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Un Leone sul Soglio di Pietro ![]() Dalla loggia della Basilica
di san Pietro, l’8 maggio nel giorno della Supplica alla Madonna di Pompei e della seconda
apparizione dell’Arcangelo san Michele,
è risuonato l’annuncio dell’elezione del nuovo Papa con la
fatidica frase “Habebus Papa” Leone
XIV.
Davanti al nuovo Pontefice mi permetto due semplici considerazioni e ciò che attende il successore di Pietro. Confesso che un brivido mi ha colto alla notizia della fumata bianca. La mia paura, come di tanti altri cattolici, era di vedere affacciarsi un altro Papa che avesse seguito le orme nefaste del suo predecessore, salutando la folla con un banale buona sera, parlando dei problemi del mondo senza accennare a Dio e rinunciando alle vesti papali tradizionali trascurando così qualsiasi forma di rispetto per i suoi predecessori. Un Papa, Francesco, che ha dimostrato tutta la sua pochezza, giustificata solo da un mainstream colpevole e compiacente che lo ha esaltato per il suo voler essere umile e vicino alla gente, dimenticando che cosa deve rappresentare veramente un Papa, il Vicario di Cristo, ma grazie a Dio, transeat mundi. Certamente ancora è presto per indicare come si comporterà Leone XVI davanti alle sfide che lo attendono, ma è triste vedere come, nei tanti talk show della sera sull’elezione papale, giornalisti o esperti di cose vaticane, presenti nei vari studi televisivi, sperticarsi nel dichiarare la continuità con il suo predecessore puntando sulle parole di pace pronunciate nel suo primo discorso (come se gli altri papi fossero stati per le guerre e genocidi. Ndr) per porlo poi, Dio non voglia, vicino a Papa Francesco e nessuno, o sicuramente mi sarà sfuggito, ha notato che qualcosa è cambiato e che, forse, con la grazia di Dio, si ritorna alla serietà del papato. Un Papa vestito da Papa Innanzitutto si è presentato davanti ai fedeli di tutto il mondo con le insegne papali, affermando il suo ruolo di successore di Pietro, argomento abbandonato per ignoranza o presunzione dal suo predecessore; ha parlato di Cristo come del Buon Pastore e, cosa straordinaria, un Papa che non solo si rivolge a Maria Santissima, ma la invoca con una preghiera corale davanti a centocinquantamila persone in piazza e, infine, al posto del vuoto ed inutile “buona sera” ha impartito la benedizione solenne con tanto di indulgenza plenaria. Tutte cose di cui ci eravamo ormai dimenticati. Altro elemento importante è sicuramente il nome che ha voluto prendere: Leone XIV, il Papa non solo della Rerum Novarum sulla condizione del lavoro di quei tempi. Fu anche il Papa della terribile visione degli ultimi tempi con le lotte dei demoni contro la Chiesa, ma anche un duro atto di accusa all’ideologia marxista allora nascente, per questo scrisse la famosa preghiera all’arcangelo Michele da recitarsi alla fine di ogni Messa, ma con la riforma liturgica di montiniana memoria, fu tolta e i frutti di tale scelleratezza sono ancora presenti. Se questo nuovo Papa apre a una speranza di rinnovamento per la Chiesa, con un ritorno, almeno in parte, alla tradizione, dobbiamo affermare che il nodo dei mali della Chiesa nascono con lo sciagurato Concilio Vaticano II, fonte di ogni disgrazia per la Chiesa, e se il Papa, per quanto buono e santo sia, non dà mano all’ascia per abbattere questa mala pianta, ogni riforma, ogni buon gesto per quanto illuminato, annullato o depotenziato nel riferirsi agli insegnamenti (sic) conciliari e al suo frutto più recente: il Sinodo. Poco meno di sessant’anni fa, la Chiesa era una roccia, tutto poteva crollare, ma a Roma c’era sempre il Papa, e non era solo un detto popolaresco, questa presenza autorevole dava forza e sicurezza in un mondo infettato dalla modernità, dagli aggiornamenti e altre stupidaggini simili, ma davanti a tanta confusione la sede di Pietro dava certezze. Poi avvenne, agli inizi degli anni ‘60, il disastro: il Concilio Vaticano II, con il quale si passò dalle certezze alla confusione intaccando dolorosamente la dottrina e, dunque, la fede. Anche se abbiamo una fede totale nelle parole di Cristo per il quale i nemici della Chiesa non prevarranno, ciò nonostante, senza andare alle radici di questa mala pianta conciliare, sarà difficile ritrovare dottrinalmente la Chiesa forte, almeno nei tempi attuali. Spesso si sente dire che già Pio XII aveva avuto intenzione di aprire un Concilio, ma non certo per aprire il “Portone di Bronzo” alla modernità, cioè al nulla, ma per discutere dei problemi che già si manifestavano all’orizzonte delle Mure Leonine. Infatti, lo stesso Papa Eugenio Pacelli, da uomo accorto, appena vide il baratro che si sarebbe aperto a causa del manifestarsi di forze disgregatrici come, ad esempio, la Nouvelle Theologie, con le loro idee lontano certamente da ogni vera spiritualità, pensò bene di non aprire una tale assise. Purtroppo fu solo un rimandare l’apertura dell’abisso. Uomini come Pierre Teilhard de Chardin, Henri de Lubac, Jean Daniélou, Marie-Dominique Chenu, Yves Congar, Hans Urs von Balthasar, Karl Ranher ed anche un giovane Joseph Ratzinger avrebbero preso ben presto, con grande capacità politica, le redini di una Chiesa ancora forte per ridurla in sessant’anni nell’ombra morale di sé stessa. Come sappiamo, dopo la morte di Papa Pacelli, salì al Trono di Pietro il Patriarca di Venezia, Angelo Roncalli, con il nome di Giovanni XXIII. L’inizio della fine Senza prendere esperienza dal suo predecessore, volle aprire ugualmente il Concilio, perché si disse che ormai era nell’aria il rinnovamento e che la Chiesa doveva aprirsi al mondo, alla modernità per non rimanerne emarginata e questo fu già il primo errore, dimenticando ciò che Cristo rinnegò sempre affermando che il suo Regno non era di questo mondo e che i suoi prìncipi avevano avuto già la loro ricompensa, come leggiamo nei Vangeli. Ma così va il mondo e il nuovo Papa, anzi il “Papa Buono” non si sottrasse a questo appuntamento epocale. Non fu certo, come ci racconta una certa vulgata, che l’annuncio avvenne senza un’attenta regia con effetto dirompente quel 25 gennaio del 1959 quando, presso la sala capitolare del Monastero di San Paolo fuori le mura a Roma, concludendo la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, Papa Roncalli comunicava al mondo l’apertura del Concilio Vaticano II (il primo venne tragicamente interrotto dalla presa di Roma nel 1870 - NdR) tra lo stupore dei presenti, ma non certo di chi già da tempo muoveva le file di questo evento. Bruciando le tappe dei lavori preparativi e tra la confusione delle commissioni preposte ai lavori del dibattimento, l’11 ottobre del 1962 Papa Roncalli apriva ufficialmente il Concilio con un discorso assai articolato sui problemi del mondo iniziando con: “Venerabili Fratelli, la Madre Chiesa si rallegra perché, per un dono speciale della Divina Provvidenza, è ormai sorto il giorno tanto desiderato nel quale qui, presso il sepolcro di san Pietro, auspice la Vergine Madre di Dio, di cui oggi si celebra con gioia la dignità materna, inizia solennemente il Concilio Ecumenico Vaticano II.” E la Chiesa non fu più la stessa. Roncalli non era certo un rivoluzionario per indole e tanto meno per la sua esperienza ecclesiastica, ma era aperto alla modernità, non dimentichiamo che negli anni giovanili era stato segnalato all’allora Santo Uffizio come vicino ad ambienti modernisti, ma ormai il dado era tratto; secondo lui la Chiesa avrebbe messo le basi per un fruttuoso dialogo con coloro che fino a poco tempo prima erano i suoi nemici e far entrare così finalmente nella Chiesa l’aria fresca delle novità del mondo e non solo. In spregio alla realtà osò scrivere, nella sua Humanae Salutis del 1961, che con questo evento si apriva una nuova Pentecoste per l’umanità. L’apertura al Mondo Nei secoli la Chiesa ha avuto tanti tipi di Papi: guerrieri, diplomatici, santi e anche uomini corrotti, insomma una vasta collezione delle miserie umane, ma nessuno e, permetteteci, con superficialità ha mai pensato di distruggere le basi stesse della fede cattolica, come ha fatto Papa Giovanni XXIII, forse troppo fiducioso nelle sue scelte per capire dove stava andando. Ebbe ragione l‘allora cardinale Alfredo Ottaviani, Prefetto dell’allora Santo Uffizio, nell’affermare nel suo diario che visto come procedevano i lavori conciliari: “Più che una nuova aurora per l’umanità, è in realtà una lunga notte per la Chiesa” e alla fine aggiungeva: “Prego Dio di farmi morire prima della fine di questo Concilio, così almeno muoio cattolico”. La rivista americana Religious Research Association pubblicò nel 2000 un articolo impietoso, dopo quasi trent’anni da questi fatti, a firma di due sociologi Rodney Stark e Roger Finke, sulla crisi delle vocazioni, primo campanello d’allarme sulla situazione della Chiesa, ma totalmente inascoltato. Nella loro ricerca emergono i numeri spietati di venti anni fa e oggi ancora certamente più gravi. Scrivevano i due ricercatori: “Durante i trent’anni successivi al Concilio Ecumenico Vaticano II, quantitativamente la caduta (dei fedeli) è stata enorme soprattutto fra i candidati al sacerdozio: da -81% in Olanda a -54% in Gran Bretagna, quindi fra le vocazioni religiose maschili, da -82% in Gran Bretagna a -68% in Francia, nonché, in misura minore, fra quelle femminili: da -51% in Olanda a -43% in Gran Bretagna, lo stesso negli Stati Uniti con un calo di -60%”. Certo come nuova Pentecoste profetizzata da Papa Roncalli non c’è male. Dopo l’ubriacatura della modernità e di un addio troppo frettoloso al passato e alla Tradizione bimillenaria della Chiesa, come anche affermato dai due sociologi, rimane solo restaurare e riabilitare qualcosa che si è ormai perso come il rispetto della dottrina e della fede, fondamento di salvezza per i credenti. Il difficile restauro della Chiesa Davanti a questi numeri impietosi, invece di fare un doveroso mea culpa da parte dei responsabili, si è detto e scritto che il Cattolicesimo è entrato in crisi, non per aver abbandonato la sua storia bimillenaria, ma nientemeno perché non in sintonia con i tempi moderni, come se questa follia non si fosse spinta già abbastanza avanti verso la propria rovina. Secondo poi alcuni esegeti, legati al discutibile modernismo, nella Chiesa vivrebbero invece ancora forme anacronistiche e premoderne che sarebbero la fonte dei suoi problemi, confondendo la secolare struttura ecclesiastica e i suoi simboli come una moda, un capriccio da doversene liberare al più presto, come voleva Papa Francesco accusando, coloro che amavano la Chiesa di sempre, di “indietrismo”, un neologismo che non vuol dire nulla. A sfatare questa leggenda, basta guardare, ad esempio, alla crisi profonda delle comunità protestanti che da anni si sforzano di stare nel “mercato” diluendo sempre più la loro confessione, ma senza successo, come i luterani, gli anglicani o i calvinisti, che, pur ricevendo il plauso di certi media per le loro posizioni tolleranti in materia di aborto, eutanasia e omosessualità, si stanno velocemente riducendo al lumicino, peggio della Chiesa Cattolica, mentre proprio nel mondo protestante stanno crescendo comunità come quelle evangeliche e pentecostali, dove la morale sessuale, ad esempio, è molto rigida e la lotta verso la modernità è spesso senza quartiere. Ora per Leone XIV si apre il periodo più complesso, dopo i festeggiamenti per la sua elezione se la dovrà vedere da un lato con l’ala progressista della Chiesa che vuole ancora riforme e aggiornamenti nel solco di Papa Francesco e dall’altra i cosiddetti tradizionalisti che vorrebbero una Chiesa trionfante senza gli orpelli inutili dei tempi attuali. Una situazione non certo facile, ne seppe qualcosa Benedetto XVI che appena provò a ridare alla Chiesa un minimo di autorevolezza nel solco della Tradizione, venne massacrato dai media e costretto poi alle dimissioni. Ma, come abbiamo scritto all’inizio di questo articolo, se nonostante gli ostacoli, le pressioni a cui verrà sottoposto, non metterà da parte il Concilio Vaticano II e il Sinodo, allora, con immenso dolore anche questo Papa si avvierà alla secolarizzazione della Chiesa ed alla sua ininfluenza nel mondo, fino a che il buon Dio vorrà. |