Francesco non ci vuole imbalsamati

Caro G&P, guai a impolverare Gesù con una dottrina inospitale

di  Emmanuel Exitu


Articolo pubblicato sul quotidiano Il Foglio di mercoledì 27 novembre 2013
col quale l'Autore critica quanto scritto da Gnocchi e Palmaro

Pubblichiamo, a titolo documentario, l’articolo di Emmanuel Exitu che critica le critiche che Gnocchi e Palmaro hanno rivolto a papa Bergoglio. La risposta degli interessati è stata immediata e, riteniamo, molto chiara fin dal titolo: Ma senza dottrina non si è cristiani.

Da parte nostra pensiamo che sia opportuno ricordare che la linea guida di questo articolo: “l’esperienza dell’incontro” attiene ad una concezione che solo marginalmente è cattolica, mentre affonda le sue radici nel convincimento che la religione non si fondi su Dio stesso, ma sulla capacità dell’uomo di trarre profitto dall’esperienza, massimamente dall’esperienza religiosa.
Per brevità ci limitiamo a ricordare che, mentre è logico che l’incontro con delle brave persone che professano il cattolicesimo possa portare ad avvicinarsi al cattolicesimo stesso fino ad abbracciarlo, è altrettanto logico che le brave persone, dal punto di vista umano, si trovano dovunque, anche tra gli atei e gli anticattolici, tale che un incontro con costoro può tranquillamente portare all’ateismo e all’anticattolicesimo.
È quello che accade da diversi decenni in tutti i paesi un tempo cattolici.

Non è l’incontro che fa il credente in Cristo, perché l’incontro senza un impegno dell’intelligenza e della volontà basato sulla dottrina di Cristo, è mera esperienza religiosa; e l’esperienza religiosa la fa chiunque, anche l’animista.

Il cattivo insegnamento di papa Ratzinger, secondo il quale il cattolicesimo non sarebbe una dottrina, ma un incontro personale, ultimamente ribadito da papa Bergoglio nella sua prima esortazione apostolica, “Evangelii gaudium”, ma già anni fa predicato da Don Giussani, continua a generare non pochi guasti nella già sconquassata compagine cattolica, fino a far credere a certuni che non serva la dottrina e la liturgia, ma che basti una simpatica attitudine sociale condotta con Cristo sulle labbra.  




La premiata ditta d’imbalsamazioni Gnocchi&Palmaro dispiace perché pretestuosa nel maneggio delle fonti e piena di risentimento. Sarebbe divertente ribattere colpo su colpo con la gioia maligna del vandalo, ma non c’è spazio né cultura sufficienti. Si può però ribattere sul piano dell’esperienza, che poi sulle faccende di vita è l’unico piano che davvero conti. Non a difesa del Papa, che sa benissimo difendersi da solo, ma a difesa di me stesso, della mia esperienza di moderno che vive oggi la fede seguendo l’esperienza viva di testimoni afferrati da Cristo oggi.
G&P cita tutti, tranne Cristo: del rapporto con Lui non racconta. Quel rapporto bisogna viverlo, non basta avere in memoria tutti i libri cattolici fino all’ultima nota per poi mitragliare senza pietà chiunque ritenga fuori dalle righe. Il testo scritto ha il difetto che puoi fargli dire quello che vuoi. Un testo vivente, invece, è più scomodo da maneggiare: se fai il furbo, si ribella.
G&P usa molti testi scritti (nessuno creda però che gli autori citati siano così noiosi: sono presi come farfalle inchiodate al velluto e non osservate in volo, ma in realtà pompano sangue nelle vene); ma non usa testi viventi, gli unici che potrebbero davvero convincere un uomo, e in particolare un moderno.
E i testimoni che abbiamo sotto gli occhi non sono pataccari: portano prove che si toccano e si vedono. Per esempio Aldo Trento, sacerdote che ha ispirato alle reducciones la sua parrocchia in Paraguay: clinica per malati terminali, scuole, giornali, opere che però sono nulla rispetto ai frutti di conversione. Qual è la sua pastorale? Lo dice con Ruiz de Montoya, primo gesuita laggiù: “Per due anni ci siamo guardati dal giudicare intorno al sesto e al nono comandamento, del tutto incomprensibili per i Guaranì poligamici. Ci siamo preoccupati di non distruggere quelle tenere e giovani piante, annunciando solo l’avvenimento della bellezza di Cristo’. Dopo due-tre anni i Guaranì, diventati cristiani, hanno cominciato a chiedere il matrimonio monogamico: con la nascita della famiglia nasce il primo popolo cristiano della selva. Il rapporto gesuiti-indios era definito dalla libertà”.
Non è roba fantastica? A leggere G&P vien da pensare che avrebbe invece mandato i droni per bombardare i Guaranì con i più massicci tomi di teologia morale: e chi non ha il fisico, peggio per lui.

Oppure, Chiara Corbetta e Francesca Pedrazzini, due bellissime tutte casa & chiesa morte per tumore raccontato come di una festa perché andavano a scoprire il posto che Gesù ha preparato per loro. Non erano impazzite, basta una googleata per vederlo, ma è anche impossibile credere che vivessero così perché avevano le istruzioni per l’uso desunte dai santi libri: lo facevano solo per l’esperienza dell’amicizia di Gesù, come bimbe in braccio al padre, impadronendosi delle sue mani attraverso l’amicizia sacramentale di famigliari e amici.
Non si può dire che G&P sbagli il materiale vertiginoso e razionale della liturgia, della morale, della teologia e chi più ne ha, ne metta. Ma le case che costruisce sono brutte e soffocanti, inospitali. Esistono esperienze che con lo stesso materiale – di cui nessuno nega l’essenzialità – costruiscono cattedrali, ospedali, rifugi, dimore aperte a tutti, perfino a Scalfari.
Gesù (oddio: sarà blasfemo scrivere il nome di Gesù dopo quello di Scalfari?) l’ha detto meglio: il sabato è fatto per l’uomo, non l’uomo per il sabato.
Se riti, preghiere, tutto il deposito tradizionale non fa più vita la vita di tutti i giorni, quella solita, che taglia le gambe, si può obiettare che qualcosa non torna nelle loro proposte?
Non è il materiale, quindi, ma l’uso che ne fanno. Rimango cristiano perché la mia vita è più vita: e, sia chiaro, nessuno mi ha mai fatto uno iota di sconto su verità di fede e morale. Fede e morale, però, mi sono sempre state offerte in un’amicizia che non mi ha mai imposto nulla, ma mi ha fatto desiderare tutto, innamorandomi sempre più fino ai sacramenti, o al gusto del gregoriano, o all’inchino durante il Credo, o alla storicità dei Vangeli! Perfino alla verginità, alla povertà, e chi più ne ha, ne metta! Chi l’avrebbe detto che la vita può essere così vita? Ma il fascino non è partito dai predicozzi, è nato nell’incontro con persone vive e liete che hanno scatenato in me la voglia di quella vita.

La verità è un bastone, certo, ma da usare per sostenere il cammino, non da dare in testa agli altri – e se s’irrompe in un ospedale da campo, si mena tutti, si disprezzano i feriti dicendo che se lo sono meritato e si sbeffeggiano gli operatori perché hanno i camici sporchi di sangue, poi non ci si può lamentare se arriva qualche calcio nei denti. Quando non c’è coscienza chiara della propria identità, che per un cristiano corrisponde alla coscienza di Chi lo sta facendo ora, le forme hanno una cristallizzata e intoccabile priorità per cui ogni scostamento è la fine del mondo (G&P replicherà che riporta solo la tradizione, con una sicumera che fa sospettare che lo Spirito Santo, in volo verso la Sistina, sia stato abbattuto e fatto precipitare a casa sua: vorrei vedere le prove, però).

E’ roba che scotta, invoco mani più sante delle mie. Il focus però è chiaro: nel cammino di fede, a cosa si guarda? A cosa guarda G&P? Non riuscivo a capirlo, poi ha descritto scandalizzato la visita del Papa alle grotte vaticane: “Volgendosi al chierichetto che teneva le mani giunte, il Papa gliele ha aperte chiedendo se fossero incollate. Ma il bambino evidentemente educato alla lode e all’adorazione le ha prontamente offerte a maggior gloria di Dio ricongiungendole”.
Intrigato, sono andato su YouTube e ho visto. Il Papa entra, ci sono due chierichetti, si accorge di loro: non “si volge” per caso, ma proprio li punta. Il primo lo guarda arrivare con la faccia che avremo tutti in paradiso: stupita e beata. Il Papa l’abbraccia e il sorriso del bambino si espande ancor di più nel calore di quell’attenzione inattesa e dedicata solo a lui (fior di monsignori, attorno). Il secondo è impalato nella cerimonia, occhi sbarrati, e così rimane nell’abbraccio del Papa, che se ne accorge e cerca di scioglierlo. Sembra dire: “Se tenere le mani incollate non ti facilita il riconoscimento dell’Amore, a cosa serve? Posso insegnarti un modo per cui le mani così aiuteranno la tua felicità. Intanto abbracciami”.
Francesco non disprezza le mani incollate, né tanto meno impone “voglio che tu sia bravo”: con quel gesto così scandaloso grida “voglio che tu sia! Senza condizioni!”: questo non è amore vero e razionale, a cui non basta la ragione per realizzarsi?
G&P ci vuole imbalsamati, il Papa ci vuole vivi e combattivi ora: cos’è più razionale e desiderabile?
Questo è il focus. Sto dalla parte del Papa non perché è il Papa, ma perché lo desidero io, sulla mia vita, quello sguardo che ha avuto sui chierichetti! Che commozione, che tenerezza, che invidia!

Ora però il testimone scotta troppo, bisogna proprio passarlo a Giussani (Congresso Catechistico Internazionale, 2002): “Secondo la pedagogia divina ricordata nel Direttorio, il libro della fede deve essere sempre presentato da un testimone e accompagnato da una esperienza, così da poter cogliere la coincidenza fra contenuto e metodo tipica della rivelazione cristiana. […] Le verità del catechismo diventano così, attraverso la carne del testimone, non dottrina cristallizzata, ma eco di un avvenimento vivente, di un incontro totalizzante che rende possibile la permanenza incidente del Mistero di Cristo nella storia. Chi rimane fedele ai sacramenti e al dogma, anche attraverso un uso intelligente e affettuoso del Catechismo, custodito dalla memoria, può essere facilitato nel riconoscimento della Realtà vivente espressa dai dogmi attraverso un incontro personale.
“E se Giussani vi sta antipatico, Catechismo della chiesa cattolica, n. 25: “Tutta la sostanza della dottrina e dell’insegnamento deve essere orientata alla carità che non avrà mai fine. Infatti sia che si espongano le verità della fede o i motivi della speranza o i doveri dell’attività morale, sempre e in tutto va dato rilievo all’amore di nostro Signore, così da far comprendere che ogni esercizio di perfetta virtù cristiana non può scaturire se non dall’amore, come nell’amore ha d’altronde il suo ultimo fine”.

Se scopo dei cristiani fosse difendersi dal mondo, non si saprebbe da dove cominciare (e neanche dove finire, tant’è lo sfacelo così evidente ovunque). E’ una vita reattiva, logorante e brutta. Gesù fece qualcosa di diverso, racconta Péguy, perché “c’erano tempi brutti anche sotto i Romani. Ma Gesù non si tirò indietro, non si rifugiò dietro la disgrazia dei tempi, tagliò corto. Lui non accusò nessuno. Lui salvò. Lui non incriminò il mondo. Lui salvò il mondo”.

Per queste ragioni l’accusa a Francesco di aprire un’ignobile trattativa con il mondo moderno (cedere verità in cambio di benevolenza) è una bufala come la trattativa stato-mafia.

Le parole di G&P si attorcigliano con spirito travagliesco: uso selettivo di fonti, distorsione di dettagli fuori contesto, sguardo volutamente parziale sul magistero. Sogno un lumeggiante Fiandaca della cattolicità – con fantastico titolo: “La liquidazione della chiesa da parte di Francesco è una boiata pazzesca” – e intanto invoco il dream team del Foglio: Crippa il Chesterton, SDM il Magnifico, Silva l’Esorcista, Milani il Crisostomo con rubrica “Concilio Fisso”, mastro Langone alle vettovaglie. E Smargiassi rubato a Rep.

A me stare al mondo piace da pazzi: mi piacciono le risse, mi piacciono gli abbracci. I cristiani sono nel mondo non per dare ragione al mondo, né per dargliele di santa ragione con la propria bravura (che pensieri esilaranti!).
Siamo nel mondo, nel nostro mondo moderno, per dare ragione della nostra speranza. E si spera solo da un Amore vivo, perché “ci vuole pioggia, vento e sangue nelle vene e una ragione per vivere, per sollevare le palpebre. E non restare a compiangermi e innamorarmi ogni giorno e ogni ora di più, di più, di più” (Jovanotti, si parva licet).





novembre 2013

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