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Nihil sub sole novum di Elia ![]() Niente di nuovo sotto il sole
(ma in latino fa più effetto): le speranze si sono presto
spente. Nelle prime esternazioni del nuovo Papa, malgrado l’entusiasmo
suscitato da alcune affermazioni, appare una perfetta continuità
con il pontificato precedente e, in generale, con la linea
postconciliare della teologia e del Magistero.
In realtà l’intuito – troppo spesso negletto a favore del ragionamento – si era già espresso, in chi scrive, subito dopo l’Habemus papam e, precisamente, con questi pensieri: «Ti adoro nei Tuoi imperscrutabili disegni di sapienza infinita; forse è la volta buona che smetto di confidare negli uomini e comincio a confidare unicamente in Te». Nondimeno durante la Messa, rimandata a tarda sera per via dell’elezione, l’impressione che il cuore stesse per scoppiare lo ha costretto a fermarsi alcuni istanti per chiedere di esser preservato, non ritenendosi pronto. Troppe concordanze Nella prima omelia di Leone XIV, il giorno seguente, la citazione del paragrafo 22 della Gaudium et spes e quell’invece di troppo, come osservato negli ultimi articoli, han fatto suonare i campanelli d’allarme, cosa che potrebbe esser presa per un sintomo di paranoia se l’allarme non fosse stato – ahimè – pienamente confermato dal seguito. Il famigerato testo conciliare afferma testualmente che «con l’Incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo». Abbiamo già riflettuto, due anni fa, sugli effetti devastanti di quell’affermazione ambigua e sulla sua possibile connessione con uno dei peccati più sordidi; ora dobbiamo sottolinearne il nesso con l’idea, ormai divenuta di dominio pubblico, che siamo tutti figli di Dio, come ribadito nell’ultimo messaggio Urbi et orbi del defunto Papa Francesco, messaggio a cui il successore si è riferito ben due volte, nel saluto dalla loggia e nell’omelia della Messa di inaugurazione. Tale insistenza in due occasioni così rilevanti (la primissima presentazione al mondo e il discorso programmatico del pontificato) non può essere casuale, tant’è vero che, parlando agli acattolici la mattina del 19 Maggio, Leone ha inequivocabilmente ribadito la continuità con l’ideologia della fraternità universale proposta dal «Papa della Fratelli tutti» (Discorso ai rappresentanti di altre Chiese ecc.), enciclica cui allude anche nella chiusura dell’omelia di inizio-pontificato. L’enfasi posta sui grandi passi e sugli sforzi compiuti da Bergoglio a favore del dialogo interreligioso culmina nella citazione esplicita dell’eretico documento di Abu Dhabi, citazione che allarga al rapporto con le false religioni quanto appena affermato riguardo all’ecumenismo e alla sinodalità, impegni che Prevost dichiara di voler proseguire. Non poteva poi mancare, a coronamento del tutto, l’evocazione dell’intramontabile Nostra aetate in riferimento a giudei e maomettani. Lo spirito di fraternità umana risulta inscindibile dalla libertà di coscienza, di pensiero e di parola. Il termine uguaglianza non compare, ma è implicito nella sostanza del discorso: l’unità e la pace si fondano sull’idea che siamo tutti sullo stesso piano in quanto, a prescindere dalla religione, siamo «figli suoi e fratelli e sorelle tra di noi» (Discorso ai rappresentanti, in fine); di conseguenza, non dobbiamo fare altro che conoscerci, rispettarci e… dialogare! Ma chi l’avrebbe detto? Dopo appena sessant’anni che ce incurcheno ’ste cose (per citare la buon’anima di un parroco romano), com’è possibile che ancora non l’abbiamo capito? Bisogna insistere con i princìpi della libera muratoria, piuttosto che con quella propaganda religiosa, congiunta alla sopraffazione e ai mezzi del potere, con cui si tenta di catturare gli altri (Omelia della Messa di inaugurazione). Ricadute sulla Chiesa e sul Papato In tale contesto, la missione di Pietro non è quella di «essere un condottiero solitario o un capo posto al di sopra degli altri», bensì quella di essere un «fratello che vuole farsi servo», la cui unica autorità è la carità. Secondo un metodo consolidato, i dati della dottrina cattolica sono presentati in termini caricaturali a vantaggio di una visione egualitaristica che dissolve i fondamenti stessi della Chiesa: il potere sacro (la suprema potestas) conferito da Cristo all’Apostolo scelto come roccia si riduce a un amare di più, privo di quei connotati giuridici e disciplinari che sono intrinsecamente connessi ad ogni autorità perché sia tale. La carità non è l’autorità stessa, ma la condizione a cui essa deve essere rettamente esercitata nella Chiesa. È vero che la pietra d’angolo è Cristo e che tutti i battezzati sono pietre vive (cf. At 4, 11; 1 Pt 2, 5), ma il nuovo nome ricevuto da Simone indica che proprio lui – e lui soltanto – rappresenta in pienezza Cristo Capo. Qui, in definitiva, è in gioco il fine della Redenzione operata dal Figlio di Dio e la ragion d’essere della Chiesa quale Suo Corpo Mistico. Se gli uomini non devono fare altro che «ascoltare la sua proposta di amore per diventare la sua unica famiglia» e se «questa è la strada da fare insieme, tra di noi ma anche con le Chiese cristiane sorelle, con coloro che percorrono altri cammini religiosi, con chi coltiva l’inquietudine della ricerca di Dio, con tutte le donne e gli uomini di buona volontà»… che bisogno c’era della Croce? a che servono i Sacramenti? perché stare nella Chiesa Cattolica? a quale scopo studiare il catechismo e osservare la legge morale, pregare e mortificarsi? Visto che, a quanto pare, tutte le dottrine e gli insegnamenti si equivalgono e che i cattolici non si distinguono sostanzialmente dagli altri, che ci sta a fare il Papa? Egli serve, evidentemente, a riaffermare e consolidare la rivoluzione iniziata nel 1962, come risulta in modo inequivocabile da questo passaggio del discorso rivolto da Leone XIV ai cardinali il 10 Maggio scorso: «Vorrei che insieme, oggi, rinnovassimo la nostra piena adesione […] alla via che ormai da decenni la Chiesa universale sta percorrendo sulla scia del Concilio Vaticano II. Papa Francesco ne ha richiamato e attualizzato magistralmente i contenuti nell’Esortazione Apostolica Evangelii gaudium» (i corsivi sono nostri). Qui, in più, si dichiara solennemente che il pontificato bergogliano, ben lungi dal dover essere sconfessato, è la piena, anzi magistrale attuazione dell’ultimo concilio. Un ritorno alla normalità può esser percepito – come scrive un confratello – unicamente da coloro che si sentono «normalmente cattolici in una Chiesa in cui la normalità cattolica è cosa sconosciuta alle nostre generazioni». Tiriamo le somme Nulla di nuovo sotto il sole, dunque, ma perfetta continuità con l’apostasia silenziosa iniziata negli anni Sessanta; è la solita minestra riscaldata, ma rimessa in tavola in un piatto diverso. Siamo stufi di queste chiacchiere melense, ma terribilmente corrosive di ciò che ci identifica e costituisce come cattolici! Non parliamo nemmeno del tanto banale quanto logoro «no alla guerra e sì alla pace» (Discorso ai rappresentanti), che ci fa ripiombare in pieni anni Settanta! Ma dove siamo? a un concerto dei figli dei fiori? E queste sarebbero novità? Per favore, c’è qualcuno che sappia rendere un po’ di dignità al Papato e di serietà al Magistero? Si faccia avanti e spieghi all’interessato chi è il Sommo Pontefice e quali sono i suoi compiti! Purtroppo aumentano gli indizi che l’elezione sia stata pianificata. Lo stile dell’ultimo messaggio Urbi et orbi di Francesco sembra proprio quello del successore, che vi ha fatto riferimento ben due volte; il richiamo alla famiglia fondata sull’unione stabile tra un uomo e una donna, nel discorso rivolto al corpo diplomatico, suona come un tributo al presidente Trump, che pare abbia giocato un ruolo nella scelta; le velate scuse riguardo a Gaza, porte col termine malintesi usato nel parlare agli ebrei, come pure il gradimento espresso dal rabbino di Roma, fan pensare che a comandare siano proprio loro… manco a farlo apposta, la decorazione floreale del sagrato di San Pietro, Domenica scorsa, richiamava il candelabro della festa della dedicazione del tempio. Evidentemente non abbiamo pregato abbastanza né raccolto la lezione che il Signore ha voluto darci col pontificato precedente: il primato della necessità di santificarci anziché perderci in discussioni sulle reti sociali, dando retta agli esagitati che vi sbraitavano per spingerci alla separazione e alla disobbedienza. Non dimentichiamo però che Dio può tutto con chi è ben disposto e che la grazia di stato porta frutto col tempo. Il nostro amato Benedetto, malgrado il suo retroterra teologico tedesco, da papa si trasformò profondamente sul piano intellettuale e spirituale, soprattutto nei dieci anni di isolamento. Chissà che anche Leone, col concorso delle nostre suppliche, non riesca a superare la visione finora espressa (che gli è valsa il consenso dei progressisti) e a maturare gli elementi positivi, come la sensibilità religiosa e la devozione mariana, che sembrano genuine. |