Difendere la fede di Nicea



di Don Hervè Gresland, FSSPX


Fonte: Bollettino La Couronne de Marie n°142.


Pubblicato sul sito francese della Fraternità San Pio X

La Porte Latine





Il Concilio di Nicea



Riunito 1700 anni fa, il Concilio di Nicea ha dimostrato come la Chiesa abbia saputo combattere l’errore, esprimendo l’oggetto della fede in modo sempre più chiaro.

Cantando il Credo a Messa, con le sue affermazioni chiare e serene, difficilmente si sospettano i prodigiosi sforzi di pensiero che esse sono costate, né il sangue che possono aver fatto versare per conservare intatto il deposito della Rivelazione.

All’inizio del IV secolo, Ario negava la divinità di Gesù Cristo. Questa eresia fu confutata proprio 1700 anni fa dal Concilio di Nicea, primo Concilio ecumenico della storia della Chiesa, che ebbe una grande importanza per la espressione della fede cattolica.

Nel 313, l’Imperatore Costantino, con l’Editto di tolleranza promulgato a Milano, concesse ai cristiani la libertà religiosa nell’Impero Romano.
L’Imperatore divenne il protettore della Chiesa e il cristianesimo poté vivere e svilupparsi più facilmente.
Ma all’interno della Chiesa ebbero inizio le grandi lotte dottrinali, che causarono problemi non meno profondi di quelli conosciuti fino ad allora a causa delle persecuzioni.


L’arianesimo

La più pericolosa tra le prime eresie fu l’arianesimo, chiamata così dal nome del suo autore: Ario, sacerdote di Alessandria. Nato in Libia verso il 256, andò a studiare ad Antiochia, dove fu discepolo di Luciano d’Antiochia, che aveva fondato in questa città una scuola di teologia molto rinomata, che attirava degli allievi fin da lontani paesi.
In seguito, Ario si fermò ad Alessandria, dove fu ordinato sacerdote e gli venne assegnata la gestione di una chiesa importante.
Ma dopo alcuni anni, il Patriarca Sant’Alessandro venne a sapere che Ario professava strane dottrine riguardanti la persona del Figlio di Dio: egli sosteneva che Gesù Cristo non era uguale al Padre, ma solo una creatura di Dio e vi era stato un tempo in cui non esisteva.
Affermazione gravissima che negava il mistero di Dio fatto uomo e che rovinava tutta l’economia della salvezza.

Della dottrina sul Padre e il Figlio, Ario manteneva la verità che Dio Padre non è generato e che invece il Figlio è generato. Mentre la Chiesa con questo insegna la distinzione delle Persone,
Ario ne deduceva una differenza di natura, da cui faceva derivare una miriade di errori.

Per lui, il Figlio non era eterno, ma avrebbe avuto un inizio. Colui che ha avuto un inizio non è un essere infinitamente perfetto e non è propriamente Dio.
Ario spiegava l’espressione «Figlio di Dio» parlando di filiazione solo adottiva, il che equivaleva a negare la natura divina di Cristo. Il Figlio sarebbe stato la prima creatura creata dal Padre, che supera di gran lunga tutte le altre creature e il Padre avrebbe creato tutte le altre creature con la sua intermediazione.

Una tale dottrina minava tutti i principali dogmi del cristianesimo: se Gesù Cristo non è Dio, non vi è neanche più la divina Trinità, l’Incarnazione non ha più senso, la Redenzione si dissolve.
Questa eresia distruggeva la religione cristiana fin dalle sue fondamenta.

Spirito brillante, eloquente e persuasivo, Ario seppe convincere dei seguaci.
Ad Alessandria, molti si lasciarono sedurre e lo seguirono.
Il Patriarca Alessandro cercò di far rinsavire lo sventurato con le sue esortazioni.
Poiché niente sortiva l’effetto voluto e tale dottrina sacrilega a poco a poco si diffondeva, venne convocato un Sinodo di quasi cento vescovi egiziani, tenuto ad Alessandria tra il 318 e il 322, secondo le fonti, e l’eresiarca fu scomunicato.

Malgrado questa condanna, Ario trovò degli appoggi da alcuni vescovi e da persone influenti dell’Impero; così l’eresia si diffuse in Oriente.
L’Imperatore Costantino, turbato dalla divisione e dall’agitazione che l’eresia creava nella Chiesa, inviò ad Alessandria il suo consigliere, il vescovo Osius di Cordova, per cercare di sedare la contesa, ma questi non riuscì e probabilmente suggerì all’Imperatore di convocare un Concilio le cui decisioni avrebbero risolto la questione.
L’Imperatore Costantino, comprendendo quanto fosse importante l’unità della Chiesa per riportare l’ordine e la pace nell’Impero, convocò a Nicea (l’attuale Iznik), a cento chilometri a Sud-Est di Costantinopoli, un grande Concilio dei vescovi di tutta la Chiesa: fu il primo Concilio ecumenico – cioè universale – della Cristianità.


Lo svolgimento del Concilio

La lettera di convocazione fu inviata ai vescovi all’inizio dell’anno 325.
La città di Nicea era stata scelta perché era vicino al mare e quindi di facile accesso; essa aveva anche il vantaggio di non essere lontana da Nicomedia, dove all’epoca si trovava la residenza imperiale.

Noi non conosciamo con certezza le date del Concilio. Esso si svolse da maggio a luglio o da giugno ad agosto. La data di apertura più probabile è il 19 giugno 325. L’imperatore aveva invitato tutti i vescovi dell’Impero.
Difficile sapere quanti furono presenti; vi parteciparono comunque circa trecento vescovi. La cifra ufficiale ne riporta 318, la maggior parte appartenenti alla Chiesa d’Oriente; furono presenti anche alcuni vescovi occidentali.

Questa assemblea fu molto venerabile: essa comprendeva dei grandi confessori della fede; diversi Padri portavano ancora le cicatrici dei supplizi subiti nella persecuzione.
Il Papa Silvestro inviò i suoi delegati: si fece rappresentare da Osius di Cordova e da due sacerdoti romani: Vito e Vincenzo. Di sicuro era presente il vescovo di Alessandria: Sant’Alessandro, accompagnato dal suo diacono e segretario: il futuro Sant’Atanasio, che aveva 29 anni.
Molto probabilmente partecipò anche San Nicola di Mira, benché il suo nome non figuri sull’elenco dei firmatari, ma si sa che quest’elenco è incompleto.

Fino a questo inizio del IV secolo, la Chiesa non aveva mai riunito un Concilio generale, si erano svolti un po’ dappertutto dei Concilii particolari e dei Sinodi presieduti dai vescovi locali. Ma il tempo delle persecuzioni e la difficoltà di viaggiare rendevano difficili queste riunioni generali. Per radunare un tal numero di vescovi erano necessarie spese considerevoli.
L’Imperatore mise a disposizione dei vescovi il suo servizio di posta e le sue navi e assicurò la sua assistenza per tutta la durata del Concilio, che si svolse in un palazzo imperiale.

Costantino esercitò sul Concilio una presidenza onoraria. Prese parte alla sessione di apertura e fu talvolta presente nelle riunioni; egli prese la parola in diverse occasioni, esortando alla pace.
La presidenza effettiva  sembra sia stata esercitata da Osius di Cordova.

Ario fu presente diverse volte e sostenne le sue teorie con ostinazione.
I dibattiti furono molto animati, talvolta appassionati.
Sant’Atanasio si distinse in particolare come difensore della vera dottrina.
La stragrande maggioranza dei Padri difese la divinità di Cristo, circa venti sostenitori di Ario dichiararono che il Verbo era una semplice creatura.


I decreti

Non ci è pervenuto alcun atto del Concilio come tale, ma noi abbiamo la testimonianza autorevole di Eusebio di Cesarea e di Sant’Atanasio, che assistettero al Concilio e tramite i quali conosciamo i documenti principali.

La dottrina di Ario fu condannata solennemente e per meglio precisare il pensiero della Chiesa, i Padri del Concilio redassero un Simbolo, o professione di fede, che definisce in maniera luminosa la divinità di Gesù Cristo.

Per rispondere agli errori dell’arianesimo occorrevano delle formulazioni che non dessero adito ad alcuna interpretazione ambigua.
Ario ammetteva volentieri l’espressione «generato dal Padre», ma in maniera impropria: per lui, il verbo generare era sinonimo di creare, poiché la natura del Padre è incomunicabile. Per affermare l’eternità del Verbo, il Concilio aggiunse a «generato» «non creato».

Dal momento che gli ariani interpretavano tutte le espressioni delle Scritture a modo loro, il Concilio impiegò un termine che impediva ogni equivoco e a cui gli eretici e i loro complici si opponevano vivamente: «consustanziale» (omoousios in greco), che significa che il Figlio è della «stessa sostanza» del Padre.

All’epoca, il termine «sostanza» non era ancora perfettamente definito.
Tuttavia l’intenzione dei Padri conciliari è estremamente chiara. Il Figlio ha la stessa sostanza del Padre: come un uomo genera un uomo, così ciò che è generato da Dio è della stessa natura di Dio.
Il Figlio è dunque Dio nel senso proprio, Egli è Dio come il Padre ed ha in comune col Padre la pienezza della divinità. Il Padre e il Figlio sono due, ma sono uno per la sostanza divina.

Il Simbolo dichiara dunque come verità di fede le seguenti affermazioni: «Crediamo in un solo Dio e in un solo Signore Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti secoli, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre, per mezzo di lui tutte le cose sono state create …».

In una lettera sinodale indirizzata agli Egiziani, il Concilio scrive: «All’unanimità è stato giudicato giusto colpire con l’anatema l’empia opinione di Ario, le parole e le espressioni blasfeme di cui si serviva per bestemmiare il Figlio di Dio, dicendo che “egli viene dal nulla” “che prima di essere generato non esisteva”, che “vi fu un tempo in cui non esisteva”. Tutto questo il santo Concilio l’ha anatemizzato».

Il Credo di Nicea ci mostra ad un tempo che la Santa Chiesa si preoccupa di preservare integra la verità rivelata e si sforza di esprime l’oggetto della fede in modo sempre più chiaro.
A Nicea, per la prima volta, la Chiesa fu obbligata a definire con precisione il suo dogma. E per farlo, essa andò a cercare i suoi vocaboli, non nella stessa Rivelazione, ma nella filosofia.
Questo Simbolo di Nicea è la prima definizione dogmatica, che obbliga i fedeli ad attenersi alle parole stesse, in quanto definiscono con precisione le verità da credere. Con esso, la Chiesa ha delineato per i fedeli la regola della loro fede e li ha preservati dall’errore; esso è la norma di ciò che bisogna credere e diventa subito garanzia di ortodossia.

In seguito, il Concilio discusse delle questioni più pratiche e disciplinari.
Quando i lavori furono ultimati, verso la fine di luglio, l’Imperatore offrì un banchetto ai Padri conciliari, e poi congedò i vescovi esortandoli a conservare la concordia. Fu probabilmente in questa occasione che pronunciò questa frase divenuta celebre che definiva il ruolo che egli si attribuiva nella Chiesa: «Io sono il vescovo di fuori».

Papa Silvestro confermò i decreti del Concilio: la conferma papale era necessaria perché il Concilio fosse vincolante per la fede della Chiesa.


Dopo il Concilio

Le decisioni del Concilio furono promulgate da Costantino come leggi dell’Impero.
Ario e due suoi amici vescovi che rifiutarono la professione di fede di Nicea furono scomunicati: e tutti e tre furono esiliati dall’Imperatore.

Nonostante la solenne condanna del Concilio, la crisi ariana era lungi dall’essere terminata. Ario e i suoi sostenitori rifiutarono di sottomettersi e cercarono di ottenere l’appoggio del potere politico.
Ingannato da loro, Costantino riabilitò i vescovi eretici esiliati ed esiliò Sant’Atanasio a Treviri.
Ario ebbe un momento di trionfo. Grazie ad una confessione di fede abilmente formulata riuscì a soddisfare l’Imperatore. Ma nel 336, mentre l’eresiarca si apprestava ad entrare solennemente nella chiesa principale di Costantinopoli, fu colpito da un male misterioso e morì improvvisamente.
Molti videro in questo un castigo della giustizia divina.

In seguito, alcuni cercarono diverse formule che potessero soddisfare tutti.
Una nuova corrente, che è stata definita semi-arianesimo, si avvalse del termine greco omoiousios (1), che significa che il Figlio di Dio è «simile in natura» al Padre, ma non afferma chiaramente che è perfettamente uguale.

Gli ariani ebbero l’appoggio di due Imperatori: Costanzo e Valente, che vollero imporre l’arianesimo come unica credenza. Sotto i loro regni ripresero le persecuzioni contro i veri cattolici. I vescovi fedeli alla fede di Nicea furono esiliati. La Cristianità era dilaniata da aspre controversie dottrinali.

Negli anni 350-360, la confusione raggiunse il culmine. Secondo le parole di San Girolamo, si arrivò al punto che «il mondo intero gemeva, stupefatto, di trovarsi ariano».

Fu l’Imperatore Teodosio (379-395), insieme ai grandi dottori Sant’Atanasio e Sant’Ilario – che furono i campioni delle fede cattolica contro l’eresia – che assestò un colpo decisivo all’arianesimo.
Egli decise di trattare gli ariani come ribelli, tolse loro le chiese e li ridusse al silenzio.
Ma l’eresia aveva già attraversato il Reno e il Danubio ed era riuscita ad infiltrarsi tra i popoli germanici estranei all’Impero (Visigoti, Burgundi, Vandali, Ostrogoti, Lombardi), che più tardi invasero l’Impero Romano.
L’eresia sparì completamente solo nel VI secolo.


Il contributo del Concilio di Nicea

Come con ogni eresia, l’arianesimo fu l’occasione per un progresso nella comprensione e nell’espressione del dogma, il quale ricevette una nuova esplicitazione, e questo fu il ruolo fondamentale del Concilio di Nicea.
Il cardinale Pie dirà: «Il principale beneficio che si trae dall’errore, dall’eresia e da tutte le opposizioni che la verità incontra tra gli uomini, è la messa in chiaro e la glorificazione di quello stesso punto di dottrina che viene negato e combattuto. (…) Quando il mondo contesta, è allora che la Chiesa scruta, approfondisce, precisa, definisce, proclama. E il sacro deposito, lungi dal subire una qualche diminuzione, mette in luce tutto il tesoro delle sue ricchezze» (2).


NOTE

1 - Una sola lettera distingue questa parola da omoousios (consustanziale) usata dal Concilio di Nicea
2 - Terza istruzione sinodale sui principali errori del tempo presente.



 



 
maggio 2025
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