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Cuor di Leone di Marcello Veneziani ![]() Un giovedì da Leone. E
così, a sorpresa, è stato eletto un Papa americano; non
un Papa delle periferie, un Papa asiatico o africano, cioè un
rappresentante degli ultimi in ordine di tempo e di povertà; e
non un Papa italiano di quelli sostenuti dalle tifoserie nostrane,
bergogliani e cattoprogressisti. Un Papa americano, dunque, anzi
statunitense, di Chicago persino, città che sembra essere agli
antipodi della fede, con una fama di città dei gangster o
capitale del maiale, come scriveva negli anni trenta Berto Ricci. Ma un Papa
franco-ispanico e un po’ italiano, dunque latino ed euroamericano.
Chi vede l’Americano che si sceglie quel nome ruggente, lo immagina come il Leone della Metro Goldwin Mayer, un Papa da film e da fiction holliwoodiana, ma deve ricredersi; due figure emergono dal suo esordio e dalla sua storia personale e che hanno ben altra storia: Sant’Agostino, Padre della Chiesa, Santo e Filosofo, e Maria, la Madonna di Pompei, a cui si è rivolto con devozione anche perché è stato eletto proprio nel giorno dedicato a lei (ovunque io fossi l’8 maggio, mia madre mi raccomandava di recitare la supplica alla Madonna di Pompei, a cui poi fui legato da qualcosa che mi segnò la vita). Per cominciare, un Papa così non nasce nel segno di Bergoglio o di Trump. Molti indizi ce lo dicono. Nei due partiti veri o presunti della Chiesa, i conservatori e i progressisti, questo Papa non figura; dunque un Papa mediano e di mediazione, un Papa saggiamente scelto per non generare in partenza divisioni ed esclusioni. Di lui possiamo raccontare oltre il passato, solo quei pochi minuti in cui è apparso affacciandosi su San Pietro e parlando ai fedeli, con un testo scritto. Dunque, per primo ha voluto chiamarsi Leone e la scelta dice moltissimo. Non solo e non tanto per i predecessori che ebbero quel nome, da san Leone Magno, che fermò i barbari e gli eretici, all’ultimo Leone XIII che fu gran Papa e gran fautore, tra l’altro, della Dottrina Sociale della Chiesa; ma perché ha voluto attingere dalla tradizione della Chiesa e non dai nomi degli ultimi Papi venuti dopo il Concilio Vaticano II. Se avesse voluto sottolineare la sua continuità onomastica con Bergoglio avrebbe dovuto chiamarsi Francesco II o Giovanni XXIV, come suggerì il Papa argentino, pensando a Papa Roncalli e al Concilio Vaticano II. Ha invece voluto lanciare già nel nome un preciso messaggio: la mia Tradizione è la Chiesa e non la storia contemporanea, è la storia tutta della Chiesa e non solo il pur eccelso poverello d’Assisi. In secondo luogo ha voluto vestirsi da Santo Padre, ovvero come si vestivano i Papi e non come vestiva Bergoglio, ossia secondo liturgia e tradizione; dalla mozzetta di porpora alla stola con le immagini dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, alla croce che è tornata a splendere perché aurea e non ferrea, come fu invece quella del suo predecessore. È un messaggio preciso di continuità con la tradizione millenaria della Chiesa, pur nelle sue evoluzioni. Oso pensare che la ritrosia di Bergoglio a usare i paramenti sacri e a risiedere in San Pietro sia dovuta anche alla compresenza di Papa Benedetto XVI (e tralascio le più spinose questioni di legittimità e simbologia). Del resto invocare la continuità assoluta con Francesco era già una contraddizione in termini: se si apprezza di Francesco la sua discontinuità con i Papi precedenti, non vedo perché non si debba apprezzare la stessa discontinuità del nuovo Papa rispetto al suo predecessore. Ma il criterio va al di là della figura di Francesco, è una questione di principio, significa abbracciare la Santa Madre Chiesa e non le ultime novità e le ultime presenze. Nel festival di Sanremo a cui la tv riduce il totoPapa, nell’attesa della fumata bianca, abbiamo sentito la gente dire le solite banalità prefabbricate che le somministra la stessa televisione: speriamo che sia come Francesco, che faccia ponti non muri, sia inclusivo, accogliente, dialogante, ecologista, pacifista, innovatore in parole e opere, anzi in parolin e opere (una pupona col microfono dava voce in piazza a una discreta tifoseria o clacque). Ma, al di là delle idee di Bergoglio, la Chiesa non può ridurre la sua tradizione al corto raggio del Papa precedente, riducendo la tradizione al mese precedente; deve avere un respiro più ampio, sul piano storico e geografico. A proposito del frasario obbligato che tutti auspicavano, vorrei ricordare che quando Leone XIV ha ripetuto la parola Pace, si è riferito a Cristo Risorto e non ai pacifisti; quando si è rivolto al mondo intero non ha fatto la solita menata green; quando ha citato i ponti ha precisato che primo compito per un Pontefice, come non ci siamo stancati di scrivere prima della sua elezione, è costruire ponti tra l’umano e il divino, e non solo ponti tra popoli e migranti. Leone XIV è agostiniano, viene cioè dalla tradizione più antica dei Padri della Chiesa, la prima tradizione di pensiero cristiano che precede la Scolastica, che verrà poi con S. Tommaso d’Aquino. Agostino d’Ippona o di Tagaste, a cui si ispira l’Ordine da cui proviene il nuovo Papa, fu dedito alla fede e all’interiorità, alla scoperta dell’anima, a S. Paolo e a Platone. Naturalmente, è del tutto prematuro azzardare giudizi e previsioni. Sottolineo solo una divergenza insorta di recente tra l’allora cardinale Prevost e il vice di Trump, il neo-cattolico Vance. Questi aveva detto che l’amore per l’umanità intera ha una naturale gerarchia: prima ami tua madre, i tuoi figli, chi ti è caro e vicino, quindi il tuo popolo, infine l’umanità intera. È una concezione che ripeto da tempo, e che considero naturale e umana: non puoi amare dello stesso amore la persona più cara che ti è accanto e lo straniero più remoto e sconosciuto. C’è una una predilezione che non ha nulla di esclusione o di discriminazione; anzi la parola stessa prossimo indica la prossimità come primo criterio. Il cardinal Prevost contestò questa concezione dicendo che l’amore non fa graduatorie, e in questo, lo riconosco, fu coerentemente cristiano, così come Vance era stato coerentemente umano. L’idealismo cristiano del prelato e il realismo naturale e affettivo di Vance. La tradizione cristiana comprende entrambi: Gesù Cristo predica la forza di distaccarsi dai propri affetti naturali, andare oltre la propria famiglia, amare il prossimo a partire dagli ultimi e da chi sta peggio. Ma la Cristianità intera si è edificata poi realisticamente a immagine e somiglianza della Sacra Famiglia, ponendo l’unione familiare al centro dell’universo affettivo, religioso, educativo della Cristianità. Un giorno da leoni è troppo presto per capirne i prossimi cento, e mille e mille ancora. Ma il fatto che nessuna “fazione” abbia rivendicato il nuovo Papa, il fatto che nelle sue parole si siano riconosciuti tutti o non si sia sentito respinto nessuno, è una incoraggiante premessa, dopo un papato divisivo. Sperando che il nuovo Papa abbia davvero un coraggio da Leone per attraversare l’epoca che ha voltato le spalle a Dio, alla fede, ai legami religiosi e familiari. Che Dio lo assista e il Santo Padre assista noi. |