Il Papa, l’addio e il pensiero unico.

Considerazioni sull’informazione




Una lettera di Fabio Battiston




Pubblicata sul sito di Aldo Maria Valli







Operatori televisivi in piazza San Pietro





Lettera di Fabio Battiston

Caro Aldo Maria,

di fronte allo spettacolo che in questi giorni la Rai sta offrendo al pubblico, non riesco a credere a quello che vedo e sento da giorni a proposito della dipartita papale. Non vi è uno straccio di parere e/o commento che sia anche minimamente, impercettibilmente discordante con l’imposizione di un pensiero unico, assoluto e indiscutibile. Intendiamoci, questo sta accadendo pressoché in tutte le emittenti private nazionali (come pure nei quotidiani cartacei e web); tuttavia è del servizio radiotelevisivo pubblico che qui mi interessa discutere.

Com’è possibile che tutti i giornalisti, redattori e conduttori Rai la pensino nello stesso identico modo su tutti gli aspetti che hanno connotato l’azione, il pensiero e gli scritti di Jorge Mario? E come è possibile che questo accada in tutti i canali radiofonici e televisivi (ormai moltissimi) che popolano l’emittente pubblica nazionale? Come può essere accettabile che non ci sia stata sinora la possibilità di ascoltare anche una sola voce non dico proveniente dal fronte tradizionalista ma nemmeno appartenente a quell’area (ormai ridotta al lumicino) di opinionisti “laici” ancora in possesso della capacità di analizzare criticamente e obiettivamente questi dodici anni di papato?

Nulla di nulla, a meno di alcuni momenti in cui si è accennato ai “nemici” di Bergoglio solo per attaccarli – e con essi le loro posizioni – in modo vergognoso e unilaterale. Nessun confronto, nessuna dialettica (anche superficiale), nessuno spazio al contradditorio. Può bastare l’appello al “tengo famiglia” con cui gli attori coinvolti nello sviluppo del canovaccio informativo – e rispetto a esso dissenzienti – possono giustificare la loro cieca obbedienza agli ukase editoriali? Oppure bisogna pensare a “temporanee” epurazioni dal video, decise per tutti coloro che avrebbero potuto disturbare il “soggetto” e la “sceneggiatura” di ciò che doveva e deve essere visto, detto e scritto?

Attendo con ansia di essere smentito da chiunque, in questi giorni, abbia avuto l’onore di assistere sui canali Rai a confronti veri e autorevoli sul tema Bergoglio. Se mi sono sfuggiti, chiedo venia. Per quanto mi consta, stiamo assistendo alla più volgare, ignobile e tetra rappresentazione di ciò che non dovrebbe mai essere una televisione pubblica in un paese cosiddetto democratico. Non solo; questo osceno modo di fare informazione denota una intenzionale e premeditata strategia – da parte dei comunicatori – finalizzata a offendere e mettere alla berlina l’intelligenza e la capacità critica del telespettatore medio.

Sono nato nel 1956, un anno e mezzo dopo l’inizio ufficiale delle trasmissioni del canale nazionale. Sono, per usare un termine assai in voga al giorno d’oggi, “un nativo Rai”. In casa mia il televisore è entrato nel giugno del 1955. Posso quindi affermare, con una certa affidabilità, che mai la TV pubblica è stata connotata dagli infimi livelli di bassezza che stanno invece imperversando in questi primi decenni del terzo millennio. Ricordo in particolare, nel periodo che va dal 1960 al 1975, che essa costituì un insostituibile e prezioso strumento che contribuì non poco alla mia formazione/crescita culturale, intellettuale e anche religiosa.
Ma quel tempo, ormai, non esiste più. Oggi questa televisione mi insulta!


Risposta di Aldo Maria Valli

Caro Fabio,
grazie per queste tue considerazioni. Non sto guardando la televisione (da tempo evito di farlo) e nemmeno ascolto la radio (che una volta mi piaceva tanto), ma capisco bene ciò che stai provando. Se non guardo più la tv per igiene mentale, è proprio perché so che ormai è difficilissimo, diciamo pure impossibile, trovarci qualcosa di istruttivo e originale, qualcosa che non sia asservito al pensiero unico e appiattito su idee preconfezionate.

Una prima risposta alle tue osservazioni sta nel fatto che papa Francesco ha predicato un verbo suadente per le orecchie del mondo d’oggi. Le parole di Francesco – cura dell’ambiente, fraternità, accoglienza, apertura e agli omosessuali e ai divorziati risposati, Chiesa “in uscita”, “ospedale da campo” – hanno carezzato la sensibilità contemporanea, o per lo meno della gran parte dei contemporanei. Solo sull’aborto, quando ha parlato di omicidio e di sicari, ha osato mettersi in rotta di collisione con il pensiero dominante, ma in quel caso è stato prontamente silenziato. Oggi, nel momento dell’addio, raccoglie dunque un applauso facile. La canzone è piaciuta perché orecchiabile.

Poi c’è la questione dell’opportunismo, che fornisce senz’altro un’altra spiegazione. Nel giornalismo, come in ogni altro campo, pochi sono disposti ad andare controcorrente. La strada è impervia e ci vuole coraggio. Il coraggio di rimetterci di persona. Vuol dire rinunciare a soldi, prestigio, visibilità, riconoscimenti. E tu capisci bene che non tutti sono disposti a pagare un prezzo del genere.

Ritengo però che l’adesione al pensiero unico da parte della cosiddetta “grande stampa” abbia anche un’altra origine: non si studia più. Fare il vaticanista non è semplice. Occuparsi del Vaticano, della Santa Sede e della religione cattolica significa maneggiare una materia complessa. Se lo vuoi fare seriamente, devi studiare. Che non significa solo informarsi, ma approfondire, frequentare studiosi del passato e del presente, mantenere contatti in tutto il mondo.

Anche in questo caso, però, pochi sono disposti a seguire una strada del genere. Prima di tutto perché costa fatica e poi perché ormai i ritmi dell’informazione sono diventati così frenetici che, anche volendo, è complicato trovare il modo e il tempo di studiare, verificare, confrontare le fonti e trovarne di alternative a quelle ufficiali. Quindi la cosa più facile qual è? Adeguarsi e cantare in coro.

Capisci che, date le circostanze, buttare giù un pezzo allineato, pieno delle idee correnti, è molto più facile che tentare di sviluppare un pensiero critico. Il panegirico costa poco e rende tanto. L’articolo critico costa moltissimo e rende poco o nulla. Peggio, può comportare il rischio che professionalmente ti facciano fuori.

Con questo non sto dicendo che tutti i giornalisti sono prezzolati o ignoranti. Sono convinto che moltissimi cerchino, pur nelle condizioni date, di salvaguardare un minimo di autonomia e di approfondire almeno un poco. Ma i problemi che ho delineato sono indiscutibili.

Segnalo poi un’altra questione. Così come nella società attuale, anche nel campo del giornalismo prevalgono i non credenti, i credenti non praticanti o i diversamente credenti. Per i quali papa Francesco è stato davvero una luce. La malattia più diffusa nel nostro mondo è la solitudine esistenziale, e Francesco si è presentato come colui che era in grado di darle consolazione. Secondo me lo fece al prezzo di ridurre la fede cattolica a un vago umanitarismo senza più sale e di trasformare il Vicario di Cristo in una specie di cappellano del pensiero convenzionale, ma posso capire che molti abbiano nutrito simpatia e gratitudine nei suoi confronti. E forse ora, nel momento del commiato, vogliono sinceramente ringraziarlo. Certo, ci sono i falsi e gli ipocriti.
Ma ci sono anche quelli che hanno creduto davvero in Francesco. E, pur nel dissenso, li rispetto.




 








 
aprile 2025
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