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Il Neo-ultramontanismo o la rivincita di Lutero di Don Bertrand Lundi, FSSPX Fonte : Bollettino del Priorato Sainte-Thérèse de
l’Enfant-Jésus n° 225, aprile-maggio-giugno 2025.
Questo articolo si ispira ampiamente ai due volumi Peter Kwasniewsky, The Road from Hyperpapalism to Catholicism [La Strada dall’Iperpapalismo al cattolicesimo], Os Justi Press. Pubblicato sul sito francese della Fraternità San Pio X La Porte Latine ![]() Ludovico Seitz, La Fede e la Ragione, Affresco nella Galleria dei Candelabri del Museo Vaticano. L’iscrizione in alto è una citazione dalla Aeterni Patris di Leone XIII: «Lo splendore della verità divina, penetrando l’anima, viene in aiuto alla stessa intelligenza» Come sa ogni persona che ha familiarità con le discussioni religiose, i cattolici tradizionali sono spesso accusati di essere dei cripto-luterani, dei discepoli ribelli dell’eresiarca tedesco, che rifiutano il dogma dell’infallibilità e del primato papale del Vaticano I (1869-1870). Ovviamente non è così! Poco importa che i cattolici tradizionali rispettino chiaramente e senza equivoci gli insegnamenti del Concilio Vaticano I su questi argomenti, sottolineando che le affermazioni del Concilio sono più limitate delle conclusioni che ne traggono alcuni, e che esistono delle vere dispute aperte sulla comprensione del primato e della infallibilità, argomenti che lo stesso Concilio ha saggiamente lasciato in sospeso. Io qui intendo capovolgere la situazione e sottolineare come siano gli assolutisti papali, i neo-ultramontani, quale che sia il nome che si dà loro, che di fatto sono dei cripto-luterani. La grande prostituta Partiamo da una celebre frase di Martin Lutero: «La ragione è la più grande prostituta del diavolo». Al centro del sistema di Lutero c’è l’intenzione di soppiantare o di dominare la ragione con la fede. Per lui, la fede, che è un puro dono, deve diventare il nuovo principio di ogni conoscenza e di ogni azione: le facoltà umane di intelletto e volontà, come la natura umana in generale, sono irrimediabilmente corrotte, contaminate e mutate dal peccato, incapaci di rettitudine. Fidarsi della ragione, e perfino del suo funzionamento, significherebbe ricadere nelle abitudini pagane e pelagiane degli scolastici, i quali credevano che uomini come Aristotele e Cicerone potessero cogliere la verità, che si potesse cogliere l’armonia tra Atene, Gerusalemme e Roma. Lutero era piuttosto del parere di Tertulliano: «Cos’ha a che fare Atene con Gerusalemme?». Il motto «credo quia absurdum» (credo perché è assurdo), attribuito a Tertulliano, riflette perfettamente la mentalità di Lutero. Per Lutero, in breve, non ci dobbiamo fidare né affidarci alla ragione, all’intelletto umano, per arrivare alla verità; al contrario, se arriviamo alla verità è per un puro e semplice dono di Dio. Su questo, l’immagine che potremmo dare è quella della neve della verità divina che cade sul letamaio dell’anima intellettuale e non lo trasforma, ma lo ricopre come una coltre. Io non nego che vi sia una parte di verità in questo punto di vista. La nostra natura è ferita e noi abbiamo bisogno dell’aiuto della Rivelazione divina, non solo per conoscere la verità soprannaturale, ma anche per conoscere con certezza le cose che la nostra natura avrebbe potuto raggiungere o potrebbe ancora raggiungere, se non fossimo così facilmente distratti dalle creature o attratti verso il basso da una concupiscenza disordinata. Su tutti questi punti, la tradizione cattolica è molto chiara. Tuttavia, questa tradizione rimane fermamente legata all’idea che la creazione di Dio è buona e resta buona, che è redenta e redimibile e che, in particolare, la ragione è chiamata a servire la fede, a difenderla e a «correre con essa», come lo vediamo nella teologia scolastica, dove le nuove conclusioni dottrinali sono derivate dalle premesse divinamente rivelate attraverso un processo di ragionamento. Per il cattolico, la ragione non è una prostituta, ma una serva del Dio vivente, una serva della Rivelazione divina; l’anima razionale è sposata con Cristo e abbellita dalla Sua grazia. E’ per questo che la posizione di Lutero non è sostenibile. Per formulare una posizione, per accettare la rivelazione divina, bisogna usare la ragione. Attaccare la ragione significa attaccare la capacità di essere illuminati e salvati in quanto uomini. E se la ragione rimane permanentemente danneggiata, se la grazia non può trovare qualcosa di già buono da guarire ed elevare, allora ne consegue che il Logos, il Figlio di Dio stesso, dopotutto non ha dovuto assumere un’anima razionale, ma ha semplicemente sostituito lo spirito con la Sua divinità. E’ questa è l’eresia dell’Apollinarismo. Trascendere non vuol dire contraddire I cattolici riconoscono e cercano l’armonia fra la fede e la ragione, come la Chiesa ci incoraggia solennemente a fare (1). Noi sappiamo che se la fede trascende la ragione, non la contraddice. Noi sappiamo dunque che se la verità insegnata dal magistero della Chiesa non è sempre immediatamente evidente, essa è almeno capace di essere compresa razionalmente come un insegnamento che ripete la Rivelazione divina, in continuità con il magistero che l’ha preceduto. Così, noi sappiamo anche che se un insegnamento successivo contraddice direttamente un insegnamento precedente di pari o superiore autorità, è impossibile acconsentire ad esso in quanto tale; bisogna almeno rifiutargli l’assenso. Di contro, il neo-ultramondanismo afferma audacemente che non fa alcuna differenza se per la ragione vi è una contraddizione evidente – come è accaduto, notoriamente, nell’insegnamento di Papa Francesco sulla pena di morte, o nella sua dichiarazione secondo la quale il rito romano è espresso unicamente dal Novus Ordo e che noi «possiamo trovare nel Messale romano riformato secondo il Concilio Vaticano II tutti gli elementi del rito romano» (2). Secondo questa corrente di pensiero, noi dobbiamo diffidare assolutamente di tutti nostri pensieri e di tutti nostri sentimenti e dobbiamo accettare ed obbedire ciecamente a tutto ciò che ci è trasmesso dal «magistero del momento». E’ sufficiente solo la fede nella funzione papale: sola fide sufficit! Solo la fede nella proposizione o comandamento: credo quia absurdum. Infatti, più si fa violenza alla ragione, più si è fedeli, obbedienti e umili, e più si mostra a Dio che ci si è sacrificati per la Sua Gloria. Almeno per alcuni, questo può essere un pensiero allettante, rassicurante; ma esso è, non solo falso, è offensivo. Esso offende Dio, creatore del potere della ragione, esso offende Dio, governatore della storia, che ha guidato il magistero della Chiesa nel corso dei secoli. Obiezione: il pericolo del soggettivismo A questo punto, si potrebbe avanzare una obiezione: «Anche se lei ha ragione sul posto della ragione nella vita cattolica e nella teologia, come sa che il suo ragionamento è corretto su un dato argomento? Non potrebbe sbagliarsi pensando che vi sia una contraddizione nella proposizione di Papa Francesco, quando invece in realtà non c’è? E l’uso principale della ragione non dovrebbe portare ad eliminare ogni apparenza di contraddizione tra dichiarazioni autorevoli?». O in un’altra versione: «La sola cosa che si produce quanto tutti utilizzano la propria ragione è un groviglio di disaccordi». Tutto si riduce in una forma di soggettivismo. E’ esattamente il motivo per cui abbiamo bisogno di una autorità esterna che ci dica semplicemente cosa bisogna credere e cosa bisogna fare, altrimenti non è possibile alcuna unità». Risposta: Sì, certamente, è possibile sbagliarsi in giudizio razionale. Per ragionare correttamente, soprattutto su questioni complesse e sottili, sono necessarie una lunga formazione e una buona conoscenza delle fonti pertinenti, una valutazione paziente delle prove e delle competenze argomentative. ![]() Giovanni XXII, miniatura, archivi del Palazzo di Roure, Avignone. Quando Giovanni XXII predicò i suoi errori sulla vita dopo la morte, fu affrontato da teologi che lo richiamarono all’ordine. Questi contemporanei di Giovanni XXII riconobbero gli errori e vi si opposero, cosa che condusse il Papa alla ritrattazione in punto di morte e aprì la strada alla immediata definizione dogmatica delle verità contestate, attuata dal suo successore: Benedetto XII. La ragione, lavorando sui dati della Rivelazione, fu molto implicata in tutta la detta questione. Il fatto che la ragione possa sbagliarsi è un motivo per essere prudenti e disponibili alla correzione, e non un motivo per rigettare l’intelligenza e abbandonarsi al fideismo. Per quando riguarda il magistero, anche se vi è solo una apparenza di contraddizione fra la dottrina tradizionale e le dichiarazioni di Papa Francesco, questa è già – o dovrebbe essere – una causa di maggiore preoccupazione. Le apparenze non sempre ingannano; in effetti, l’apparenza di contraddizione può indicare una vera contraddizione pura e semplice, dunque qualcosa che ripugna all’intelletto e al Logos divino. La ragione deve affrontare questo problema. Se delle persone di buona volontà: fedeli, letterati e competenti, arrivano alla conclusione che vi è una contraddizione, questa conclusione merita di essere presa molto sul serio e non di essere qualificata come sleale, ribelle, protestante, scismatica o con qualsiasi altro termine di moda. L’abitudine di qualificare i buoni cattolici con tali termini dispregiativi si ritorcerà contro gli accusatori, perché sono loro e non gli accusati che rischiamo di abusare della dottrina e di calunniare la ragione, come ha fatto Lutero. E’ veramente così difficile comprendere che il compito del magistero è apportare chiarezza e non confusione? Di apportare la luce e non di approfondire le tenebre? Nell’autentico magistero non vi è posto, non solo per l’errore, ma neanche per l’apparenza dell’errore. Lo stesso vale per la virtù di religione: essa esclude, non solo l’idolatria, ma anche ogni apparente idolatria. Ecco perché l’incidente della Pachamama merita una condanna radicale, indipendentemente dal fatto che il prosternarsi davanti a delle sculture femminili somiglianti a dee della terra sia stato un atto intenzionale di culto pagano o che ne abbia avuto semplicemente l’apparenza per ogni normale osservatore. Le porte dell’Inferno non prevalgono sulla fede Ma ecco che si presenta subito una furiosa obiezione: «Se un Papa può insegnare l’errore, le porte dell’Inferno non hanno prevalso sulla Chiesa contrariamente alla promessa di Cristo?». Risposta: No! Salvo che non si pensi che il solo modo per conoscere la verità consista nel riceverla direttamente dal Papa. Se è possibile conoscere la dottrina ortodossa e la sana morale in diversi modi – non solo attraverso l’insegnamento papale - ma anche, per esempio, dalla sacra liturgia, , dalla Scrittura, dal passato insegnamento dogmatico dei Concilii e dei Papi, dal magistero ordinario universale di cui testimoniano innumerevoli Catechismi – è evidente che un Papa errante o malvagio non significherà che le porte dell’Inferno hanno prevalso sulla Chiesa. Un Papa malvagio dimostra piuttosto che Satana ha prevalso per un certo tempo su un uomo che ha tradito la sua funzione. Tuttavia, la fede della Chiesa rimarrebbe esattamente tale com’era già conosciuta e definita. Una vera contraddizione si produrrebbe solo se un Papa definisse solennemente o ex cathedra un errore flagrante. Questo non è mai accaduto ed è nostra convinzione che non accadrà mai, che Dio impedirà che accada: non è ragionevole. E’ dunque chiaro che, adottando l’ipotesi che un Papa non possa mai cadere nell’eresia, o, come affermano alcuni, che non possa esserci errore nel suo autentico magistero ordinario e che tutte le sue decisioni disciplinari universali siano infallibili, i neo-ultramondani hanno commesso l’errore di identificare il Papa con la Fede (come se i due fossero semplicemente inseparabili), e di vedere poi il Papa attuale come il solo accesso alla Fede; e questo perché essi pensano che un Papa defettibile significhi una Chiesa defettibile. Se si adotta il punto di vista più comune, esposto prima, un Papa rinnegato non rappresenta una seria sfida per l’indefettibilità della Chiesa. Molti scandali, confusione e guasti, certo, ma nessuna autodistruzione suicida. Perché allora tanti apologeti (soprattutto on line) solo ancorati ad una posizione teologica minoritaria che è estremamente improbabile, che richiede una ginnastica mentale imbarazzante e che, in fin dei conti, si rivela del tutto inutile? Cosa esattamente li infastidisce nell’ammettere le molteplici fonti di certezza nella fede e dunque la possibilità di essere, talvolta, in una posizione in cui si deve discernere che un Papa ha sbagliato strada? Ma poiché noi siamo sempre tenuti ad usare la nostra intelligenza, anche quando difendiamo un Papa, bisogna imparare a fare la distinzione tra «il giudizio personale basato su delle fonti esterne alla verità», che è sempre in ballo, e «il giudizio soggettivo come autorità esclusiva», che è l’errore dei protestanti. Il tradizionalista, come ogni essere umano sano di spirito, esercita la facoltà razionale di giudizio senza mettere lui stesso o la sua ragione nella posizione più elevata; al contrario, egli considera la ragione come una serva della Fede, che ci è stata trasmessa anch’essa come il bene più prezioso, da difendere a costo della nostra vita. Il neo-ultramondano, invece, sarà portato, per la sua erronea premessa iniziale, a diffidare della ragione; egli parlerà come se i Papi non avessero alcun obbligo di onorate le richieste della ragione, le esigenze della logica, i parametri della coerenza, i tratti della continuità o il valore della consuetudine e della tradizione. Ci si chiede chi finirà per assomigliare di più a Martin Lutero… NOTE 1 – Si veda Aeterni Pastris di Leone XIII, per esempio. 2 – Motu Proprio Traditionis Custodes. |