QUALI SONO LE  INTENZIONI DI BERGOGLIO?


di Don Francesco Cupello







Tutti ricorderanno che all’inizio del suo Pontificato Papa Francesco disse che esso sarebbe durato 4-5 anni. Cosa intendeva dire con ciò? Che non sarebbe sopravvissuto più di tale tempo? Oppure che a sopravvivere non oltre 4-5 anni sarebbe stato Benedetto XVI, intendendo quindi che si sarebbe dimesso dopo la sua morte?

Ora sappiamo bene come sono andate le cose: nessuno dei due, dopo 5 anni, passò a miglior vita, e Bergoglio non si dimise, il che induce ad escludere che fossero allora e siano adesso le sue intenzioni. Dichiarando poi recentemente, riferendosi alle sue difficoltà deambulatorie, che si governa con la testa, non con le gambe, ha definitivamente fugato ogni dubbio su tali intenzioni.

Ciò, come vedremo, lascia trapelare un ben più serio e preoccupante disegno, che tutto lascia supporre avesse in mente Bergoglio, allorché accettò la sua elezione a Pontefice, e che tuttora sembra intenda chiaramente portare avanti fino in fondo, come dimostra la sua ferma volontà di rimanere al suo posto nonostante le sue evidenti precarie condizioni di salute.

Un Papa “conservatore” come Benedetto XVI compie un gesto molto rivoluzionario, come quello di rinunciare al Pontificato, e un Papa “rivoluzionario”, come Papa Francesco, addirittura un “ciclone” come anche fu definito, nonostante le sue peggiori condizioni di salute e la più avanzata età rispetto al suo Predecessore, il quale proprio per quelle si dimise, ritiene invece questa causa non sufficiente per rinunciare al pontificato?

Ciò induce a sospettare che Papa Francesco intenda portare avanti il più possibile il suo pontificato, al fine di rivoluzionare il più possibile la Chiesa; più passa il tempo, più cardinali “conservatori” passano a miglior vita e più altri raggiungono i fatidici 80 anni, e più quindi in Conclave prevarranno i cardinali “bergogliani”, condizionando pesantemente l’elezione del Pontefice; ormai questa intenzione è fin troppo evidente.

Ora, se nessuno, secondo la Dominici Gregis, deve osar tramare per condizionare il Conclave, tanto meno può farlo il Pontefice regnante, che avrebbe in ciò maggior potere e influenza.
Le “infornate” di nuovi cardinali, fino a sforare il limite di 120 elettori fissato da Paolo VI, la dice lunga su questo. E ci sono perciò, purtroppo, tutte le premesse perché si corra il pericolo che l’eletto da un siffatto Conclave, non venga accettato e lo si consideri un Papa illegittimo, come tale è considerato oggi Bergoglio da molti fedeli, sacerdoti, religiosi e Vescovi, e forse anche da qualche cardinale, a causa delle trame di una conventicola di cardinali e vescovi, che ne avrebbero pianificato l’elezione, già prima del Conclave che elesse Benedetto XVI.

Mai si è verificata prima nella storia della Chiesa una contestazione del Papa regnante così diffusa e dura come quella che si è levata fin dall’inizio verso Papa Francesco. Alcune frange di questi contestatoti sono arrivate, raccogliendo sempre più adepti, a dichiarare Papa Francesco un falso papa, un antipapa, e alcuni anche un anticristo, con la logica conseguenza di ritenere indebite tutte le sue decisioni, compresa la nullità del conferimento della dignità cardinalizia a tutti i cardinali da lui creati, con le ovvie conseguenze sul futuro Conclave.
Ecco perché dicevo del rischio concreto che il Papa eletto da un tale Conclave non venga riconosciuto e si correrebbe anche quello gravissimo di un drammatico e traumatico scisma.


Bergoglio è o non è Papa?
 
La domanda se Bergoglio sia o no Papa, per quanto inaudita, è giustificata dalla sempre più montante marea di coloro che non ne riconoscono valida l’elezione, chi in ragione di una presunta invalidità della rinuncia al pontificato di Papa Benedetto XVI, chi a causa  della suddetta pianificazione della sua elezione, ad opera di una conventicola di vescovi e cardinali, che si riunivano periodicamente a tale scopo a San Gallo in Svizzera e che venne da taluni denominata la mafia di S. Gallo.

Dell’esistenza e dell’operato di questo gruppo di “carbonari” parlò un suo stesso autorevole membro, nientemeno che il Cardinale belga Godfried Danneels.
Ciò ha rafforzato i contestatori della validità dell’elezione di Bergoglio, i quali, oltre che farsi forti della presunta invalidità della rinuncia di Benedetto XVI, ora possono anche contare sulla Costituzione apostolica Dominici Gregis, che al n. 79 proibisce severamente di prendere decisioni in conventicole private sull’elezione del futuro Pontefice, quando il Predecessore è ancora in vita.

Paladino dell’invalidità dell’elezione di Bergoglio e del conseguente rifiuto di riconoscerlo come Papa legittimo, è il giornalista Andrea CIONCI, che al riguardo ha scritto un libro, intitolato Codice Ratzinger, nel quale cerca di convincere di aver fornito le prove che Bergoglio non è Papa. A suo tempo e prima di Cionci, anche un altro giornalista, Antonio Socci, scrisse un libro intitolato Non è Francesco, per dimostrare l’invalidità dell’elezione di Bergoglio, ma basandosi su ben altri argomenti.

Sta di fatto che il libro di Cionci si dice abbia avuto un discreto successo e che molti, laici ed ecclesiastici, ne siano rimasti irretiti al punto da condividere in pieno la sua tesi. E qualche sacerdote, con un manipolo di altri chierici, religiosi e relativi codazzi di fedeli laici, ne ha fatto persino una crociata, arrivando a dire che Bergoglio è un usurpatore, un impostore, un antipapa e addirittura un anticristo.
La confusione cresce sempre di più e all’orizzonte della Chiesa sembrano accumularsi grossi, neri e minacciosi nuvoloni attraversati da impressionanti fulmini e sinistramente rimbombanti di cupi tuoni, che lasciano presagire furibonde tempeste.

Il prossimo Conclave si preannuncia drammatico e foriero di una possibile scissione nella Chiesa. Ormai son fin troppo chiare e nette le divisioni all’interno del Collegio cardinalizio, sia tra i cardinali elettori, sia tra quelli che non entreranno in Conclave, ma che faranno sicuramente udire la loro voce, come la faranno sentire tanti fedeli, sacerdoti e vescovi. Il pericolo, data la netta divisione tra “bergogliani” e “ratzingeriani”, che gli uni non accetteranno l’elezione del candidato degli altri, è molto concreto. E le conseguenze facilmente prevedibili, prima delle quali, quod Deus avertat, la contemporanea elezione di un altro Papa e l’inevitabile nuovo grande scisma d’Occidente.
E quand’anche così non fosse, ci sarebbe comunque una grave frattura all’interno della Chiesa.

E allora, finché si è in tempo, bisogna trovare una via di uscita. Ma si è ancora in tempo? Credo che ormai sia troppo tardi, perché l’avanzata età di Papa Francesco e le sue precarie condizioni di salute non lasciano molto margine di manovra.
Prima dunque di pensare quale possa essere la via d’uscita da questa situazione, bisogna smontare definitivamente l’insostenibile tesi di Andrea Cionci, secondo cui Bergoglio non è Papa, per il fatto che Benedetto XVI non si è mai realmente dimesso. Secondo lui, Papa Ratzinger avrebbe rinunciato al ministerium di Papa, ma non al munus petrinum. Purtroppo molti gli hanno dato credito, sia fedeli, sia ecclesiastici. Secondo Cionci, dunque, la rinuncia di Benedetto XVI era invalida, e per conseguenza egli è rimasto l’unico vero Papa e Papa Francesco un falso papa. Niente di più insostenibile.

Innanzitutto è molto discutibile la distinzione tra munus e ministerium nella persona del Papa. Qui Cionci dice quella che volgarmente chiamerei una grossa castroneria; secondo lui Benedetto XVI avrebbe così dichiarato: «Siccome non ho più le forze per esercitare il munus petrino (il titolo di Papa, dice Cionci), dichiaro di rinunciare al ministerium (l’esercizio pratico del munus).
Ma egli dimentica che se il munus è solo un titolo, non occorrono forze per esercitarlo. Nella persona del Papa, munus e ministerium sono inscindibili, perché Cristo ha conferito a Pietro non un titolo, ma uno specifico ministero, che è quello di legare e sciogliere, e di pascere le sue pecore e i suoi agnelli. Siamo noi che parliamo di munus petrinum per indicare l’ufficio conferito da Cristo al solo Pietro. Se ne conclude che il ministero proprio del Papa, è quello di esercitare il munus petrinum.

E’ per questo ministerium che occorrono quelle forze che Benedetto XVI dichiarò di non avere più e di vedersi quindi costretto a rinunciare ad esso, sicché è ovvio che rinunciare al ministerium significa per ciò stesso rinunciare anche al munus, tant’è che nella Declaratio di rinuncia Benedetto XVI parla di mancanza di forze sia in rapporto al munus, sia in rapporto al ministerium; Egli dice infatti all’inizio: «Sono pervenuto alla certezza che le mie forze… non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il munus petrino». E poco più avanti dice: «Per governare la barca di Pietro… è necessario anche il vigore del corpo… che in me è diminuito in modo tale da [dover] rinunciare al ministerium di Vescovo di Roma».

L’eccessiva enfatizzazione della distinzione tra munus e ministerium non è tra l’altro giustificata dal Codice di Diritto Canonico, dove il termine munus è usato per lo più genericamente nel senso di incarico in rapporto all’esercizio di un ufficio ecclesiastico, come chiaramente evincesi dai canoni 145, 331-335, 364-367, 381, 383, 531, 544, 617, 628.
Mettiamo perciò una volta per sempre il punto fermo su questa questione, essendo più che ovvio che il ministero proprio del Vescovo di Roma è quello di esercitare il “munus petrinum”; quale sarebbe altrimenti? E quindi rinunciare al ministerium significa assolutamente rinunciare anche al munus.

Un’altra ragione addotta da Cionci per sostenere l’invalidità della Declaratio rasenta il ridicolo; ed è allorché egli dice che «la presunta rinuncia non è stata simultanea, ma differita»; a riguardo va subito detto che la chiarezza del testo della rinuncia non autorizza nessuno a ritenerla “presunta”; e poi non è scritto da nessuna parte che al momento della dichiarazione di rinuncia la Sede romana diventa immediatamente vacante. Ciò si verificherebbe qualora fosse giuridicamente richiesto che qualcuno accetti tale dichiarazione, ma il Codice di Diritto Canonico dice espressamente al can 335.2 che «non si richiede che qualcuno accetti la rinuncia. E quindi solo allo stesso Papa rinunciatario spetta stabilire il giorno e l’ora in cui le sue dimissioni diventano effettive e si determinano le condizioni di Sede romana vacante e si devono avviare tutti i procedimenti canonici per l’elezione del nuovo Pontefice.   

Il teologo Carlo M. PACE, citato dal Cionci, il quale sostiene che la rinuncia di Benedetto XVI al ministerium «è rimasta solo annunciata, ma non confermata dopo le ore 20,00 del 28 febbraio 2013, evidentemente non ha letto bene la Declaratio, dove chiaramente Benedetto XVI dice di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di S. Pietro…, in modo tale che dalle ore 20,00 del 28 febbraio 2013 la Sede di S. Pietro resti libera e che dovrà essere convocato un Conclave per eleggere il nuovo Pontefice. Si parla di Sede libera, cioè non occupata, quindi vacante, nonché di Conclave per eleggere il nuovo Pontefice.
Di quale ulteriore conferma ci sarebbe stato ancora bisogno?

Ma veniamo a quella che Cionci pretenderebbe sia la dimostrazione canonica dell’invalidità dell’“abdicazione” di Benedetto XVI. Egli fa notare che Ratzinger ha ripetuto per 9 anni che «il papa è uno solo, senza però mai spiegare quale dei due», cioè se Lui o Francesco.
E invece no, caro il nostro Cionci, perché proprio in questa frase Benedetto XVI dice chi è il Papa tra lui e Francesco.

A pag. 26 il Nostro scrive: «Affinché un Pontefice sia eletto validamente, il Papa precedente deve essere morto, o deve aver abdicato validamente». Giusto. Ma bisogna tener conto di un altro fatto: circa la validità delle dimissioni di Benedetto XVI, al di là di tutti i dubbi che si possano avanzare, resta il granitico contra factum non est argumentum: e il fatto è che Benedetto XVI si è dimesso con solare e innegabile evidenza. È pura follia mettere in dubbio questo fatto, perché quand’anche nella Dichiarazione delle dimissioni si possa riscontrare qualche inesattezza nella lingua latina in cui è stata espressa, davanti ai dubbi che tali inesattezze possano ingenerare, resta il fattore inequivocabilmente dirimente dell’intenzione di dimettersi espressa in molteplici parole e fatti, che non possono non essere interpretati come chiara e ferma volontà di rinunciare al Pontificato, creando tutte le condizioni della Sede vacante e della conseguente necessità di eleggere un nuovo Pontefice.

Ma poi, come si può pensare che un uomo della levatura culturale, teologica e spirituale come J. Ratzinger, nonché della sua mitezza, umiltà, prudenza, saggezza e grande amore per la Chiesa, potesse decidere, come assurdamente sostiene Cionci, di dare delle dimissioni subdolamente invalide, per continuare a essere il Papa, senza fare il Papa? E delle conseguenze che ne sarebbero derivate, un uomo di tale prudenza e saggezza non avrebbe tenuto conto? E secondo Cionci, Ratzinger sarebbe stato capace di un gesto di tale gravità?

Ma basterebbe fare solo questa obiezione a Cionci, per ritenere insostenibile e assurda la sua tesi, le cui argomentazioni, nomen est omen, si possono ben definire LE CIANCE DI CIONCI.

Bene. Ora resta solo da fare una ulteriore precisazione: se un Papa abdica validamente, cioè in piena coscienza e libertà, ciò impedisce che egli sia indicato come uno dei Papi della storia della Chiesa, Innocenzo, Benedetto o Pio che egli sia? Chiaro come il sole che al Papa dimissionario resti il titolo, e soltanto il titolo di Papa, pur senza alcuna giurisdizione.     Pertanto Joseph Ratzinger, diventato Papa Benedetto XVI, sempre Papa Benedetto XVI rimase, anche dopo le sue dimissioni. Del suo papato gli rimase soltanto il titolo. Ed è naturale che abbia continuato a indossare la talare bianca e a usare il suo stemma papale, ancorché non potesse più usare le insegne proprie del Papa regnante, non avendo egli più alcuna giurisdizione. Non ha alcuna rilevanza la motivazione, un po’ sbrigativa, senza pensarci troppo su, da lui data a un giornalista che gli chiedeva perché continuasse a indossare l’abito bianco [cioè che non si era trovata subito una veste diversa che gli calzasse bene], perché poi deve averci pensato su bene e deve aver detto a se stesso: ma io sono pur sempre Benedetto XVI e la veste bianca dice quello che sono ed è bene che io continui a indossarla.

Ecco perché ho detto che Ratzinger nel dire che il Papa è uno solo, ha espresso chiaramente il concetto che non era lui il Papa, ma Francesco. Infatti, lui dimissionario, era PAPA, ma non era IL PAPA: essere Papa è una cosa, essere il Papa è un’altra. In altre parole: Benedetto XVI era sempre Papa, ma non era più IL PONTEFICE.

Quella sollevata da Cionci è pertanto con ogni evidenza una falsa questione, perché al di là della corretta formalità del testo di rinuncia, questo non lascia alcun dubbio sulle REALI INTENZIONI di Benedetto XVI, che sono già chiare nella Dichiarazione stessa e suffragate in seguito da altri interventi, che non lasciano dubbi sulla sua chiara volontà di rinunciare al Pontificato. Quella sollevata da Cionci è pertanto con ogni evidenza una falsa questione, perché al di là della corretta formalità del testo di rinuncia, questo non lascia alcun dubbio sulle REALI INTENZIONI di Benedetto XVI, che sono già chiare nella Dichiarazione stessa e suffragate in seguito da altri interventi, che non lasciano dubbi sulla sua chiara volontà di rinunciare al Pontificato.

Cominciamo dalla Dichiarazione stessa:

1. «Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio…»: questo è come un giuramento, perché Ratzinger chiama a testimone Dio stesso; come potrebbe quindi aver voluto dare delle dimissioni fittizie, intendendo perciò che sarebbe rimasto lui il vero e unico Papa?

2. Ratzinger dice di «essere pervenuto alla certezza che le sue forze non erano più adatte a esercitare in modo adeguato il munus petrino… e di dover riconoscere la sua incapacità ad amministrare bene il ministerium a lui affidato». Dunque Ratzinger è certo di non avere più le forze e riconosce la sua incapacità; e nonostante questo avrebbe voluto continuare a ritenersi il vero Papa?
Una tesi davvero insostenibile.

3. In quale altro modo Benedetto XVI avrebbe dovuto esprimere la sua chiara volontà di dimettersi definitivamente, se non dicendo, come infatti ha affermato: «Ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministerium di Vescovo di Roma»?

4. E quando infine Benedetto XVI stabilisce giorno e ora in cui la Sede di San Pietro sarebbe rimasta libera e che si sarebbe dovuto quindi convocare il Conclave per l’elezione di un nuovo Sommo Pontefice, si può ragionevolmente dubitare che egli ritenesse definitivamente concluso il suo pontificato? Secondo Cionci dire sede libera non è la stessa cosa che dire sede vacante: ridicolo; libera significa non occupata, cioè senza occupante e perciò vacante. 4. E quando infine Benedetto XVI stabilisce giorno e ora in cui la Sede di San Pietro sarebbe rimasta libera e che si sarebbe dovuto quindi convocare il Conclave per l’elezione di un nuovo Sommo Pontefice, si può ragionevolmente dubitare che egli ritenesse definitivamente concluso il suo pontificato? Secondo Cionci dire sede libera non è la stessa cosa che dire sede vacante: ridicolo; libera significa non occupata, cioè senza occupante e perciò vacante.

Come si può poi non convocare un Conclave, che è lo stesso Papa dimissionario a evocare a seguito della sua rinuncia al pontificato, per eleggere un nuovo Papa, se il Predecessore non è morto o non ha rinunciato al papato? È la stessa evocata come doverosa convocazione del Conclave, per eleggere un nuovo Pontefice, a sancire che il Predecessore si è dimesso perdendo ogni giurisdizione. Se è Benedetto XVI stesso a parlare della necessità di convocare il Conclave per eleggere il suo Successore, come si può mettere in dubbio che Egli, pur essendo PAPA, non si ritenga più IL PAPA, cioè IL PONTEFICE?

Ma se a qualcuno tutto ciò non sarebbe bastato, Benedetto XVI, a conferma e rafforzamento della sua decisione di dimettersi, ha espresso le sue chiare intenzioni in altri documenti e in altre circostanze. Ne cito quattro:

1. Nell’omelia della Messa del Mercoledì delle Ceneri celebrata due giorni dopo la sua clamorosa Declaratio, Benedetto disse: «Mentre mi accingo a concludere il ministero petrino…»: che altro è il ministero petrino se non l’esercizio del munus petrinum? I due termini sono inseparabili, perché sussistono solo nella persona del Successore di Pietro.

2. Nel tradizionale discorso al Clero di Roma all’inizio della Quaresima, Benedetto XVI esordisce così: «È per me un dono particolare della Provvidenza che, prima di lasciare il ministero petrino, possa ancora vedere il mio clero, il clero di Roma»; poi dice ancora: «anche se adesso mi ritiro…; …anche se per il mondo rimango nascosto…»; e conclude dicendo: «Io, ritirato, con la mia preghiera sarò sempre con voi».
Egli non parlava certo di un ritiro spirituale, ma di rinuncia al suo pontificato.

3. Saluto ai Cardinali alla vigilia dell’ultimo giorno del suo Pontificato: «Prima di salutarvi personalmente, desidero dirvi che continuerò ad esservi vicino con la preghiera, specialmente nei prossimi giorni [quelli del Conclave], affinché siate pienamente docili all’azione dello Spirito Santo nell’elezione del nuovo Papa. Che il Signore vi mostri quello voluto da Lui. E tra voi… c’è anche il futuro Papa al quale già oggi prometto la mia incondizionata reverenza ed obbedienza».
Più chiaro di così?! 
Ma basterebbe solo ricordare quanto Benedetto è stato eroicamente fedele a tale promessa di obbedienza, allorché il suo Successore gli diede un umiliante schiaffo, annullando la sua Lettera Apostolica Summorum Pontificum “motu proprio data”, con la quale riteneva legittima per ogni sacerdote, senza la necessità di chiedere alcun permesso, la celebrazione della S. Messa con il messale tridentino: nessuna reazione, nessuna manifestazione del benché minimo dissenso.
Un po’ strano – non ti sembra Cionci? – per uno che, come sostieni tu nel tuo Codice Ratzinger, si riteneva l’unico vero Papa.
Né va dimenticato un altro schiaffo dato da Papa Francesco a Papa Benedetto, senza la benché minima reazione di Questi (di certo nemmeno consultato), quando non confermò nel suo incarico, dopo solo il primo quinquennio, il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il Card. G. Müller nominato da Benedetto XVI e ancor in relativa giovane età. E così Francesco ha umiliato sia Ratzinger, sia Müller.

4. Discorso nell’ultima Udienza generale del mercoledì: «In questi ultimi mesi, ho sentito che le mie forze erano diminuite, e ho chiesto a Dio con insistenza, nella preghiera, di illuminarmi con la sua luce per farmi prendere la decisione più giustaHo fatto questo passo nella piena consapevolezza della sua gravità e anche novità… Amare la Chiesa significa anche avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte… La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero… Non porto più la potestà dell’officio per il governo della Chiesa».

Termino su questa questione con una semplice considerazione: scrive a un certo punto Cionci: «Capite bene, dunque, perché la questione della mancata abdicazione di Benedetto XVI è di una gravità inaudita, storica, incommensurabile, fondamentale non solo per un miliardo e 285 milioni di cattolici, ma anche per tutto il mondo».
Sì, capiamo bene, caro Cionci, capiamo che è di una gravità inaudita l’avanzata ipotesi di una finta abdicazione. Non ti rendi conto che stai attribuendo a Benedetto XVI di aver avuto l’intenzione di ingannare tutti, venendo così a determinare una situazione paradossale, una irrimediabile confusione e una impasse senza uscita?
Il mite, umile e molto remissivo Ratzinger sarebbe stato capace di creare una tale situazione per Chiesa?
Un teologo della sua levatura sarebbe stato capace di prevedere che una sua fittizia abdicazione avrebbe creato enormi danni alla Chiesa, o peggio ancora, pur prevedendoli, non avrebbe desistito dal suo proposito? Una cosa del genere la potrebbe fare solo un nemico della Chiesa, non uno che la amava come Ratzinger.

L’ipotesi di Cionci appare davvero impensabile e direi anche insensata.


La tesi più seria di Mons. Carlo Maria VIGANÓ


Lasciamo stare le ciance di Cionci espresse nel suo fantasioso Codice Ratzinger, la cui unica consistenza si trova in quello stampato in copertina, quello cioè che indica il prezzo del libro che è il vero codice cui Cionci è maggiormente interessato e che purtroppo è passato molte volte sotto il lettore elettronico di tante casse di librerie cattoliche e non.

Ciò che invece desta qualche serio interrogativo e apprensione, è la motivazione addotta da Mons. Carlo Viganò, già Nunzio apostolico a Washington, per sostenere l’invalidità dell’accettazione della sua elezione a Pontefice da parte del Card. Jorge Mario Bergoglio Arcivescovo di Buenos Aires.

A differenza di A. Cionci e compagni, come il carmelitano P. Antonio Maria Farè, che sostengono l’invalidità dell’elezione di Bergoglio sulla base della presunta invalidità della rinunzia al Pontificato di Benedetto XVI, Mons. Viganò sostiene l’invalidità della elezione a Pontefice del card. Bergoglio, sulla base di un grave vizio di consenso nella sua risposta affermativa al Cardinale Decano, che gli chiedeva se accettava l’elezione a Pontefice.
Secondo Viganò si sarebbe verificato un qualcosa di simile a ciò che si verifica quando c’è un vizio di consenso nel sacramento del matrimonio, che sarebbe invalido, se gli sposi, o anche uno solo dei due, nel dire il loro , che li impegna alla procreazione, in cuor loro però escludessero tale fondamentale e irrinunciabile finalità.

Ora, se essere Papa significa, come recita il can. 351 del Codice di Diritto Canonico, essere «il Vescovo della Chiesa di Roma in cui permane l’ufficio concesso dal Signore singolarmente a Pietro, il Vicario di Cristo e il Pastore qui in terra della Chiesa universale», ogni Pontefice ha il dovere supremo di difendere la Fede, vigilare sulla morale, preservare l’ortodossia della dottrina, conservare la Tradizione e custodire il prezioso patrimonio liturgico. Se l’eletto non intendesse in cuor suo assumersi questo dovere, ma al contrario intendesse addirittura ripromettersi di rivoluzionare la struttura della Chiesa e la figura del romano Pontefice, la sua elezione sarebbe invalida per vizio di consenso.
Quanti cardinali lo avrebbero votato se avessero conosciuto le sue intenzioni e le sue idee?

Il Papa deve difendere e servire la Chiesa di Cristo. E invece tutti parlano della Chiesa di Papa Francesco, dimenticando che di Chiesa ce n’è una sola: quella di Cristo. E Papa Francesco, tacendo davanti a tale aberrazione, non fa che avallarla, venendo meno alla missione e al ministero affidato da Cristo a Pietro. E se questa fosse stata già una sua convinzione al momento di dare il suo assenso alla sua elezione? Come anche bisogna domandarsi, per es., se fosse stata già una sua idea quella di ritenere le religioni tutte uguali vie per giungere a Dio, mettendo così sullo stesso piano Cristo, Budda, Maometto, Confucio, Krisna [per non parlare del raggelante omaggio nella Basilica di San Pietro alla Pachamama], e ignorando quindi che Cristo ha detto di essere non una Via, ma la Via: «Io sono la Via, la Verità e la Vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14,6).

Il ministero di Pietro è quello di proclamare che Cristo è il Figlio di Dio, ma di farlo non in forza della carne e del sangue, ma per rivelazione del Padre. Solo a Pietro e a tutti i suoi successori è data la garanzia di parlare per rivelazione dall’Alto. Ma se Bergoglio, al momento di accettare la sua elezione, avesse avuto in cuor suo l’intenzione di promuovere la sua personale idea di Chiesa, nonché le sue personali idee sulla secolare dottrina e morale dell’Istituzione fondata da Cristo, sembra non illegittimo dubitare che ci possa essere stato un vizio di consenso invalidante la sua identità di Successore di Pietro.

Nell’omelia durante la Messa di inaugurazione del suo Pontificato, Benedetto XVI disse a chiare lettere che si sbagliava chiunque pensasse che lui stesse al suo posto per portare avanti le sue idee. Papa Francesco dimostra invece tutto il contrario, dando una marcata impronta personale al suo ministero, arrivando ad affermazioni dottrinali e morali del tutto contrarie alla secolare dottrina e morale della Chiesa. C’è chi ha fatto persino un elenco di quelle che sarebbero addirittura delle eresie di Papa Francesco. Non so se si possa davvero parlare di eresie, ma certe parole, gesti e comportamenti sono in totale contraddizione con quello che dovrebbe essere il suo servizio alla Chiesa come Successore di Pietro, che deve lasciarsi ispirare dall’Alto e non dalle proprie convinzioni e idee personali.

Per es. Bergoglio non fa certo un buon servizio alla Chiesa e al popolo santo di Dio, andando a far visita, addirittura a casa sua, all’on. Emma Bonino nota per la sua accanita e strenua battaglia a favore dell’aborto; come anche ha dato scandalo facendo pervenire dei sussidi economici a una comunità di transessuali, che vivevano di prostituzione e che, poverini, erano rimasti senza “clienti” al tempo della pandemia, arrivando poi anche a salutarli personalmente durante un’udienza generale. Per non parlare delle private udienze al giornalista ateo (o forse massone), Eugenio Scalfari, facendosi intervistare da lui; in una di queste interviste, perché la cosa si ripeté più di una volta, gli disse che il Figlio di Dio si è incarnato per la fratellanza universale [ideale massonico], ignorando che veramente noi nel Credo recitiamo che Egli si è incarnato propter nostram salutem

Ci sarebbe da fare un lungo elenco di tutti i pronunciamenti e di tutti i comportamenti anomali di Papa Francesco che gettano i fedeli nello smarrimento e nella confusione. Ma molti ne sono già ben a conoscenza. A noi interessa ora sapere se, dal momento che sembra innegabile tutto quanto appena riferito sugli anomali comportamenti, gesti e pronunciamenti di Papa Francesco, Mons. Carlo Viganò abbia qualche ragione circa il vizio di consenso che invaliderebbe la sua identità di Successore di Pietro.

Prima di tutto va affrontata la questione se un Papa possa essere eretico. E va subito detto che no, un Papa non può essere eretico, perché ne andrebbe di mezzo la sua ragion d’essere, che è proprio quella di essere dall’Alto garantito dall’errore. Ma come la mettiamo allora con le obiettive devianze dottrinali di Papa Francesco, quand’anche espresse in soli suoi gesti? La risposta che danno coloro che lo tacciano di tali deviazioni in materia di dottrina e morale, è semplice e disarmante: Bergoglio non è un Papa che dice eresie, ma un Vescovo che dice eresie perché non è Papa; anzi, le eresie che dice sono la prova dell’invalidità della sua elezione, in quanto che, non essendo Papa, gli manca l’assistenza dall’Alto, che lo garantirebbe dai condizionamenti e dalla fragilità della “carne e del sangue”.

La questione è seria e non si può certo liquidarla con la politica dello struzzo, tanto più se alle presunte “eresie” di Bergoglio, si aggiunge la sua chiara volontà di annullare tutte le peculiarità della figura del Romano Pontefice, con il disprezzo delle insegne pontificie, con la trasandatezza nel modo di vestire, col comportarsi come un uomo qualunque quando, con voluto snobbante gesto della sacralità della persona del S. Padre, va ora in un negozio di scarpe per comprarsene un paio, ora in uno di ottica a cambiare le lenti degli occhiali, recitando la parte del povero che, per risparmiare, vuole mantenere  la vecchia montatura, ora in quello di un venditore di dischi musicali, come non avesse nessuno da mandare a comprargliene uno: scene davvero irritanti e imbarazzanti per la loro evidente artificiosità e per essere quel farisaico “suonar la tromba avanti a sé” per attirare l’attenzione severamente stigmatizzato da nostro Signore Gesù Cristo.

Come risolvere la questione se davvero Mons. Viganò avesse ragione?
Io spero soltanto che il pontificato di Papa Francesco sia considerato e ricordato solo come una dolorosa parentesi nella storia della Chiesa, stendendo un velo pietoso su tutte le anomalie che lo hanno caratterizzato, e la Chiesa riprenda il suo sereno cammino sulle vie indicate dallo Spirito.

Ma se si dovesse insistere su un Bergoglio non papa per vizio di consenso al momento dell’accettazione della sua elezione, vedo solo una via di uscita: rifare il Conclave per l’elezione del successore di Benedetto XVI, con il rientro in Cappella Sistina di tutti i Cardinali del Conclave del 2013, anche se la cosa non è semplice, perché resterebbe ancora un grosso problema da risolvere: morto o dimesso che sia Papa Francesco, chi avrebbe l’autorità di dichiarare l’invalidità del papato di Bergoglio e quindi di stabilire la necessità del rientro in Conclave di tutti i Cardinali del 2013?
Chiaro che è soltanto all’interno del Collegio cardinalizio che va trovata la risposta, che potrebbe essere semplicemente questa: un gruppo di porporati pone la grave questione all’ordine del giorno, impegnando nella sua soluzione tutte le Congregazioni generali che si rivelassero necessarie, avvalendosi anche di esperti canonisti, storici ed ecclesiologi, ed emettendo alla fine un documento, che permetta di uscire dal grave impasse e di scongiurare uno scisma. In subordine, quegli stessi cardinali propongono che al Conclave partecipi l’intero Collegio cardinalizio, ivi compresi i cardinali creati da Bergoglio e gli ultraottantenni, sottoscrivendo tutti la promessa di riconoscere come Papa pienamente legittimo colui che sarà eletto.

Ma ben vengano altre e più sagge soluzioni.


Don Francesco Cupello ssp – Cinisello Balsamo (MI)













 
febbraio 2025
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