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Il Papa che verrà vada oltre Francesco di Marcello Veneziani ![]() Conclave nella Cappella Sistina E adesso, quale compito
avrà il successore di Bergoglio alla guida della Chiesa?
Dovrà muoversi nel suo solco o in quello dei suoi predecessori Ratzinger e Woytjla. Dovrà proseguire sulla linea dell’apertura al presente o dovrà tentare di riannodare il filo della Tradizione all’avvenire? Stavolta c’è una situazione che non ha precedenti: 110 cardinali su 138 che hanno diritto di voto al Conclave, sono stati nominati da Bergoglio, per cui la prima cosa da aspettarsi è che venga fuori un Francesco II, in tutti i sensi. E non solo: c’è da aspettarsi che esprimano il loro debito di gratitudine aprendo la via alla santificazione di Bergoglio. Ma l’elezione del Papa, secondo Tradizione, è suggerita dallo Spirito Santo, ed è soggetta a tante valutazioni pratiche e strategiche; dunque non si può dire in partenza quale sarà l’esito, anche se è probabile che sarà in continuità col papato di Bergoglio. Allora proviamo a ragionare. Quale Chiesa ha lasciato Papa Francesco? Innanzitutto una Chiesa profondamente divisa, tra conservatori e progressisti, tra fautori della civiltà cristiana e innovatori sociali, tra chi dice di tornare alla Tradizione e chi dice che si deve tornare al cristianesimo delle origini, povero e poverista, privo di riti, gloria e liturgia, tutto rivolto al mondo d’oggi, a partire dagli ultimi e dagli esclusi. Ma il dato di fatto da cui partire è che il Papa dell’inclusione e dell’accoglienza ha generato molte esclusioni all’interno della Chiesa e tra gli stessi fedeli, e molte fratture, come non era capitato ai suoi predecessori. In secondo luogo, si è registrato un ulteriore passo avanti verso lo spopolamento e lo svuotamento delle chiese: meno fedeli nelle funzioni, meno vocazioni, meno presenza cristiana ovunque. Un processo che marcia con la secolarizzazione e la scristianizzazione della nostra società e che nessuno è in grado di fermare e d’invertire; ma nei dodici anni di pontificato di Bergoglio, nonostante la sua apertura al nostro tempo, o forse a causa di quella, si è ancor più acuita. Bergoglio ha raccolto simpatie tra i non credenti; ma simpatie personali, che non si sono tradotte in conversioni alla fede e in avvicinamento alla Chiesa. Sono simpatie di laicisti e di atei che tali restano, fuori da ogni motivazione religiosa. E se la strada da percorrere non fosse quella di inseguire il proprio tempo e di compiacerlo ma di richiamare l’esempio, la testimonianza, la presenza del mistero di Dio, del sacro, della santità e della fede? Se mimetizzarsi nell’oggi per rendersi più vicini e più disponibili non fosse il rimedio ma fosse invece parte della stessa malattia di cui patisce la cristianità e la Chiesa cattolica? Se la missione pastorale della Chiesa non fosse quella di dimostrarsi accondiscendente allo spirito senza spirito del nostro tempo, ma capace di suscitare l’apertura al cielo, al divino, alla Provvidenza e al messaggio cristiano? Queste ragioni ci portano a dire che il Papato che verrà dovrà piuttosto tentare un’altra via rispetto a quella di Bergoglio. Dovrà ripartire dal nichilismo della nostra epoca, dal silenzio di Dio, dalla diffusa correlazione tra disperazione e lontananza da ogni fede, tra depressione e mancanza di senso religioso. E dovrà cercare un linguaggio efficace, un linguaggio non solo di parole ma anche di atti, di simboli, di atteggiamenti, di esempi, per riaccendere nella gente la curiosità verso la scommessa di Dio, la tentazione di provare quella via, restituendo fiducia e speranza agli uomini e al mondo. La prima missione della Chiesa dovrebbe essere quella: il risveglio religioso, la rinascita della preghiera, l’attesa di Dio, la scommessa del sacro. E la difesa della civiltà cristiana in pericolo. Poi le altre missioni, umanitarie e sociali, verranno al seguito, ma saranno conseguenze coerenti della prima e non autonome strade verso una filantropia umanitaria. Ci vorrebbe un Papa che fosse Santo Padre più che Fratello, che si caricasse cioè sulle sue spalle l’enorme peso della responsabilità di guidare il cammino verso la fede, verso Dio e non di porsi come “uno di noi”, in mezzo alla gente, dalla parte degli ultimi e degli esclusi. Che sia pastore e non uno del gregge. Non si tratta di sconfessare il precedente pontificato, o di porsi in polemica con Francesco; si tratta piuttosto di riprendere la vocazione pastorale ed ecumenica e abbracciare l’intera cristianità, riaprendo i ponti con le altre chiese cristiane, a partire da quella più vicina, la greco-bizantina, ortodossa. Si tratta di ricucire il dissidio tra conservatori e innovatori, fra tradizionalisti e progressisti, dicendo che c’è posto per tutti in Chiesa, sono tutti figli di Dio, e che tutti possono concorrere con la loro spiccata sensibilità su un versante piuttosto che in altro, all’opera divina. Chi si occupa di poveri e di migranti, di ambiente e di esclusi ha un ruolo prezioso nella Chiesa; ma anche chi ritiene più urgente occuparsi di risvegliare la fede in Dio, e le vie del rito, del simbolo, della liturgia, la partecipazione alle Messe e alla vita religiosa, la coerenza tra il credere e il pensare, tra il vivere e il pregare, è necessario alla Chiesa e fa bene a sé e agli altri. Chi ama i lontani accoglie Cristo ma chi si cura di sua madre e di suo padre, dei vecchi e dei suoi figli e pratica la fratellanza a partire dai suoi fratelli, vive nel segno di Cristo. E non dimentichiamo che i poveri a cui si è evangelicamente rivolto Bergoglio, sono in Italia e in Europa solo il dieci per cento della popolazione, migranti inclusi. Se il verbo che Bergoglio ha portato nella Chiesa è stato cambiare, è giusto che ora il suo successore cambi rispetto al suo stesso predecessore. |