![]() |
![]() |
PONTIFICIA UNIVERSITA’ LATERANENSE: lo spaccio delle patacche di L. P.
![]() All’ottimo articolo di Belvecchio – Contr’ordine compagni fedeli! – relativo all’indecente e sconcertante delibera con cui la P. U. L. ha inteso “onorare”, con una prestigiosa quanto adulatoria medaglia, il Presidente della Repubblica italiana dr. Giorgio Napolitano, articolo che centra e sbugiarda l’aspetto complessivo dell’ipocrita sceneggiata, noi vorremmo apportare alcuni elementi di storia da cui si evince ancor più come il personaggio, da sempre alfiere e vessillifero dell’ateismo militante e seguace pedissequo dell’ideologìa marxista a cui vanno attribuiti i misfatti più atroci e numerosi, non abbia titoli alcuni per essere insignito di medaglia d’onore al merito né da istituzione che si pregi di ragione umanistica e tanto meno da una Università Cattolica. Il lettore, di giovane età o di memoria labile, potrebbe obiettare alla nostra prossima esposizione ed opporre l’immagine che, in questi ultimi anni, l’on. le Giorgio Napolitano si è accreditata in termini di “defensor reipublicae”, di saggio custode della Costituzione, di ferreo assertore di democratica libertà. Noi rispondiamo portando a testimonio i documenti e la storia. Intanto riportiamo, per necessità di comprensione e della caratura dei docenti e del premiato, l’intero testo della motivazione che il devoto ed illustre Senato Accademico della P. U. L. ha posto a legittimazione della medaglia d’onore: “ Per il generoso impegno nella promozione
dei diritti della persona; per la passione educativa nei confronti
delle nuove generazioni, speranza e garanzia di una società
rispettosa dei princìpi democratici incardinati nella
Costituzione della Repubblica Italiana; per la coerente testimonianza
di vita, che invita gli studenti all’impegno quotidiano e alle
competenze indispensabili per valorizzare, nel dialogo sincero, le
differenze di cultura, di nazionalità, di razza, di religione”.
Siamo in Ungheria, 1956. “E’ una giornata fredda quel 23 ottobre
quando una folla di 200 mila persone si raduna davanti al Parlamento di
Budapest, che si riflette cupo nelle acque del Danubio. Operai,
artigiani, contadini, soldati… molte donne, con il viso segnato
dalla sofferenza. Chiedono riforme e libertà, i più
accesi gridano: fuori i russi, a morte il comunismo!” (Marco
Innocenti – La Domenica Il Sole 24
0re – 22/10/2006).
E’ la rivolta ungherese che scuote il sistema sovietico,
è l’insurrezione popolare contro la sanguinaria tirannia
marxista. Di quel lontano evento sono noti quasi tutti gli sviluppi,
dalla sommossa studentesca alla prima repressione, dal timido governo
di Imre Nagy all’intervento “fraterno”
dei carri armati sovietici e del Patto di Varsavia.Noi che scriviamo, eravamo, all’epoca dei fatti, collegiali probandi dei Fratelli Maristi, a Genova, e potemmo ascoltare le cronache in diretta e gli appelli via radio che il governo rivoluzionario trasmetteva ai paesi occidentali. A noi quattordicenni, allora, parve che il mondo crollasse perché la cintura protettiva con che, dai rumori del mondo, l’Istituto quotidianamente ci preservava, sembrò fendersi lasciando entrare una realtà sconosciuta e tremenda. Comprendemmo, in quei giorni di ottobre, il significato e il valore del termine libertà e il suo opposto e comprendemmo, altresì, come una politica priva della presenza di Dio predisponesse inevitabilmente al dominio di Satana. E Satana, come magistralmente scrive don Giuliano Lilli (Quando Satana firma la Storia – 6 vv. Ed. Il segno 2004), firmò la storia di quei giorni, così come l’aveva firmata per tante e tante epoche di oscurità. Ma se noti sono alcuni fatti, altri sono stati cancellati, rimossi, capovolti, e sbianchettati perché così volle l’informazione comunista europea, soprattutto quella italiana, allora come oggi egemone, col concorso formidabile dei centri del potere occulto. “ Nei confronti di quella tragica vicenda il
PCI (e l’industria editoriale a esso collegata ) adottò un
atteggiamento fermo ed intransigente, salutando benevolmente la
sanguinosa repressione messa in atto dai sovietici. Ma non si
limitò a questo. In realtà avviò un’opera di
capillare disinformazione – tacendo alcuni fatti, falsificandone o
distorcendone altri – organizzata con la complicità di tutte le
sue più autorevoli testate” (Alessandro Frigerio: Budapest 1956 - la macchina del
fango. Ed. Lindau 2012 4^ di copertina).
L’ “Unità” – organo ufficiale del PCI – l’11 novembre del ’56 definiva i giovani rivoltosi “ bande di sabotatori”. Insomma: il PCI, col suo Comitato Centrale di cui era membro Giorgio Napolitano, si schierò a favore dell’intervento armato della Russia comunista che schiacciò la rivolta con i carri armati, con le fucilazioni, richiedendo prima ed applaudendo poi all’impiccagione di Imre Nagy, Pal Maléter e Miklos Gimes eseguita il 15 giugno 1958. E qui, dobbiamo svelare un aspetto che dichiara non solo l’ipocrisìa del PCI ma soprattutto la strategìa e il cinismo dei suoi capi e di quel Comitato Centrale che gestì l’intera faccenda. Palmiro Togliatti – il “migliore” figuriamoci! – era stato fin dagli inizii della rivolta, un aspro stalinista, convinto che i ribelli dovessero essere schiacciati sotto il tallone dell’esercito del patto di Varsavia, l’esercito “fratello”. “Si apprenderà allora che il
segretario carismatico del PCI, in permanente contatto con i capi
sovietici, era stato partecipe d’ogni fase e di ogni svolta della
tragedia ungherese e del destino personale di Imre Nagy. Questi
sarà impiccato nel 1958. I documenti riveleranno che Togliatti
aveva dato il suo assenso alla condanna a morte già nella
metà del 1957. A partire da quel momento l’intreccio delle
complicità, delle decisioni concordemente prese e rinviate, si
farà di mese in mese sempre più cinico e più
sinistro. Nel novembre del ’57 Togliatti incontrerà
Kàdàr a Mosca, e gli chiederà che l’esecuzione
avvenga qualche settimana dopo le elezioni politiche italiane. Il 25
maggio del ’58 si terranno le elezioni che, premiando il PCI,
dimostreranno ai dirigenti più informati che il loro leader ha
avuto ragione due volte. Prima nel prevedere che la calunnia avrebbe
ridato vigore al voto comunista, poi nel comprendere che una notizia
prematura dell’impiccagione avrebbe potuto incrinare lo spessore della
menzogna e compromettere l’incasso elettorale… Il 16 giugno del ’58,
tre settimane dopo le votazioni, come richiesto da Togliatti,
sarà annunciata l’esecuzione dei condannati” (Enzo
Bettiza: 1956 Budapest – i giorni
della rivoluzione, Ed. Mondadori 2006 pag. 95).
Tra coloro che applaudirono al massacro e all’esecuzione dei giusti ci fu anche l’on. le Giorgio Napolitano, allora trentaduenne e giovane delegato di Caserta che “dopo aver attestato tutta la sua soddisfazione per l’impostazione data da Togliatti… polemizzò aspramente con Giolitti argomentando che in Ungheria non ci si è limitati a sviluppare una critica, ma si è scatenata una lotta disgregatrice, di fazioni” concludendo che l’URSS, con la repressione, aveva salvato la pace nel mondo. Capito? In un dibattito televisivo, novembre 1986 – riportato in cronaca su l’ “Avanti!” – 9 novembre 1986 - il capogruppo del PCI, Giorgio Napolitano, riconobbe come un grave errore suo e del partito l’essersi arroccati in una scelta ideologica. Niente di più e niente di meno. “L’efficacia del pellegrinaggio funebre del
1989 compiuto da Occhetto per onorare la memoria di Nagy a Budapest,
apparirà scarsa – cito dal testo di Argentieri distribuito dall’
“Unità” – rispetto al peso avuto da Togliatti nel premere per la
condanna a morte di Nagy” (Enzo Bettiza: op. cit. pag. 95 ).
E’ noto che pentimento o resipiscenza alcuna non sono mai
stati, per le vicende ungheresi, espressi dall’attuale presidente della
Repubblica. Semmai una sola comoda presa d’atto per aver sbagliato a
valutare le situazioni. Della condanna a morte, sollecitata e ottenuta
dal Comitato Centrale PCI di cui era autorevole membro, nessun cenno.Alla luce fosca di queste testimonianze dovremmo chiedere ai soloni della Lateranense in che cosa, dove, come e quando sìasi manifestato l’impegno di Giorgio Napolitano nella promozione dei diritti della persona, quando, dove e come lo stesso abbia manifestato passione per le nuove generazioni se, allora, applaudiva coloro che le frantumavano sotto i cingoli dei carri armati; dove, quando e come egli sia stato, ed è, garanzia di una società rispettosa dei princìpi democratici “incardinati” (ironìa del dialogo! Un termine tipico del diritto canonico!!! ) nella Costituzione se la defenestrazione del legittimo governo Berlusconi dimostra non il rispetto delle nostre autonome istituzioni, ma l’obbedienza prona agli occulti poteri sovrani europei. Forse, anzi senz’altro, l’unico titolo che risponde alla realtà è quella “coerente testimonianza di vita” con che Napolitano dimostra come nulla sia in lui cambiato di quell’infame ideologìa che lo portò ad errare e che ve lo indusse anche quando negò di firmare un decreto del Governo Berlusconi con cui si richiedeva di salvare la vita di Eluana Englaro morta poi il 9 febbraio del 2009. Promozione dei diritti della persona! Se qualche volenteroso lettore volesse dare una scorsa a quella melassa di luoghi comuni e di aberrazioni che è il libretto “Giorgio Napolitano/Gianfranco Ravasi: Il Dio ignoto – ed. Corriere della Sera 2013” (si noti quel “Gianfranco Ravasi” e non “Cardinale Gianfranco Ravasi” quasi un volontario mimetizzarsi nell’anonimo citoyen giacobino o cristiano rahneriano) pubblicato dopo il bischero, vanesio, sterile, televisivo “Cortile dei Gentili”, quel lettore, dicevamo, non troverebbe, nella rievocazione della propria vita che Napolitano fa in riferimento alla fede, alla sua fede, i fatti di Ungherìa. Cancellati, rimossi o, forse, ancora lì ma come ricordi preziosi da cui non staccarsi. Evitiamo di pronunciarci sul contenuto del libretto perché faremmo apologìa di eresìa e di qualunquismo religioso, qualunquismo massonico, cioè. Ma vogliamo citare soltanto un passaggio del presidente, riportato in seconda di copertina in cui così si esprime: “ Nel dialogo tra credenti e non credenti –
sempre prezioso in vista del bene comune da perseguire in questa
travagliata nostra Italia – io rappresento gli uni e gli altri,
credenti e non credenti, come cittadini e come italiani. E tendo a
unirli”.
Cosa che, se a lui spettante per dovere, non è tale
per la Chiesa che ha il compito di riportare all’ovile le pecore
smarrite, separare il grano dalla zizzania, e non gestire un coacervo
incoerente sotto l’etichetta di una unità nella diversità
come nella fattispecie dell’onorificenza a Napolitano. Citiamo, all’uopo e di passaggio, tanto per concludere e tanto per fornire al Senato della Pontificia Università Lateranense ulteriore motivo di vergogna, l’intervista concessa dal padre Gabriele Amorth al giornalista Stefano Lorenzetto (Il Giornale, 19 marzo 2013) in cui il celebre esorcista così afferma: “ Chi comanda è
chi ha i soldi. Il nostro mondo è gestito da 7/8 persone che
hanno in mano i quattrini. Di Monti cosa vuole che le dica? Non
per niente è stato messo su da un massone. Perché
Napolitano è un massone”.
Interessante sarebbe, per i monsignori della Lateranense, leggere anche quanto in proposito è scritto in “ Ferruccio Pinotti/ Stefano Santachiara: I panni sporchi della sinistra – ed. Chiare lettere 2013” . Ora, se si pensa all’inquisizione sui Frati Francescani dell’Immacolata, scatenata da papa Bergoglio e le si contrappone la cialtroneria di un clero docente che, per piaggerìa, spirito di adulazione e complesso d’inferiorità si prostra davanti a un personaggio che certo non brillò, e non brilla tuttora, per fede cattolica, per spirito di carità ma che, al contrario, con spavalderia perché certo che i suoi interlocutori non sarebbero capaci di replicare, dichiara di sentirsi onorato da una Chiesa finalmente libera da dogmatismi e da pregiudizii, se si pensa a tutto ciò, mentre si spera nell’intervento chirurgico di Dio, salgono tumultuosi, nei fedeli, lo sdegno e la nausea. E poi i normalisti ci verranno a dire che le chiese si stanno riempiendo di gente che ritorna alla fede. Sì, quella comunista! Exsurge Domine! (torna
su)
novembre 2013 |