Gaza: al di sopra della legge, al di sotto dell’umanità



di Centro Studi Federici


Pubblicato dal Centro Studi Federici

Fonte: Insideover








Mentre Israele ha annunciato ciò che era prevedibile da tempo, cioè l’evacuazione dell’intera popolazione di Gaza dal nord e dal centro della Striscia e il mantenimento militare delle aree conquistate, si moltiplicano gli articoli sullo strumento della fame e della sete utilizzato per colpire la popolazione civile. Interessante quando queste denunce provengono dalla stampa israeliana, che non può essere accusata di “antisemitismo”.

In questo scenario cosa sarà della piccola comunità cristiana di Gaza City, dall’ottobre 2023 asserragliata nei complessi parrocchiali latini e greco-scismatici, che ha già pianto alcune decine di suoi membri uccisi dal fuoco israeliano o morti per mancanza di assistenza sanitaria?


Gaza senza cibo né acqua

A Gaza non entrano cibo, né acqua né medicinali da sessanta giorni.
Mentre oltre due milioni di persone sono strette nella morsa della fame e della sete, più di tremila camion carichi di aiuti umanitari restano fermi ai valichi a causa del blocco imposto da Israele, senza poter raggiungere chi ne ha disperato bisogno.
È quanto riportato dalle Nazioni Unite e dal World Food Programme, che ha definito l’attuale crisi umanitaria a Gaza come senza precedenti.

Ciò che colpisce drammaticamente — e rappresenta un unicum nella storia odierna — è che mai prima d’ora un intero Paese è rimasto privo di cibo e acqua pur avendo, a poche centinaia di metri, convogli parcheggiati con 116mila tonnellate di assistenza alimentare, sufficienti a sfamare un milione di persone per almeno quattro mesi. Il cibo c’è, l’acqua potabile pure. Quel che manca è l’autorizzazione di Israele ad aprire i valichi di Kerem Shalom e di Rafah per consentire il passaggio dei camion carichi di aiuti.

Sotto il peso della guerra, i Palestinesi di Gaza stanno affrontando una crisi idrica che minaccia la loro stessa sopravvivenza quotidiana. L’accesso all’acqua potabile era già fortemente limitato prima della rottura della tregua da parte delle forze israeliane; ora, con i bombardamenti incessanti, la situazione è divenuta catastrofica.
Il quotidiano Haaretz riporta che “due terzi dei sistemi di approvvigionamento idrico dell’enclave non sono operativi, a causa dei bombardamenti e della carenza di carburante che ha costretto alla chiusura delle stazioni di pompaggio”.

Il magazine israeliano +972 approfondisce ulteriormente, riferendo che “dal 7 ottobre l’Idf ha distrutto 719 pozzi d’acqua. Il 10 marzo Israele ha interrotto la fornitura di elettricità a Gaza, costringendo il più grande impianto di desalinizzazione della Striscia a ridimensionare le proprie operazioni. Pochi giorni dopo, anche il secondo impianto più grande è stato costretto a fermarsi a causa della carenza di carburante”, conseguenza diretta del blocco totale imposto all’enclave.

Successivamente, tra il 5 e il 7 aprile, anche l’impianto idrico di Ghabayen, a Gaza City, è stato deliberatamente bombardato. Si trattava dell’ultimo pozzo operativo nella parte settentrionale della Striscia, che garantiva il rifornimento idrico a Gaza e Jabalia.


“Diluire l’acqua del mare con quella potabile”

Ed è così che oggi, secondo quanto riportato dalle Nazioni Unite, solo un Palestinese su dieci ha accesso a una fonte d’acqua relativamente “pulita” — che, tuttavia, sarebbe considerata non potabile secondo gli standard occidentali.
Con straordinaria resilienza, il popolo palestinese cerca di affrontare, come può, la crisi idrica.

Il magazine +972 ha raccolto la testimonianza di Wissam Badawi, madre di famiglia: “Non c’è un pozzo nelle vicinanze, quindi mando i miei figli sulla spiaggia a prendere acqua di mare per l’uso quotidiano. Poi mescoliamo l’acqua pulita che ci rimane con quella di mare per ridurne la salinità e renderla potabile”.

I pochi pozzi d’acqua ancora funzionanti non sono sufficienti a coprire il fabbisogno della popolazione, senza contare che quelli rimasti attivi si trovano spesso a grande distanza dagli accampamenti di fortuna.
Ha raccontato Wael Abu Amsha, un uomo di 51 anni a cui è rimasto un solo figlio di 7 anni: “Cammino per sei chilometri e aspetto per ore solo per riempire un gallone d’acqua per la mia famiglia, il che non è nemmeno sufficiente. Finisco per mescolarlo con l’acqua di un’altra stazione, più vicina ma non potabile. Non abbiamo altra scelta”.


“La carestia è deliberatamente voluta”

Alla crisi idrica si aggiunge quella alimentare, aggravata dalla devastazione provocata dagli attacchi israeliani, che continuano a massacrare decine di Palestinesi ogni giorno. Un dato su tutti: nelle ultime 72 ore, l’esercito israeliano ha ucciso 167 persone, tra cui decine di bambini.

Eloquenti, a tal proposito, le parole di Philippe Lazzarini, Commissario generale dell’Unwra: “Israele sta perpetrando una carestia voluta e politicamente motivata”. Dichiarazioni che fanno eco a quanto riferito dalle Nazioni Unite il mese scorso: “Israele sembra infliggere ai Palestinesi della Striscia condizioni di vita sempre più incompatibili con la loro continua esistenza come gruppo a Gaza”.

Le basi di un genocidio, in pratica.







 
maggio 2025
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