Andiamo a Gesù con Maria o per mezzo di Maria?


di Karen Darentière


Pubblicata  su Corrispondenza Romana









Secondo l’opinione che va per la maggiore nella Chiesa post-conciliare, la risposta a questa domanda sarebbe “con” piuttosto che “per mezzo di”, tanto da chiedersi se non si debba riformulare il venerabile principio di devozione mariana di San Luigi Maria Grignion de Montfort: Ad Jesum per Mariam.
Tra gli innumerevoli esempi di questa nuova tendenza che prevale da qualche anno, si può citare un teologo in linea con Giovanni Paolo II, Padre Guillaume de Menthière.
Pur con visibile circospezione, egli conferma questa tendenza quando, a un giornalista che gli chiede se, con Papa Giovanni Paolo II, non ci sia stato «una specie di cambiamento di prospettiva», risponde: «sì, [con] il Concilio e [con] Papa Giovanni Paolo II che, soprattutto nella sua enciclica Redemptoris Mater, commenta il Concilio. Effettivamente, potremmo dire che, secondo la nuova posizione… Maria non è semplicemente come una scala che ci porta a Dio, o come l’acquedotto, secondo l’analogia di San Bernardo, che ci conduce a Dio, ma ella sul nostro piano, cammina con noi, in quello che è anche il suo pellegrinaggio nella fede.
Dunque non si va più semplicemente a Gesù per mezzo di Maria, ma si va a Gesù con Maria. Certo, entrambi gli aspetti sono veri, ma nella teologia mariana contemporanea, e nel Magistero di Giovanni Paolo II, si insiste molto di più sul fatto che Maria cammina con noi; ella compie con noi il suo pellegrinaggio nella fede» (1).

«Entrambi gli aspetti sono veri», afferma Padre de Manthière, come per rassicurarci.
Tuttavia, esaminando la sua frase, si può notare che il “con” è rafforzato a discapito del “per mezzo di”, grazie a un costrutto equivalente a una specie di insidiosa semi-negazione: «non semplicemente… ma». Questa formula retorica è ormai talmente abusata negli ambienti ecclesiastici che probabilmente la maggior parte dei prelati la usa in modo automatico.
Il problema è che qui essa viene impiegata in modo improprio.
Se infatti nella norma essa serve a indicare un crescendo, un grado superiore – come nella frase: «Non soltanto amiamo Dio, ma lo adoriamo», dove è il “soltanto” (o il “semplicemente”) ad essere negato –, qui invece, sotto il velo di un’affermazione mantenuta e accresciuta, anche se completata da un’affermazione più importante, vi è in realtà una forma di negazione surrettizia: la mediazione di Maria come scala o acquedotto è in questo modo sminuita a vantaggio dell’accompagnamento di colei che, al nostro umile livello, cammina in pellegrinaggio con noi.
Questo procedimento retorico consiste nel far intendere che tra le due proposizioni, la seconda prevale di gran lunga sulla prima quanto a importanza. Vi è una rottura di equilibrio, e dunque la prima viene indebolita, addirittura minata. È come dire: «Non è questo che conta, ma quest’altro». Implicitamente, ciò che si sostiene di mantenere viene di fatto minimizzato. Così, dire che ormai si va a Dio, “non più semplicemente” per mezzo di Maria, ma con Maria, vuol dire minimizzare la mediazione di Maria, a vantaggio del suo ruolo di accompagnatrice.

Tuttavia, la domanda se si vada a Gesù per mezzo di o con Maria è comunque fuorviante, perché pone una alternativa falsa e irrilevante. Vediamo ora perché la domanda è atta, surrettiziamente, a indurre in errore, insinuando una sterile opposizione.
A tal proposito San Luigi Maria Grignion de Montfort è illuminante.



La vera devozione secondo San Luigi Maria Grignion de Montfort

Questo grande santo mariano definisce la vera e perfetta devozione a Maria come segue: «La Perfetta Pratica di Devozione a Maria Santissima… consiste nel darsi interamente, in qualità di schiavo, a Maria e, per mezzo di Maria, a Gesù; poi, nel fare ogni cosa con Maria, in Maria, per mezzo di Maria e per Maria» (Il Segreto di Maria, n. 28).
Queste quattro proposizioni possono essere rapportate con esattezza alle quattro cause aristotelico-tomistiche: materiale, formale, efficiente e finale.
La sapienza mariana di San Luigi si armonizza perfettamente con la sapienza filosofica di San Tommaso, come si può vedere grazie all’analogia che fa il padre carmelitano Jean de Jésus-Hostie: «In sostanza, dire che dobbiamo fare tutte le nostre azioni per mezzo di Maria, vuol dire darle il ruolo di causa efficiente, abbandonarle l’iniziativa e la guida di tutta la nostra vita, ricordandoci che non si tratta soltanto dei nostri gesti e delle nostre iniziative, ma di tutti i moti dell’anima fino alle più recondite profondità dello spirito. Fare tutte le nostre azioni con Maria, vuol dire prenderla come modello, come causa esemplare, se non perfino materiale, dei più piccoli dettagli della nostra vita. Fare tutte le nostre azioni in Maria, vuol dire costituirla causa formale di tutto il nostro essere spirituale, farne veramente l’anima della nostra anima e di tutta la sua azione. Infine, fare tutte le nostre azioni per Maria, vuol dire prenderla come causa finale, diciamo addirittura come fine ultimo» (P. Jean de Jésus-Hostie Notre-Dame de la Montée du Carmel, Éd. Du Carmel, Tarascon, 1951, pp. 162-165; citato in Marie Médiatrice, Éditions Clovis, 2007, pp. 165-166).

Le prime due cause, efficiente ed esemplare (se non perfino materiale), possono dunque essere rapportate alle preposizioni che Padre de Menthière separa. Secondo la prima causa, Maria agisce come Mediatrice della nostra salvezza, guidando le nostre azioni e i nostri pensieri, e secondo la seconda, ella serve da modello da imitare, o persino, nella misura in cui ci lasciamo trasformare interamente in lei, da causa quasi materiale dei nostri atti come dei moti del nostro cuore. (Infatti, Maria diventa per grazia come la materia di cui siamo fatti.) Nessuna sterile opposizione s’insinua tra queste due cause nel grande santo mariano, contrariamente a quanto si sente dire ai nostri giorni. Non solo, ma Maria è addirittura, secondo questa analogia, causa formale, o, come il santo dice in maniera figurata, lo stampo che forma e riforma le nostre anime a sua immagine e somiglianza. Ed è anche causa finale prossima che ci conduce al nostro vero e proprio fine ultimo, che è Dio. Su quest’ultima causa, Padre Jean de Jésus-Hostie aggiunge: «È qui che si verifica quanto abbiamo detto, della mediazione immediata della Santissima Vergine, fondata sulla sua incomparabile fusione con Dio. Dio resta sempre il nostro unico e vero fine ultimo, ed è per raggiungerlo più sicuramente che orientiamo tutte le nostre forze verso Maria, come verso un punto di riferimento spirituale: ma questo punto di riferimento è molto più che un semplice fine prossimo o intermediario: Maria è veramente per noi il volto di Dio e costituisce con lui, non abbiamo timore di dirlo, un solo e stesso fine ultimo».

Questa straordinaria affermazione è conforme a ciò che insegna San Luigi, ossia che Maria è talmente trasformata in Gesù «che si potrebbe più facilmente separare la luce dal sole… che la divina Maria [da suo Figlio]» (Trattato della Vera Devozione, n. 63).
E il carmelitano conclude: «Le quattro formule impiegate da San Luigi Maria Grignion de Montfort non sono dunque una semplice amplificazione oratoria, ma l’espressione di una realtà altissima, e di una causalità mariana universale».
Così si spiega in maniera convincente la dottrina mariana di San Luigi: applicarle le quattro cause tomiste mette in luce la mediazione universale di Maria.


Una infelice “rilettura” conciliare della dottrina montfortiana

Come si è dunque arrivati a ridurre il mistero di Maria contrapponendo l’efficacia della sua azione mediatrice all’esemplarità della sua fede e della sua carità, fino a fare di lei nient’altro che un semplice modello da seguire o, peggio, una semplice compagna di viaggio?
Padre de Menthière rinvia a Giovanni Paolo II e al Concilio. Un testo conciliare enumera alcuni titoli della Santissima Vergine: «Per questo la beata Vergine è invocata nella Chiesa con i titoli di avvocata, ausiliatrice, soccorritrice, Mediatrice. Ciò però va inteso in modo che nulla sia detratto o aggiunto alla dignità e alla efficacia di Cristo, unico Mediatore» (Lumen Gentium, 62).
Questo testo, malgrado le richieste in senso contrario di diversi padri Conciliari, afferma, indebolendo, che Maria è invocata, non dalla Chiesa, ma solamente nella Chiesa (cfr. Acta synodalia, vol. III, pars VIII, p. 163), come «mediatrice» e basta, senza aggiungere «di tutte le grazie». Giovanni Paolo II commenta: «Il capitolo VIII della Lumen Gentium ricorda [il titolo] di “Mediatrice”. […] Si ebbe, però, cura di non legarlo a nessuna particolare teologia della mediazione, ma di elencarlo soltanto tra gli altri titoli riconosciuti a Maria» (Udienza Generale, 1° ottobre 1997).
Dunque, questo titolo è attribuito a Maria quale titolo onorifico tra altri, senza apporgli un significato preciso, lasciando così la porta aperta tanto alle interpretazioni minimaliste quanto a quelle massimaliste (cfr. La sainte Vierge à Vatican II, le huitième chapitre de Lumen Gentium, dell’abbé Stephen, in Le Sel de la Terre, n. 45, estate 2003).
Giovanni Paolo II, grande devoto di San Luigi, e pure autore di belle pagine sulla Santissima Vergine, afferma cionondimeno, nella sua Lettera alle Famiglie monfortiane sulla dottrina mariana del loro santo fondatore, che: «la dottrina monfortiana deve oggi essere riletta e interpretata alla luce del Concilio» (L'Osservatore Romano, n. 3, 20 gennaio 2004, p. 2-3).

Ora, non è meglio cercare di comprenderla secondo il proprio lume, come fa San Pio X in Ad illum deum, e non secondo una “rilettura” voluta dal Concilio?
Dispiace che Giovanni Paolo II, per seguire il suo stesso parere, affermi che: «Attribuire a Maria il “massimo” non può diventare una norma della mariologia» (Udienza Generale, 3 gennaio 1996).
Ma San Luigi Maria Grignion de Monfort scrive: «Tutto ciò che conviene a Dio per natura, conviene a Maria per grazia» (Trattato della vera devozione, n. 74).
E Pio XII, nella bolla di proclamazione del dogma dell’Assunzione, enuncia, «come norma della mariologia, che “i misteri della grazia, che Dio ha operato nella Vergine, non vanno misurati secondo le leggi ordinarie, ma secondo l’onnipotenza di Dio, supposta la convenienza della cosa in sé stessa, ed esclusa ogni contraddizione o ripugnanza da parte della Sacra Scrittura”» (Pio XII, Costituzione apostolica Munificentissimus Deus, del 1° novembre 1950, n. 37).
Pio XII conferma così la dottrina insegnata da Sant’Alfonso Maria de’ Liguori (cfr. Parafrasi della Salve Regina, cap. 5), che invita i suoi lettori ad assumere la regola di attribuire sempre il massimo di gloria e di grandezza a Maria, a condizione che ciò non contraddica le Scritture, al fine di glorificare Dio glorificando sua Madre. In stridente contrasto, Giovanni Paolo II «invita» i cattolici «a contemplare in Maria un’umile donna umana come noi, che si è lasciata guidare dall’azione interiore dello Spirito» (16 dicembre 1997; ORLF 2532 (11/18 agosto 1998), p. 3, cit. in La sainte Vierge à Vatican II, op. cit.), il che non è certo falso in sé, ma ci allontana ampiamente dalla dottrina mariana trasmessa da Pio IX nella bolla di proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione: «Per questo mirabilmente la ricolmò, più di tutti gli angeli e di tutti i santi, dell’abbondanza di tutti i doni celesti, presi dal tesoro della sua divinità. Così ella, sempre assolutamente libera da ogni macchia di peccato, tutta bella e perfetta, possiede una tale pienezza di innocenza e di santità, di cui, dopo Dio, non se ne può concepire una maggiore, e di cui, all’infuori di Dio, nessuna mente può riuscire a comprendere la profondità… La Gloriosissima Vergine… così alta che, dopo Dio solo, fu superiore a tutti; per natura più bella, più graziosa e più santa degli stessi cherubini e serafini e di tutte le schiere degli angeli; superiore a tutte le lodi del cielo e della terra» (Pio IX, Costituzione apostolica Ineffabilis Deus, dell’8 dicembre 1854).


Offuscare la mediazione mariana porta a offuscare anche la Provvidenza divina

Per concludere questa breve riflessione, torniamo sulla nozione filosofica di causa efficiente, definita da Aristotele in questi termini: «Ciò da cui procede il movimento», vale a dire «l’agente» (Aristotele, Fisica, II, 3, 194 b 29 sq., 195 a 21 sq.).
Il movimento, quale inteso da Aristotele, ha un’accezione ben più vasta che ai nostri giorni: è un cambiamento non soltanto di luogo, ma anche di stato fisico, come la crescita, o di stato d’animo. La nozione di causa risponde al principio che il movimento non ha nulla di caotico, bensì obbedisce a un ordine naturale. Essa si divide in due: alla causa efficiente principale si aggiunge la causa efficiente strumentale. Quando il pittore dipinge un quadro, la causalità efficiente principale appartiene al pittore, la causalità efficiente strumentale al pennello che egli maneggia. In tal modo, la causa efficiente non solo spiega il movimento, ma indica che l’esistenza delle cose ha un’origine esterna.
Secondo tale distinzione, la fonte immediata del movimento è causa strumentale, l’origine primaria dell’esistenza è causa principale. Questa distinzione, applicata alla rivelazione cristiana, fa riconoscere che Dio è causa efficiente principale e che Maria, in quanto mediatrice, è causa efficiente strumentale. Ora, velare la sua causalità strumentale, non è un modo di velare anche la causalità principale di Dio? Si potrebbe certo obiettare che è invece un modo di mettere in luce la causalità principale divina, ma in realtà la minorazione dell’azione mediatrice di Maria è accompagnata da una minore comprensione dell’azione provvidenziale di Dio nel mondo.
Del resto, non si sente più tanto parlare della Provvidenza ai nostri giorni…

È utile ricordare queste parole di San Girolamo: «Nessuno dubiti, perché ridonda a lode e a gloria di Dio tutto quello che degnamente e solennemente viene attribuito a sua Madre» (Epist. 9 Ad Paul. et Estoch., n. IV).
Secondo questa affermazione, possiamo dire che, offuscando la causa efficiente strumentale, si finisce con l’offuscare la causa efficiente principale. In altri termini, sminuire l’efficacia della Mediatrice ha come effetto di sminuire, nei nostri spiriti, l’azione onnipotente di Dio. Il nostro spirito resta fisso sul nostro faticoso cammino nella penombra di questo mondo inferiore, in compagnia di una semplice donna come noi, senza alzare lo sguardo verso l’alto. Questa triste tendenza concorda con ciò che lo spirito di oggi, inquieto e incerto, concepisce di Dio, ma ci allontana dalla certezza data dalla sana filosofia e dalla Santa Tradizione.


NOTA

1Théologie Mariale pour tous, KTO TV, Intervista di Régis Burnet a Fr. Rémi Chéno, o.p. e a padre Guillaume de Menthière, https://www.youtube.com/watch?v=iiITXnEun3M, da 4’40’’ a 5’55’’. Vent’anni prima, padre de Menthière aveva pubblicato un libro intitolato Marie, mère du salut: Marie corédemptrice ?: essai de fondement théologique (éditions Téqui, 2000), in cui impiega il metodo tomista per esaminare sistematicamente la dottrina della corredenzione, e, alla fine del libro, risponde in maniera affermativa alla domanda se sia legittimo, dal punto di vista dottrinale, chiamare Maria con il titolo di Corredentrice.








 
marzo 2025
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