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San Giuseppe: modello dei lavoratori ![]() San Giuseppe al lavoro [Fonte: Chanoine D J. Lallement, Vie et sainteté du juste Joseph, p. 309–310] San Giuseppe ci insegna a mettere in ordine la nostra vita: cercando prima di tutto il Regno di Dio e la Sua giustizia. [Chanoine D J. Lallement, Vie et sainteté du juste Joseph, p. 309–310] Modello di pazienza Il nostro secolo, dominato dalla tecnologia, ci abitua alla fretta: bisogna far presto, ottenere dei risultati rapidi, vincere gare ovunque. La velocità in tutto … Tuttavia, la conquista del Regno di Dio, l’evangelizzazione degli altri e la penetrazione del Vangelo nel più profondo di noi stessi, queste cose esulano dalla rapidità, dal facile successo, dal trionfo folgorante; il cristianesimo non si diffonde rapidamente. Da qui la nostra irritazione, le nostre delusioni, i nostri progetti rivoluzionari. […] Concepiamo grandi sogni e nel caso di insuccesso o di successo acquisito lentamente, perdiamo ogni entusiasmo. Siamo quindi dei bambini che giuocano con le bolle di sapone? … Lo si potrebbe credere! Per guarirci e preservarci da questa mania della fretta, guardiamo a Nazareth. Passano gli anni e nulla sembra cambiare. Tutti e tre: Gesù, Maria e Giuseppe restano nascosti nell’oscurità. Non hanno cambiato alcunché; sembra che perdano tempo; dove sono i successi manifesti? Dove sono i trionfi meravigliosi? … Silenzio … tutto qui. L’estensione del Regno di Dio non è quindi soggetta ai nostri calcoli, è evidente … «Dobbiamo infine tenere conto che la vita cristiana è solo un piccolo lievito. […] E’ questione di lunga pazienza …» (Padre Forestier). E’ per questo che ci fa bene guardare a Nazareth: la pazienza ci sembrerà presto normale nella vita cristiana, anche se non lo è nella nostra vita moderna. Normale nella vita cristiana, normale nella vita apostolica, normale in tutto ciò che riguarda il Regno di Dio. [Frate M. Colin, marista, Saint Joseph, l’homme juste [San Giuseppe, l’uomo giusto], pp. 43–44]. Imparare a lavorare San Giuseppe avrebbe avuto molti pretesti per lasciarsi risucchiare dal vortice del lavoro. La sua povertà, la situazione politica complicata, l’economia precaria, avrebbero potuto indurlo a dedicare tutte le sue energie e tutto il suo tempo alla sua attività artigianale. E tuttavia, il Vangelo ci fa vedere il capo della Sacra Famiglia legato alle leggi liturgiche (la circoncisione, la presentazione al Tempio), e fare tutti gli anni il pellegrinaggio di Pasqua a Gerusalemme, familiare con gli Angeli, docile alle vie della Provvidenza. San Giuseppe fu prima di tutto un uomo di preghiera, un anima di silenzio e di raccoglimento. E’ facile immaginare la vita della Sacra Famiglia, che adempie con esattezza e letizia i precetti e i costumi del suo tempo: la lettura della Scrittura guidata dal capo famiglia, la preghiera comune dei Salmi, i tempi di meditazione silenziosa, la benedizione dei pasti, il culto pubblico in sinagoga. San Giuseppe comprende molto bene che «rendere a Dio ciò che è di Dio» significa donarGli il meglio di sé: una intelligenza svegliata dallo studio della dottrina una forte volontà di rinuncia, il rispetto della sua Sposa per la sua missione e per la sua grazia, del figlio con la sua offerta al Tempio. San Giuseppe invita i cristiani di ogni tempo a stabilire una gerarchia tra le loro molteplici attività. Egli vuole frenare la bulimia dell’immaginazione che crea costantemente nuovi obblighi, e l’attivismo che uccide la vita interiore. San Giuseppe vuole pacificarci, rimetterci in ordine davanti a Dio col culto del silenzio, con la vita liturgica e la preghiera, con una intensa vita intellettuale. Nella stessa professione, San Giuseppe ci insegna a lavorare con Dio, per Dio, per fare avanzare il Regno di Dio. Ci invita a fermarci di tanto in tanto per pregare, per porci davanti «all’unica cosa necessaria»: pensare al Cielo. [Padre Jean-Dominique, O. P.] «Beati i poveri…» E’ ben chiaro che l’opera cristiana non tende all’accumulo delle ricchezze, ma alla semplice sufficienza per la libertà della vita nella carità. Giuseppe lavora per la Sacra Famiglia perché essa non vivesse nella miseria, ma nella povertà. La povertà deve segnare in un certo modo tutta la vita cristiana. Anche se il padre ha la responsabilità di provvedere ai suoi figli, e le responsabilità sociali, con gli obblighi di giustizia e di carità che esse comportano, richiedono delle risorse, il cristiano deve sempre dare al suo modo di vivere una certa impronta di povertà discreta, che non è meschinità. Ci sono dei Santi, come Francesco d’Assisi, che hanno la speciale missione di mostrare al mondo la santa gioia della completa spoliazione. Ma ogni discepolo di Cristo, che prega ogni giorno dicendo a Dio: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano», ha la missione ordinaria di affermare nella relativa povertà la libertà riguardo ai beni materiali, e di lasciare spazio nella sua vita alla fiducia in Dio che nutre i passeri e veste di splendore i gigli dei campi. Come ha detto Cristo «l’uomo non vive di solo pane, ma della parola che esce dalla bocca di Dio». L’uomo è infinitamente più di un lavoratore. Il suo stesso lavoro non sarebbe cristiano se fosse solo il lavoro di un servo, e non quello di un amico di Dio che, nel lavoro che fa è ben al di là: è col suo Dio. |