra ciò che è perfetto e ciò che è imperfetto nella stessa specie, come l’uomo e il bambino. Così la legge divina si divide in Legge vecchia e Legge nuova. Ecco perché nell’Epistola ai Galati, capitolo III, versetto 24, San Paolo paragona lo stato della Legge vecchia a quello di un bambino che si trova ancora sottomesso ad un sorvegliante, mentre assimila lo stato della Legge nuova a quello di un uomo perfetto che non è più sotto la tutela del sorvegliante». 6. Dunque, il cristianesimo non è derivato da uno strappo – come dire uno scisma – con il popolo eletto della vecchia Alleanza. Esso è invece il compimento normale e necessario di questo popolo e di questa Alleanza. Questo infatti è stato stabilito da Dio quando Abramo ricevette la promessa di una discendenza (9). L’oggetto della promessa non è altro che il cristianesimo, poiché la discendenza promessa ad Abramo non è altro che il Corpo Mistico di Cristo, nel suo Capo e nelle sue membra. Questa spiegazione si trova nel capitolo III dell’Epistola di San Paolo ai Galati, al versetto 16, di cui Sant’Agostino (10) dà una spiegazione autentica, quando dice che la vera discendenza di Abramo non è solo Cristo, ma anche la discendenza spirituale di coloro che hanno la fede in Cristo; così che i «Giudei» che non sono cristiani non sono discendenza di Abramo (11). La venuta di Cristo costituisce la realizzazione della promessa e implica per conseguenza la cessazione della vecchia Alleanza e l’inizio della nuova, o più esattamente la sostituzione della vecchia Alleanza con la nuova, la sostituzione della religione di Abramo e Mosè con la religione cristiana, la sostituzione del popolo di Israele con la Chiesa, la sostituzione della religione del Vecchio Testamento col cristianesimo. Il Concilio ecumenico di Firenze dichiara che «dopo la promulgazione del Vangelo, la chiesa afferma che le cerimonie della Legge antica non possono essere rispettate senza l’annientamento dell’eterna salvezza» (12). 7. Questa idea della «sostituzione» non fa che tradurre, nel modo più esatto possibile, la «translatio» di cui parla San Paolo nell’Epistola agli Ebrei. Al versetto 12 del capitolo VII, l’Apostolo afferma che il cambio dell’Alleanza [o della Legge] è la conseguenza del cambio del sacerdozio e del sacrificio: «Translato enim sacerdotio necesse est ut et legis translatio fiat » [mutato il sacerdozio, avviene necessariamente anche un mutamento della legge]. Al versetto 18 dello stesso capitolo, egli dice anche che questo cambio si spiega col fatto che il sacerdozio della vecchia Legge non serve ormai più a niente; incapace di santificare da sé, esso può solo far conoscere in anticipo, raffigurandolo, il vero sacerdozio che avrà il potere di santificare. Quando quest’ultimo arriva, il vecchio sacerdozio è abrogato: « Reprobatio quidem fit praecedentis mandati propter infirmitatem ejus et inutilitatem » [si ha così l’abrogazione di un ordinamento precedente a causa della sua debolezza e inutilità]. Infine, al versetto 13 del capitolo VIII, San Paolo dice che le espressioni di cui si serve la Rivelazione indicano chiaramente tale abrogazione. Infatti l’Alleanza di Mosè viene chiamata Alleanza «vecchia» e l’Alleanza del Vangelo viene chiamata Alleanza «nuova». Ora, la relazione tra la vecchia e la nuova è la relazione tra ciò che è abrogato e ciò che lo sostituisce o che – per l’esattezza – si sostituisce ad esso: « Dicendo autem novum, veteravit prius. Quod autem antiquatur et senescit, prope interitum est » [dicendo alleanza nuova, ha dichiarato antiquata la prima; ora, ciò che diventa antico e invecchia è prossimo a sparire]. 8. Nessuno strappo, quindi, da questo punto di vista del compimento normale della vecchia Alleanza, che nel disegno di Dio era destinata a condurre progressivamente il popolo eletto verso la realizzazione della promessa, e anche per preparare, tramite il popolo eletto, il resto dell’umanità alla venuta del Salvatore, oggetto di questa promessa. Una volta realizzatosi questo, la vecchia Alleanza non aveva più ragione d’essere: essa doveva cedere il posto alla nuova Alleanza, stabilita da Dio con Cristo. Quindi, la nuova Alleanza ha sostituito la vecchia. La dottrina tradizionale nella scia del Vangelo «Et respondens universus populus dixit :
Sanguis ejus super nos et super filios nostros » [e tutto
il popolo rispose: il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli] (Matteo, XXVII, 25).
9. Invece c’è stato un vero strappo quando l’intero popolo ebraico, su pressione dei suoi capi, gridò davanti a Ponzio Pilato: «il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli» (Matteo XXVII, 25). L’esegesi della Tradizione è unanime, almeno fino al Vaticano II (13), come testimonia lo studio di Denise Judant, pubblicato nel 1969 dalle Éditions du Cèdre, col titolo: Judaïsme et christianisme - Dossier patristique. [Giudaismo e cristianesimo – Dossier patristico]. L’espressione riportata da San Matteo indica l’assunzione della responsabilità collettiva del rifiuto di riconoscere Gesù Cristo come il Messia annunciato nelle Scritture, cioè come Colui che, nella Sua Persona e nella Chiesa da Lui fondata, doveva realizzare la promessa fatta ad Abramo. Questo rifiuto è quello dei Giudei del tempo di Gesù Cristo ed esso impegna tutti coloro che vorranno riconoscersi in loro per il fatto stesso che continueranno a mantenere, contro la volontà di Dio, la vecchia Alleanza ormai divenuta, non solo obsoleta ma addirittura mortale. 10. Vi è dunque strappo e scisma, ma non è uno strappo che darà origine al cristianesimo; è uno strappo che diede vita al giudaismo post-cristico o al giudaismo vero e proprio, religione nuova sorta da questo rifiuto di accettare il compimento della vecchia Alleanza nella nuova. Religione falsa perché continuando ad osservare i riti della vecchia Legge, il cui simbolismo riguarda il mistero di Cristo come futuro, essa professa che il Salvatore promesso da Dio ad Abramo non sarebbe ancora venuto. 11. «E’ vero e occorre precisarlo», nota molto giustamente Denise Judant, «che vi è una continuità tra il giudaismo vetero-testamentario e il cristianesimo. Ma vi è anche un antinomia tra quest’ultimo e il giudaismo post-cristico. Infatti, il vecchio Testamento è rivolto verso il Cristo annunciato dai profeti, mentre il giudaismo post-cristico nega esplicitamente, non solo la divinità, ma anche la messianità di Gesù. Ed è in questo modo che esso mette in discussione lo stesso fondamento della fede cristiana» (14). La nuova teologia del Padre Garrigues nella scia di Benedetto XVI 12. La nuova teologia del Padre Garrigues intende dimostrare l’impossibilità di questa sostituzione. L’interesse della sua dimostrazione sta nel fatto che essa si sforza di collocarsi in conformità con la riflessione condotta dal Papa emerito Benedetto XVI in uno studio pubblicato nel 2018 (15). 13. Perché la spiegazione teologica della sostituzione fosse considerata impossibile, era necessario escludere l’idea della riprovazione divina che gravava sui Giudei a causa della loro incredulità o di ciò che Gesù subì nella Sua Passione. Questo è quello che ha fatto il testo della Dichiarazione Nostra aetate nel suo numero 4: «Se è vero che la Chiesa è il nuovo Popolo di Dio, gli Ebrei non devono per questo essere presentati come riprovati da Dio, né come maledetti, come se questo derivasse dalla Santa Scrittura». Il Catechismo della Chiesa cattolica, promulgato nel 1992 sotto Papa Giovanni Paolo II conferma questo insegnamento nel suo n° 697: «Ancor meno si può, a partire dal grido del popolo: “che il suo sangue ricada su di noi e suoi nostri figli” (Mt. 27, 25), che una formula di ratificazione (cf. Ac 5, 28; 18, 69) estendere la responsabilità agli altri Ebrei nello spazio e nel tempo». Il 12 marzo del 2000, in occasione del Gran Giubileo, il Papa Giovanni Paolo II compì un atto di pentimento nei confronti dei Giudei, parlando di essi come del «popolo dell’Alleanza e delle benedizioni» (16), dichiarazione già accompagnata dalla reiterata affermazione secondo la quale la vecchia Alleanza non è stata mai revocata (17). 14. Alcuni furono tentati di vedere, in questa rinuncia post-conciliare alla dottrina della sostituzione, la rinuncia all’universalità della mediazione redentrice di Cristo, nel quadro di un relativismo religioso che vedeva nel cattolicesimo e nel giudaismo contemporaneo due vie parallele di salvezza. Ma il 6 agosto dello stesso anno 2000, la Dichiarazione Dominus Jesus sconfessò i sostenitori di questa interpretazione. Infatti, nel n° 14 Giovanni Paolo II dichiarò: «Bisogna dunque credere fermamente come verità di fede cattolica che la volontà salvifica universale di Dio Uno e Trino è manifestata e compiuta una volta per tutte nel mistero dell’Incarnazione, Morte e Resurrezione del Figlio di Dio» 15. Tra, da un lato, la permanenza della vocazione irrevocabile dell’elezione di Israele, anche della sua parte indurita, e dall’altro l’unicità e l’universalità della mediazione salvifica di Cristo «vi è contraddizione e quindi blocco teorico, doppio linguaggio diplomatico o paradosso apparente?» (18). E’ qui che la riflessione del Papa emerito si sforza di conciliare gli inconciliabili. Tuttavia, nota il Padre Garrigues, Benedetto XVI ha voluto mostrare nel suo articolo che la dottrina della sostituzione «conteneva quando meno degli elementi validi» (19) e questo perché egli vi vedeva «la spaventosa sfida che rappresenta per la Chiesa il necessario raddrizzamento magisteriale di una opinione teologica così universalmente diffusa da secoli e ripresa da tanti Padri, dottori e Santi» (20). Joseph Ratzinger rimane qui come altrove l’uomo dell’ossessivo «rinnovamento nella continuità». Ossessione, ove c’è, per una impossibile quadratura del cerchio. 16. Il Papa emerito prende atto, come di una disposizione della divina Provvidenza, della opposizione che separa «L’Israele rabbinico e la Chiesa cattolica» e riconosce una valenza divina alla costituzione dei giudei e dei cristiani in due essenze contrapposte: «Noi tocchiamo qui» - dice il Papa, «l’essenza del cristianesimo e del giudaismo, che da parte sua ha sviluppato una risposta a questi avvenimenti nel Talmud e nella Mishna. Come può essere vissuta oggi l’Alleanza? E’ la domanda che ha diviso la realtà concreta del Vecchio Testamento in due cammini: il giudaismo e il cristianesimo». E il Padre Garrigues commenta: abbiamo qui la «posizione del nota» di Benedetto XVI, che vede nei giudei e nei cristiani «due essenze religiose derivate entrambe dal Vecchio Testamento». Non più strappo né scisma, dunque, ma una dualità di cammini, una dualità di Redenzione e di salvezza, una dualità di compimento. 17. E’ proprio di questo che si tratta. Per il credente in Gesù vi è un aspetto della salvezza che è compiuto, ed è la fondamentale riconciliazione degli uomini con Dio. E’ per questo che Gesù è venuto. Ma per i Giudei vi è un aspetto della salvezza e della Redenzione che non è ancora compiuto, ed è quello che San Pietro nel suo discorso della Pentecoste chiama «la restaurazione di tutto quello di cui Dio ha detto per bocca dei Suoi santi profeti» (Atti III, 21). Qui, la restaurazione significa la salvezza come compimento finale del disegno di Dio, non solo nelle anime, ma anche nei corpi, nella società umana, nel cosmo, non solo nella Chiesa, ma nel popolo di Israele, che vedrà realizzarsi tutte le promesse messianiche di cui è portatore. Gli uni e gli altri, cristiani e giudei, saranno allora rinnovati e riconciliati entrando, con la salvezza compiuta, nell’era futura. «Affermando questa dimensione di incompletezza della salvezza, che fa dire a San Paolo che noi siamo «salvati nella speranza» (Rom. VIII, 24), i cristiani possono meglio comprendere quello che fondamentalmente li oppone ai Giudei a proposito di Gesù, la cui messianità non realizza il rinnovamento visibile di tutte le cose, o quantomeno delle relazioni umane, promesso dai profeti per l’era messianica. E questo che esprime la formula suggestiva di Gershom Sholem (21) sulla “non-redenzione del mondo” (22). Pertanto, sarebbe connettendosi con la «tensione escatologica onnipresente nel Nuovo Testamento» (23) che i cristiani potrebbero unirsi agli Ebrei nella speranza di una salvezza che rimane attesa nel suo compimento perché è sempre in divenire. La concreta realtà del Vecchio Testamento, diviso in due cammini: il giudaismo e il cristianesimo, potrebbe qui trovare la sua unità nella dualità. Il Gaetano e il senso del mistero 18. La spiegazione di Benedetto XVI, ripensata dal Padre Garrigues, si basa in realtà su un errore, subito corretto grazie al ricorso alla dottrina teologica del Dottore Comune della Chiesa, che spiega le ragioni profonde dell’attitudine dei Giudei durante la Passione. Questi furono in effetti colpevoli della condanna a morte di Cristo, ed è per dare conto con esattezza di questa colpevolezza che, nella questione 47 della Terza parte della Somma teologica, San Tommaso si chiede se i Giudei avessero conoscenza della vera identità di Gesù di Nazareth. Era il cristo, il Messia annunciato nelle Scritture? Era il Figlio di Dio? Essi lo sapevano o avevano i mezzi per saperlo, ed è per questo che la loro ignoranza, se esisteva, rimane vincibile e affettata. Lungi dallo scusarli, essa li accusa. Ed è qui che il commento del Gaetano ci fornisce tutte le precisazioni utili per sfatare la falsa spiegazione di Benedetto XVI. 19. «Senza dubbio, i Giudei non riconoscevano che tutto ciò che era stato detto del Messia si era compiuto in Gesù di Nazareth. In effetti, i profeti avevano annunciato che egli sarebbe stato il Re di Israele, che avrebbe riscattato Israele dalla sua cattività, ecc. E’ per questo che i Magi domandarono a Erode: “Dov’è il Re dei Giudei che è appena nato?” E benché noi sappiamo oggi che questo deve intendersi solo nella seconda venuta di Cristo, e deve essere inteso spiritualmente nella prima venuta, tuttavia, prima della Resurrezione di Cristo questa distinzione non era conosciuta, come dimostra il fatto che gli stessi Apostoli, istruiti dal Signore, non la conoscevano; è detto infatti, in Luca XVII, 34, che quando il Signore annunciò la Sua Morte e la Sua Resurrezione, “essi non capirono ciò che Egli aveva detto”. […] Ed è per questo, per il fatto che questa distinzione delle due venute di Cristo fosse ignorata, che i principi dei Giudei, accecati dalla malizia del loro sentimento verso Cristo, rigettarono le altre testimonianze presenti nella Scrittura, nei segni e nella dottrina, come insufficienti; mentre invece erano molto sufficienti e descrivevano e promettevano la seconda venuta. In più, nonostante Cristo fosse il Re di un regno da venire, essi l’accusarono davanti a Pilato di usurpazione del titolo di Re, dato che Gesù diceva di Sé che era il Cristo; ed è così che essi ottennero infine per lui una sentenza di morte» (24). In breve, i giudei rigettarono Gesù perché non vedevano in Lui la realizzazione della promessa che in realtà riguardava la Sua seconda venuta. Questa seconda salvezza infine compiuta, questa finale restaurazione cosmica di tutte le cose in Cristo, che verrà con la seconda venuta, essi si ostinano a volere che venga realizzata prima della Parusia, nel corso della storia, al momento della prima venuta del Messia, ed è per questo che tale non-redenzione del mondo, a cui guarda la Chiesa con San Paolo, per loro rimane uno scandalo. 20. La spiegazione del Gaetano apporta anche dei chiarimenti interessanti sul mistero che rappresenta questo giudaismo deviato. Il suo errore iniziale – che prosegue nel corso di tutti secoli – è di non aver saputo riconoscere la distinzione (tuttavia presente nelle Scritture) tra le due venute di Cristo: la prima indirettamente temporale e direttamente spirituale; la seconda direttamente spirituale e temporale, riservata per la fine dei secoli. Questo li porta inesorabilmente a disconoscere il ruolo della Chiesa e la vera natura della Cristianità e a rifiutare un ordine sociale in cui la Chiesa e gli Stati pur essendo uniti rimangono distinti. Questo li porta a ricercare una falsa Cristianità con compimento di un mondialismo cripto messianico. La spiegazione del Gaetano ha anche il grande merito di dare tutto il suo significato alla risposta di Gesù davanti a Caifa. Richiamare la profezia di Daniele, VII, 13-14, non equivaleva solo a proclamare la Sua divinità, ma era soprattutto attestare la vera portata del Suo Regno, il cui definitivo compimento rimane riservato alla Parusia. 21. Lungi dal rappresentare la ripartizione del Vecchio Testamento in due cammini, la dualità del giudaismo e del cristianesimo è quella di una irriducibile opposizione, essendo il primo, nella sua essenza, il rifiuto del secondo, rifiuto del compimento della promessa come voluta da Dio, e pertanto vero fondamentale anticristianesimo. Ed è proprio la dottrina teologica tradizionale della sostituzione la sola che può spiegare questa inconciliabile inimicizia. NOTE 1 - https://www.academie-francaise.fr/prix-du-cardinal-lustiger 2 - Cfr. https://www.youtube.com/live/rjarx8MdDxI, da 48.40 a 50.13. 3 – https://www.academie-francaise.fr/sites/academie-francaise.fr/files/ 5_discours_sur_les_prix_litteraires_m.ory_page_1_a_24.pdf 4 – Nato nel 1948, Pascal Ory, aggregato di storia e dottore di Stato, è stato eletto a l’Académie française, il 4 marzo 2021, e ricevuto il 20 ottobre 2022. A lui si deve un notevole studio storico sulla giudeofobia (De la Haine du juif, Éditions Bouquins). Cf. https://fr.wikipedia.org/wiki/Pascal_Ory 5 – La sua autobiografia è stata pubblicata da Presses de la Renaissance nel 2007, col titolo Par des sentiers resserrés. Itinéraire d’un religieux en des temps incertains. 6 - Garrigues, p. 9. 7 - Sull’argomento si veda il libro di Padre Julio Meinvielle, Le Judaïsme dans le mystère de l’histoire, riedizione Editions saint-Rémi, 2007 http://www.librairiefrancaise.fr/fr/ home/2601-le-juif-dans-le-mystere-de-l-histoire-abbe-julio-meinvielle-9782845196575.html ; Charles Journet, Destinées d’Israël, Eglof, 1945 ; il nostro libro Vrai Israël et faux judaïsme, 2° édition, Iris, 2023 https://editionsiris.com/products/vrai-israel-et-faux-judaisme; i numeri del Courrier de Rome di febbraio 2016, maggio 2024 e giugno 2024. 8 – Somma teologica, 1a2ae, question 91, article 5. 9 – Gn, XXII, 16-18. 10 – Sant’Agostino, Commento all’Epistola di San Paolo ai Galati, n° 23 (su III, 15-18) in Migne latini, tomo XXXV, col. 2121. 11 – Sant’Agostino Commento all’Epistola di San Paolo ai Galati, n° 23 (su III, 15-18) in Migne latini, tomo XXXV, col. 2125-2126. 12 - Concilio di Firenze, « Bolla Cantate Domino » del 4 febbraio 1442 (Decreto per i Giacobiti), DS 1348. 13 – Essa è presentata dai commenti del Padre Lagrange, di Pirot-Clamer, di Cornelius a Lapide. 14 - Denise Judant, p. 203. 15 - Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, «I doni e la chiamata senza pentimento. A proposito dell’articolo 4 della Dichiarazione Nostra aetate » in Communio, n° 259, settembre-ot¬tobre 2018, p. 123-145. 16 – Giovanni Paolo II, «Preghiera universale durante la Messa del 12 marzo 2000 per la richiesta di perdono» in Documentation catholique n° 2223, p. 331. 17 - A titolo di unico esempio, cfr. Giovanni Paolo II , «Discorso del 17 novembre 1980 alla comunità ebraica di Magonza» in Documentation catholique n° 1798, p. 1148: il giudaismo attuale continua ad essere «il popolo di Dio della vecchia Alleanza, Alleanza che non è stata mai revocata». 18 - Garrigues, p. 209. 19 - Garrigues, p. 215. 20 - Garrigues, p. 215. 21 - Gershom Sholem (1897-1982) era uno storico e filosofo ebreo, specialista della kabbala e della mistica ebraica, nato a Berlino e morto a Gerusalemme. 22 - Garrigues, p. 212. 23 - Garrigues, p. 212. 24 - Gaetano, ad locum, n° V. ![]() Don Jean-Michel Gleize è professore di apologetica, di ecclesiologia e di dogma al Seminario San Pio X di Ecône. E’ il principale redattore del Courrier de Rome. Ha partecipato alle discussioni dottrinali fra Roma e la Fraternità San Pio X tra il 2009 e il 2011. |