Verità e Libertà nel Vicario di Cristo 


di Giuseppe Stevi


Pubblicato su Corrispondenza Romana






Gesù a Pietro: Pasci le mie pecorelle


In queste settimane, anche il popolo di Dio assiste al clamore mediatico recato dalla scomparsa di Papa Francesco e, poi, dal periodo del Conclave che si sta per aprire.

Questo clamore mediatico può essere suddiviso in due parti. L’una celebrativa o commemorativa del defunto Pontefice e del suo pontificato; l’altra come una spinta alla ricerca di chi sarà il 267º successore di San Pietro.
Particolarmente suggestiva viene presentata questa ricerca del prossimo Vicario di Cristo in terra.

Tuttavia, prima di giungere a delineare – semmai lo si volesse – il cosiddetto identikit del prossimo Pontefice, si dovrebbe guardare alla previa esigenza di ben delineare quelle che sono le attuali necessità della Chiesa.

In queste righe, però, non vogliamo spenderci per stilare un elenco – magari con un inconferente approccio compilativo – di queste necessità, anche considerato che sempre incombente è il rischio di prediligere, talvolta prospettive ecclesiali, talvolta prospettive di carattere politico-sociale. Parimenti siamo fortemente e necessariamente convinti – ma in tal senso non vi possono essere dubbi – di come l’aspetto ecclesiale, nel suo fondamento di Fede, sia quello principale, non evitabile e dirimente.

Si tratta di trovare un nuovo Capo della Chiesa universale, ovvero colui che, in quanto successore di san Pietro e per mandato di Nostro Signore, è chiamato a confermare i fratelli nella Fede.

San Tommaso d’Aquino, delineando la figura del Pastore universale ci dice che, poiché Cristo, con la sua ascensione, sottrasse «… alla Chiesa la sua presenza corporale, era necessario che affidasse a qualcuno di avere cura della Chiesa universale in sua legge. Ecco perché egli disse a Pietro prima della sua ascensione: “Pasci le mie pecore” (Giovanni, XXVII, 17); e prima della passione gli aveva detto: “Tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli” (Luca, XXII, 32); e a lui solo aveva fatto la promessa: “A te darò le chiavi del regno dei cieli” (Matteo, XVI, 19); per mostrare che il potere delle chiavi doveva derivare agli altri da Pietro, allo scopo di conservare l’unità della Chiesa».

E di come il mandato conferito a san Pietro e ai suoi successori sia necessario e fondamentale per l’unità della Chiesa, lo spiega lo stesso san Tommaso quando ci ricorda che «… per l’unità della Chiesa si richiede che tutti i fedeli siano concordi nella Fede; poiché dalla diversità delle sentenze la Chiesa sarebbe divisa, se non venisse conservata mediante la sentenza di uno solo. Perciò, per conservare l’unità della Chiesa si richiede che ci sia uno il quale presieda a tutta la Chiesa. Ora, è evidente che Cristo nelle cose necessarie non ha mancato di provvedere alla Chiesa, che egli ha amato, e per la quale ha sparso il proprio sangue; poiché già per la sinagoga era stato detto dal Signore: “che cosa dovevo fare di più per la mia vigna, e io non l’ho fatto?” (Isaia, V, 4). Dunque non si può dubitare che si debba a una disposizione di Cristo, il governo di tutta la Chiesa da parte di un solo capo» (Somma contro i gentili, UTET, Torino, 1975, pp. 1218 – 1219).

Da questa considerazione deriva che le due prospettive, una riferita a individuare le necessità della Chiesa cattolica, l’altra finalizzata a definire un identikit della figura del Romano Pontefice, vengano ad unificarsi in un’unica riflessione. E allora è necessario e legittimo chiedersi quali siano le qualità che possano ritenersi fondamentali affinché il successore di san Pietro confermi, nella Chiesa e, in ispecie, nell’azione evangelizzatrice di quest’ultima, i fratelli nella Fede.

Sotto un profilo necessariamente umano, ciò che potrebbe essere ritenuto maggiormente apprezzabile è il requisito della serietà umana e comportamentale. Forse questa è ora un’affermazione un po’ presuntuosa o fuori contesto, ma tale non la possiamo propriamente considerare ove leghiamo la nostra riflessione ad altre specifiche qualità. Riteniamo che queste debbano riferirsi ai concetti di verità, libertà e, conseguentemente, di trasparenza.

Circa la trasparenza non aggiungiamo altro: il suo significato e la sua importanza sono – si ritiene – facilmente percepibili. È chiaro che una figura che può suscitare dubbi, perplessità, che non abbia la capacità di poter, ragionevolmente, presentarsi come colui che abbia agito sempre coerentemente con gli impegni assunti all’atto della sua ordinazione sacerdotale, della sua consacrazione episcopale, nonché all’atto del conferimento della porpora cardinalizia, non possa presentare questa qualità. 

Quanto agli altri due concetti, è fondamentale valorizzare la libertà e la verità. O, meglio, è importante che la persona chiamata ed essere successore di san Pietro aderisca alla Verità e sia libera nello spirito.

Parliamo prima della verità e in tal senso ci aiuta sempre san Tommaso, delineandoci quale deve essere il nostro atteggiamento di fronte alla Verità. L’Aquinate lo fa, oltre che all’inizio della Summa contra gentiles, anche nella parte introduttiva del Libro Quarto della stessa opera, dove afferma che «… nelle parole della sacra scrittura, la verità [è] come una piccola stilla che cade su di noi, [e]  non potendo nessuno di noi nello stato presente intuire “il tuono della grandezza” divina, dovremmo seguire questo metodo: prendendo come principio le verità che ci sono trasmesse dalle parole della Sacra Scrittura e quello che esse ci trasmettono con oscurità di linguaggio, dobbiamo cercare per quanto è possibile di capirlo, difendendolo dagli attacchi degli infedeli; fuggendo però la presunzione di conoscere tali cose perfettamente; poiché esse vanno dimostrate con l’autorità della sacra scrittura e non con la ragione naturale. Tuttavia si deve dimostrare che esse non sono incompatibili con la ragione naturale, in modo da difenderle dagli attacchi degli increduli, o infedeli» (Somma contro i gentili, cit., p. 973).

San Tommaso, quindi, ci presenta un modello di adesione alla Verità che pone tre presupposti: l’aderenza alla Sacra Scrittura, sia nella conoscenza, sia nell’esplicazione della Verità; la non incompatibilità della Verità con la ragione naturale, onde difenderla dagli attacchi degli infedeli e degli increduli; infine l’esigenza che il nostro atteggiamento non sia un atteggiamento di presunzione che travalichi i limiti delle Sacre Scritture e della ragione naturale, sempre, tuttavia, allontanando da noi qualsiasi tentativo, rischio o, in maniera ancor più grave, presunzione o desiderio di incredulità o infedeltà. Il nostro atteggiamento deve essere un atteggiamento chiaro, trasparente, il più possibile ben definito, lontano da qualsiasi spunto di confusione o di ribellione, anche in termini meramente innovativi, ove non fondati su chiare, fedeli e ragionevoli basi.

Quanto alla libertà, l’Aquinate ci sovviene al Capitolo XXXII del Libro Terzo della Summa contra gentiles, quando, intervenendo circa i modi di vivere di coloro che seguono la povertà volontaria, afferma che «Per la perfezione della virtù si richiede una grande libertà di spirito, tolta la quale gli uomini facilmente “si rendono partecipi dei peccati” (1 Tim. V, 22); o perché vi consentono, o perché li lodano per adulazione, o almeno perché dissimulano. Ora, codesta libertà riceve un grave pregiudizio dal suddetto modo di vivere; poiché non è possibile che un uomo non tema di offendere coloro dei cui benefici egli vive. Perciò il suddetto modo di vivere impedisce la perfezione della virtù…» (Somma contro i gentili, cit., p. 887).

Il Dottore Angelico, quindi, ci fornisce una guida preziosa che mette in risalto quanto sia importante per il nostro cammino verso Dio e per il buono e il Bene, la virtù della libertà, precisando come, non solo l’uomo debba essere libero nello spirito, allontanandosi così dal peccato, ma debba, altresì, essere libero nello spirito per non essere partecipe dei peccati altrui.

In queste righe, con l’aiuto di san Tommaso, abbiamo voluto far risaltare l’importanza decisiva che, specie in questi momenti che porteranno all’elezione del 267º successore di san Pietro, siano debitamente considerate le qualità di adesione alla Verità evangelica e di libertà nello spirito che devono caratterizzare, e, ancor prima, aver caratterizzato, l’essere e l’agire di colui che sarà scelto, “solo per” – tutto il buono ne consegue – confermare i fratelli nelle Fede e pascere le pecore di Nostro Signore.

Dall’adesione alla Verità, nella libertà di spirito, fiorisce la Fede cattolica attraverso la forza insostituibile del nutrimento sacramentale; solo da qui – e non da altro – si fonda e trae autentico vigore missionario e fruttuosa forza evangelizzatrice ogni riforma o scelta che tocchi la vita della Chiesa e del popolo di Dio. Solo da qui, l’unità della Chiesa è salva dalle volontà delle potestà terrene, nonché dalle presunzioni umane e da compiacimenti lontani dal timor di Dio e proni a ingannevoli “segni dei tempi”.

Da qui, la Chiesa di Cristo è affidata anche alla militanza del Suo Vicario in terra; che è libero e coraggioso, per affermare la Verità e cogliere, in maniera autentica, i “segni dei tempi”.

Ma qui emerge, ancora, quel concetto di serietà che avevamo richiamato all’inizio. 

Ne consegue che la nostra azione – per prima quella del Vicario di Cristo in terra – si tramuta in devozione attraverso la liturgia. Liturgia autentica, in quanto lode che spetta a Dio, e, appunto, seria e affabile. Se il nostro atteggiamento qui sarà accompagnato, come deve essere, da una sana umiltà, sapremo anche rendere a Dio il culto – e, nel presente caso, presso la Sede di San Pietro – attento, fruttuoso e fortificante nella misericordia e nell’evangelizzazione, che la tradizione liturgica della Chiesa e, appunto, della Sede di San Pietro ci hanno, nei secoli, trasmesso.

A noi, in Fede, spetta la preghiera perché lo Spirito Santo possa, nella Verità e nella libertà, toccare il cuore e la mente dei componenti del Sacro Collegio.







 
maggio 2025
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