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La formazione di una nuova “religiosità”: «insano archeologismo» e «malsano aggiornamento» SPECCHIETTO RIASSUNTIVO di
Don Curzio Nitoglia
![]() Introduzione Questo “specchietto
riassuntivo” sarà seguito da un’esposizione più ampia per
facilitare la lettura di un tema che è attuale, importante ma un
po’ complicato.
Per aiutare il lettore a comprendere più facilmente questo tema ho diviso lo studio in due parti: 1°) uno “specchietto riassuntivo” e 2°) un’esposizione più articolata, che seguirà ben presto. La duplice formazione di una nuova
religiosità
Vi è perciò, in mezzo ai fedeli, un movimento, dall'azione duplice ma, convergente nella formazione di una nuova “religiosità”, che può essere soltanto una nuova falsa religione: da un lato, si generano incertezze sui misteri rivelati, sia tramite un «insano archeologismo» (PIO XII, Mediator Dei, 1947); dall'altro, si struttura una vita cristiana secondo i gusti dello spirito del secolo, tramite il modernismo. Si tenta, per mezzo di un linguaggio ambiguo e ricercato, di presentare una nuova “religiosità”, consona ai gusti dell’uomo formato secondo le massime del mondo di oggi. Così si diffonde, più o meno ovunque, l’idea che la Chiesa romana deve passare attraverso un mutamento radicale, nella sua morale, nella sua liturgia, e anche nella sua dottrina. La chiesa gerarchica e petrina o
preconciliare è sorpassata
S’inculca la tesi che la Chiesa tradizionale, come esisteva sino al Vaticano II, non è più all’altezza dei tempi moderni. Di conseguenza, deve trasformarsi totalmente. E un’osservazione rapida su quanto succede in ambienti cattolici porta alla convinzione che davvero, dopo il Concilio, esiste una nuova “religiosità”, essenzialmente distinta da quella conosciuta, prima del grande sinodo, come la religione dell’unica Chiesa di Cristo. Infatti, si esalta, come principio assoluto e intangibile, la dignità umana, ai cui diritti si sottomettono la verità e il bene. Questa concezione inaugura la religione e il culto dell'uomo; e fa dimenticare l’austerità cristiana e la beatitudine celeste. - Nei costumi, il medesimo principio dimentica l’ascetica cristiana, ed è assolutamente indulgente anche con il piacere sensuale, dal momento che, l’uomo deve cercare la sua pienezza sulla terra. - Nella vita coniugale e familiare, la religione dell’uomo esalta l’amore e antepone il piacere al dovere, giustificando, a questo titolo, i metodi anticoncezionali, diminuendo l’opposizione al divorzio, e rivelandosi favorevole all’omosessualità e alla coeducazione, senza temere la sequela di disordini morali a essa inerenti, come conseguenza del peccato originale. - Nella vita pubblica, la religione dell’uomo non comprende la gerarchia e propugna l’egualitarismo proprio dell’ideologia marxista e contrario all’insegnamento naturale e rivelato, che attesta l’esistenza di un ordine sociale richiesto dalla natura stessa. Insano ed «eccessivo
archeologismo»
Tradizione, certo, non è immobilismo. È crescita, ma nella stessa linea, nella stessa direzione, nello stesso senso, crescita di esseri vivi, che si conservano sempre gli stessi. L’errore dell’«insano archeologismo» condannato da Pio XII nell’Enciclica Mediator Dei (20 novembre 1947) a porta a negare ogni sana riforma che la Chiesa ha fatto dopo la fine del Medioevo (per esempio il Concilio di Trento e tutte le riforme che ne son seguite; come se, dopo il Medioevo, la Chiesa gerarchica petrina fosse finita e avesse ceduto il passo alla Chiesa pneumatica di Gioacchino da Fiore o di Lutero: la “Chiesa dei soli santi”). Ora, come si legge in san Paolo (1 Cor., XI, 17-34; epistola scritta attorno all’anno 56), l’Apostolo delle Genti abolì l’agape fraterna che si faceva praticamente, more apostolico ma non divinamente comandata, immediatamente prima della Messa. Certamente questa riforma fatta da san Paolo fu un «sano innovamento». Inoltre, sino ai primi secoli del Cristianesimo, dopo un peccato mortale si poteva ricevere l’assoluzione e l’Eucarestia solo dopo molti mesi di severa penitenza; anche questa pratica assai rigorosa fu addolcita e poi abolita. Prima di san Pio X, la Comunione quotidiana era sconsigliata se non addirittura proibita. Papa Sarto, abrogò questo costume, che era stato fatto proprio specialmente dai Giansenisti e spronò alla Comunione frequente e anche quotidiana, col permesso del proprio confessore, che doveva accertarsi delle buone disposizioni del fedele a ricevere frequentemente l’Eucarestia. Prima di Pio XII la Messa e la Comunione vespertina erano proibite, anche se all’epoca degli Apostoli la Messa era celebrata anche nella tarda serata sino all’alba come si legge negli Atti degli Apostoli (XX, 1-16); papa Pacelli le permise e giustamente; altrimenti anche san Paolo, gli Apostoli e la Santa Scrittura, che narra il fatto senza condannarlo, avrebbero errato, quod repugnat. La pia pratica delle Comunione nei “primi 9 Venerdì del Mese” (1673/75; 1684/88) o nei “primi 5 Sabati del Mese” (1917/25) fu incoraggiata e approvata dalla Chiesa e non si può negare la Comunione al fedele che la chiede col pretesto che la Comunione frequente è spiritualmente pericolosa; altrimenti significherebbe che la Chiesa - per quattro secoli - ha non solo permesso ma approvato e incoraggiato queste pratiche, che invece qualche singolo fedele ritiene erronee o non praticabili. Per quanto riguarda il digiuno eucaristico, papa Pacelli ha permesso di ricevere la Comunione tre ore dopo aver mangiato (e avere terminato, così, la digestione); certamente il digiuno a partire, dalla mezzanotte è una legge di diritto ecclesiastico; infatti, nei tempi apostolici si mangiava l’agape fraterna (1 Cor., XI, 17-34) e sùbito dopo (senza neppure aspettare le tre ore) si riceveva l’Eucarestia. Ora, questa mentalità rigoristica è non solo contraria alla pratica della Chiesa, ma ne mette in dubbio l’Autorità, la divina fondazione e assistenza e pone l’Ego (come faceva Lutero) al posto del Magistero. Quindi, essa è praticamente scismatica ed eretica e, invece, di condurre in paradiso, “sub specie boni” conduce alla perdizione; proprio come successe ai Giansenisti che “erano (o sembravano) puri come angeli ma, erano orgogliosi come diavoli”, mettendo il loro giudizio personale e soggettivo al posto del Magistero della Chiesa istituito da Gesù e assistito da Dio. Purtroppo, “quando l’uomo vuol fare l’angelo finisce per diventare una bestia”. Pertanto, chi scientemente e ostinatamente vuol perseverare in questa mentalità e pratica non può ricevere l’Assoluzione sacramentale e la Comunione. Non si possono considerare tradizionali i
costumi che la Chiesa
non ha incorporato nell’esposizione della sua dottrina o nella sua disciplina Per questo stesso motivo, non si possono considerare tradizionali forme e costumi che la Chiesa non ha incorporato nell’esposizione della sua dottrina, o nella sua disciplina. La tendenza in questa direzione, fu definita da Pio XII «insano ed eccessivo archeologismo» (1). Insano
ed «eccessivo innovamento»
L’errore per difetto è quello del «malsano aggiornamento», che ha portato - dal Concilio Vaticano II sino a oggi - a pratiche e dottrine diametralmente contrarie alla Fede e Morale cattolica, come sono state definite infallibilmente dalla Chiesa sin dal Concilio di Gerusalemme (anno 49). Medugorje e Gloria Polo: Carismatismo e
Origenismo
Tra queste, oggi, in ambiente tradizionale si sono infiltrati perniciosi errori che portano a ritenere veri i messaggi di Medugorje (1981/2024 … (2)) o della dottoressa Gloria Polo (1995). Infatti, Gloria Polo dopo essere morta nello stato di peccato mortale, come lei stessa ha confessato - in maniera volutamente non chiara e definita - nel suo libro autobiografico (Alle porte del cielo e dell’inferno, Udine, Il Segno del soprannaturale, 2008), sarebbe risuscitata e avrebbe avuto - nello stato intermedio di morte preludente alla risurrezione - la possibilità di scegliere se restare nel peccato e dannarsi o se convertirsi e salvarsi. Quest’esperienza (contraria alla Fede che insegna che si è giudicati con Giudizio particolare sùbito dopo la morte) sarebbe concessa anche alle altre anime e così l’eresia dell’Apocatastasi condannata dal Concilio di Costantinopoli nel 543 e uscita allora dalla finestra è rientrata dalla porta con Gloria Polo. Tutta la nostra vita futura ed eterna (3) dipende dallo stato in cui si troverà la nostra anima in punto di morte. È per questo motivo che la buona morte, ossia la coincidenza della morte con lo stato di grazia, è chiamata la “grazia delle grazie”. Infatti, con essa tutto è ottenuto, senza di essa tutto è perso. Al contrario, l’impenitenza finale è la coincidenza della morte con la privazione della grazia santificante, quando si ha la sventura di morire senza volersi pentire del mal fatto, nello stato di rivolta contro Dio, senza alcun dolore di aver offeso Iddio. L’impenitenza della volontà per principio (non solo “di fatto”, ossia la mancanza del pentimento che può durare un certo lasso di tempo, che poi lascia il posto al dolore del peccato) è la ferma risoluzione della volontà di non volersi mai pentire dei peccati commessi neppure in punto di morte. Tuttavia, se l’anima arriva all’incontro con la morte nello stato d’impenitenza di fatto, essa diventa impenitenza di diritto o per principio o finale. Qualche volta, ma non sempre, Dio per sua pura misericordia, preserva un’anima che vive abitualmente nel male, dal giungere all’impenitenza finale, ma questa è l’eccezione che conferma la regola (cfr. S. AMBROGIO, De paenitentia, c. X – XII; S. GEROLAMO, Epist. 147 ad Sabinianum; S. AGOSTINO, Sermo 351; S. GIOVANNI CRISOSTOMO, Nove omelie sulla penitenza; S. BERNARDO DI CHIARAVALLE, De conversione). L’Aquinate (S. Th., III, q. 86, a. 1) spiega che il peccato diventa irremissibile o imperdonabile quando non ci si può più pentire di esso, cioè dopo la morte ; ora, i viventi non hanno la volontà fissata nel male, come invece i diavoli; mentre, la volontà dei vivi è ancora flessibile verso il bene o il male; perciò, i viventi possono sempre pentirsi dei loro peccati. Siccome la misericordia di Dio è infinita, se ci si pente del peccato, si ottiene sempre il perdono. Perciò, ogni peccato può essere cancellato col dolore e la confessione. Purtroppo, i teologi neo/modernisti illudono le anime e dicono che Dio dà a tutti un’illuminazione speciale, appena dopo la loro morte, con la quale mostra loro le pene dell’inferno e la gloria del cielo e lascia l’anima libera di scegliere l’uno o l’altro. Ora, ciò è palesemente falso, poiché dopo la morte non si può più meritare. «La morte è il termine non solo della vita terrena, ma anche del tempo utile per meritare. Infatti, Cristo parlando della morte la chiama “notte in cui nessuno può più operare” (Giov., IX, 4). Inoltre, San Paolo (Ebr., IX, 27) scrive: “È stabilito che gli uomini muoiano una volta, dopo di che c’è il giudizio”; ora, il giudizio decide della sorte dell’uomo definitivamente e irremovibilmente. Questa verità sviluppata ampiamente dalla Tradizione, e anche se non è definita solennemente, è insegnata dal Magistero Ordinario della Chiesa (DB, 530 ss. e 693). La Chiesa, condannando l’origenismo, ha negato la possibilità di una redenzione finale dopo la morte. Inoltre, la teoria recente della “illuminazione degli agonizzanti” sostiene che l’anima dopo la morte clinica che non è ancora la morte reale, ossia la separazione definitiva dell’anima dal corpo, potrebbe ancora ricevere una grazia d’illuminazione da Dio e convertirsi. Questa teoria, dilaterebbe di molto la via della salvezza, ma non ha trovato favore nella Chiesa, anzi è stata condannata (cfr. A. MICHEL, Mort, in DThC; S. TOMMASO D’AQUINO, Summa contra Gentes, L. IV, c. 95)» (A. PIOLANTI, De Novissimis, Torino, Marietti, 1943, p. 2 ss.). «La Chiesa ha insegnato più volte, senza definire solennemente, che le anime giuste, e pienamente purificate sùbito sono ricevute (mox) in cielo; le anime macchiate dal peccato mortale sùbito (mox) vengono precipitate nell’inferno (Concilio di Lione, professione di Fede di MICHELE PALEOLOGO, DB, 464; papa BENEDETTO XII, costituzione dogmatica Benedictus Deus, DB, 530-531; Concilio di Firenze, decreto di unione con i Greci, DB, 693). In questa dottrina, insegnata ripetutamente dalla Chiesa, anche se non definita infallibilmente, è affermato implicitamente che tutte le anime, sùbito dopo la morte subiscono il giudizio particolare con il quale viene loro assegnato il premio o il castigo» (A. PIOLANTI, De Novissimis, Torino, Marietti, 1943; ID., Giudizio divino, in Enciclopedia Cattolica, vol. VI, col. 727 ss.). Ciò nonostante, alcune volte (è l’eccezione che conferma la regola), Dio vuole permettere che uno dei suoi santi risusciti un morto nel peccato grave, affinché possa pentirsi e salvarsi l’anima, che altrimenti sarebbe stata dannata per l’eternità, ma questa è l’eccezione e non la regola. L’impenitenza finale voluta per principio, deliberatamente e freddamente, è non soltanto un peccato di malizia ma è una “bestemmia contro lo Spirito Santo” (S. Th., II – II, q. 14), che offende direttamente l’Amore divino che potrebbe aiutare l’uomo a rialzarsi dalla sua miseria. San Tommaso d’Aquino insegna che la “bestemmia contro lo Spirito Santo” non consiste soltanto nel proferire parole offensive contro Dio, ma anche nel peccare con malizia pienamente e freddamente voluta; ossia, volendo scientemente il male e rifiutando tutto ciò che possa distogliere dal peccato (q. 14, a. 1). Inoltre, l’Angelico aggiunge che sebbene l’impenitenza finale sia di per sé imperdonabile e irrimediabile; tuttavia, se interviene un miracolo eccezionale della divina misericordia, allora il peccatore indurito può lasciare il male e convertirsi al Signore (q. 14, a. 3). È necessario pentirsi sùbito del male commesso, altrimenti si precipita nell’impenitenza finale, dopo aver commesso molti altri peccati che accelerano la caduta nella mala morte. Infatti, se non teniamo conto della divina misericordia domandandole perdono e soccorso, piomberà su di noi la divina giustizia. Il Dottor Comune spiega che, se l’uomo si trova nello stato di peccato grave, la sua fragilità a resistere alle tentazioni di peccare mortalmente è talmente grave, che non può restare molto tempo in questo stato, senza commettere altri peccati mortali (S. Th., I – II, q. 109, a. 8). Talvolta, la misericordia onnipotente di Dio, converte all’ultimo istante dei peccatori incalliti (come il buon Ladrone), che avevano voluto restare nello stato di odio contro Dio sino alla fine. Detto questo, prendiamo come norma il seguente principio: quando è evidente che una novità si allontana dalla dottrina tradizionale, è certo che non deve essere ammessa. NOTE 1 - PIO XII, Enciclica Mediator Dei del 20-XI-1947. 2 - Cfr. la videoconferenza del prof. Matteo D’Amico, apparsa in You Tube, su Medugorje. 3 - S. TOMMASO D’AQUINO, S. Th., Supplementum, qq. 69-81 ; S. contra Gentes, L. IV, cc. 79-97 ; L. BILLOT, Quaestiones de Novissimis, Roma, Gregoriana, 1908 ; A. PIOLANTI, De Novissimis, Marietti, Torino, 1943. |