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E’ ancora capace certa chiesa di dire alla terra del mondo: “va’ e d’ora in poi non peccare più”? di Don Ambrogio Clavadei ![]() Gesù scrive sulla sabbia col dito Ogni giorno la realtà
della nostra terra è impietosamente ferita, violentata, uccisa
dalla ferocia disumana degli uomini, che a volte evidenzia persino dei
tratti più direttamente demoniaci, quasi a dimostrare
inequivocabilmente che questa nostra terra è davvero un’“aiuola che ci fa tanto feroci” (Paradiso XXII, 151).
Di fronte a questa spaventosa ferocia, bisogna più che mai trovare un giudizio ultimo che non si riduca ad usare criteri di valutazione che, sia pur doverosi, non sono in grado di innalzarsi al di sopra di quanto accade sulla terra e che dalla logica limitata della terra sono generati, così che in queste valutazioni finisce sempre per prevalere la partigianeria, lo scambio di reciproche accuse e l’avanzare di giustificazioni diametralmente opposte. Certo, qualcuno spesso ha più torto di un altro, e c’è chi subisce ingiustamente. Ma come ottenere una giustizia che superi quell’ingiustizia che altrimenti finisce sempre per regnare sulla terra con la sua inevitabile ferocia? Inevitabile perché la terra è segnata dalla concretezza fragile e peccaminosa dell’uomo, condizione creaturale da cui nasce ogni violenza e atroce sopraffazione che si perpetua da Caino e Abele su su fino ai tempi nostri, a sempre manifestare che “Il primo uomo [Adamo e la sua discendenza segnata dal peccato] tratto dalla terra è di terra [impastata di limiti]” (1 Cor 15, 47). E’ accaduta però su questa terra una novità non riducibile alla terra: “ecco io faccio una cosa nuova”. E’ venuto “il secondo uomo [Cristo, colui che] viene dal cielo” (1 Cor 15, 47), “morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti” (1 Pt 3, 18), morto per salvare l’uomo “tratto dalla terra” che genera morte. Infatti “chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla della terra. Chi viene dal cielo [invece] è al di sopra di tutti” (Gv 3, 31). Quando gli scribi e i farisei portarono l’adultera da Gesù per metterlo alla prova, quegli uomini ragionavano quindi secondo la terra, con quella sua logica distruttiva e ingiusta che prescriveva di lapidare la donna. E con parole di terra si rivolsero a Gesù per poterlo condannare comunque avesse risposto. Pensavano non si potesse sfuggire alla logica perversa della terra. E nemmeno lo pensava la donna. Gesù, interrogato, fece però la “cosa nuova”, “si chinò” sulla nostra terra immedesimandosi con essa (lui che è la Parola fatta carne), e scrisse una prima volta sulla terra una parola di cielo e poi, incalzato, fece capire che solo chi ragiona secondo la terra non può sfuggire – nessuno lo può! – alla logica limitata della terra; infatti “si alzò”, lui che non era definito dalla terra, e disse: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”. E poi, “chinatosi di nuovo” sulla terra, scrisse una seconda volta una parola di cielo, come a chiudere questa sua affermazione tra due parentesi, due parentesi celesti che, come in un abbraccio misericordioso, racchiudono l’uomo fatto di terra. Tracciò col suo dito due incisi chiusi e che possono però aprire ad una possibilità di sguardo nuovo sulla realtà, ma a cui non si può accedere se si rimane ancorati alla logica della terra. E poiché quegli uomini non volevano uscirne, furono costretti a giudicarsi secondo la terra e a riconoscere di appartenervi con tutta la loro peccaminosità, analoga a quella della donna: “Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani”, cominciando cioè da coloro che avendo trascorso più tempo nella logica della terra erano dal suo limite più definiti, anche perché si ritenevano presuntuosamente al di sopra della terra, come del resto quasi inevitabilmente capita a coloro che hanno qualche potere sulla terra e non lasciano la loro poltrona nemmeno di fronte all’evidenza clamorosa e vergognosa dei loro limiti. Chi scrisse, Gesù, era l’uomo celeste che, venuto sulla terra, da essa non era però definito ed era l’unico – e rimane l’unico – capace di farci superare le parentesi chiuse dei nostri inevitabili limiti di uomini, quelli di coloro che volevano lapidare la donna, quelli che continuano a distruggere ferocemente la nostra terra. Gesù fece uscire dalle parentesi della terra la donna, anche lei segnata (adultera), ma non dominata ancora dalla logica della terra come invece chi voleva lapidarla: “«Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più»”. Egli giudicò ma anche salvò: “Non peccare più”. Non si limitò a non condannare, ma indicò anche con chiarezza la strada per camminare sulla terra senza ridursi alla terra e iniziare così a dirigersi verso il cielo. Solo così quella donna cominciò a guardare se stessa secondo una prospettiva di cielo e a cambiare la sua vita. La sua terra distrutta trovò un fondamento su cui ricostruire, non secondo un’ennesima logica di terra che alla fine ancora distrugge, ma secondo una novità di vita che la sorprese totalmente, come quando un sogno impossibile si realizza: “Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova”. “Quando il Signore ristabilì la sorte di Sion, ci sembrava di sognare” (Sal. Resp. 125[126]). Ma ciò che accadde alla donna, è accaduto in modo ancor più grande e sorprendente a san Paolo, l’uomo che in nome di una legge fatta di terra, fu testimone connivente della lapidazione di Stefano (cfr. At 7, 58), assassinato da uomini come quelli che in nome della terra volevano lapidare l’adultera. Anche lui udì una voce celeste che perdonò, pur giudicando, la sua peccaminosità: “mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco, all’improvviso lo avvolse una luce dal cielo e cadendo a terra udì una voce che gli diceva: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?». Rispose: «Chi sei, o Signore?». E la voce: «Io sono Gesù, che tu perseguiti! Orsù, alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare»” (At 9, 3-6). Da quel momento in poi egli diventò il testimone indomito dell’Uomo Celeste con tutto l’ardore con cui prima era stato l’uomo della terra dominato dalla logica omicida della terra. Niente per lui ebbe valore di fronte a questo singolare incontro che aveva sconvolto la sua vita: “Fratelli, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore”. Tutta la sua vita fu una corsa verso il traguardo d un incontro ultimo con Colui che era stato anche il punto fermo di una nuova partenza: “Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù”. La nostra vita di cristiani è definita da questa corsa della fede perché solo questo continuo movimento – come di scampati per grazia dalla lapidazione della terra – ci conduce al cielo ultimo della nostra esistenza. Cosa è la Chiesa se non l’ambito di questo movimento mediante il quale Cristo può ricostruire ogni volta dal cielo le rovine della terra provocate dalla logica della terra? Ma la Chiesa oggi, di fatto, è ancora questo movimento o si presenta alla terra troppo “terra terra” in nome di un falso pietismo? Infatti troppa Chiesa, ormai scristianizzata, cioè ridotta ad agire secondo la logica della terra, è incapace di partire dal riconoscimento di essere una terra giudicata e perdonata e, di conseguenza, anticipo di cielo irriducibile alla terra, per offrire così al mondo – e non diversamente – quell’autentica misericordia di Cristo di cui essa ha dimenticato di essere portatrice, perché si è ridotta a vivere di un misericordismo incapace di offrire alla terra un giudizio di verità, sia pur non arrestandosi ad esso. Essa vive di un capovolto farisaismo in forza del quale essa non si pone orgogliosamente al di sopra della terra per solo giudicarla e condannarla, ma si pone per falsa umiltà (faccia contrapposta dell’unica medaglia dell’orgoglio) al di sotto della terra, senza offrirle dunque un criterio e un metodo veritiero di risollevamento. E’ ancora capace certa Chiesa di dire alla terra del mondo: “va’ e d’ora in poi non peccare più”?, perché altrimenti, sottraendo alla misericordia questo giudizio, perché non si pensi che essa vuole lapidare con pietre la terra, non si offre alla terra la “Pietra Angolare” (cfr. Mc 12, 10-11) che permette di ricostruire le ennesime rovine di cui la ferocia della terra di volta in volta la ricopre. Ecco il misericordismo! Il sale ha perso il suo sapore (cfr. Mt 5, 13). La testimonianza cristiana invece deve ogni volta certo annunciare che “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui”. Ma, continuando il discorso di Cristo, ricordare anche che se è vero che “Chi crede in lui non è condannato”, però “chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie” (Gv 3, 16-19). Oggi più che mai la terra deve scegliere se rimanere quell’arida “aiuola che ci fa tanto feroci” o l’inizio di un definitivo e rigoglioso giardino dell’Eden che “già ora germoglia” nella terra consacrata della Chiesa perché irrorata dal sangue fecondo di Cristo. “Non ve ne accorgete?” dobbiamo proclamare al mondo. Ma noi ce ne accorgiamo ancora? |