Perché si diventa sacerdote?



di Pierre-Jean Moisan, FSSPX



Pubblicato sul sito francese della Fraternità San Pio X

La Porte Latine







Stupore

«Oooh! … Ma quanti anni hai? … sei così giovane!».
Quale giovane levita appena ordinato sacerdote non è stato oggetto di questa domanda (un po’ indiscreta) nei suoi spostamenti nel mondo?
Tale domanda può anche essere accompagnata dalle osservazioni: «che spreco!» o «questo si fa ancora oggi?».
Questi commenti spontanei variano secondo l’umore e le tendenze, ma denotano sempre meraviglia o stupore. I nostri contemporanei comprendono sempre meno il mistero di una vocazione. La cosa porterebbe troppo lontano. Forse si sarebbe obbligati ad ammettere che dietro tutto questo c’è la trascendenza! Allora si preferisce accontentarsi di risposte superficiali, molto più comode.

Questa curiosità non è nuova ed è sempre paradossale: «Il mondo manifesta una grande curiosità nei confronti dei sacerdoti, ma, ahimè, mostra poca stima per il loro stato privilegiato» (Don Patrick Peyton).
Si cerca, ma non si vuole avere veramente la risposta.
Risposte che permetterebbero all’uomo del mondo di denigrare lo stato e le funzioni di questi uomini che si distinguono dagli altri per il loro modo di vita controcorrente.


Risposte superficiali

La prima risposta è quella della follia. La religione ha spinto questi giovani verso una nevrosi patologica, il timore del peccato in essi è divenuto una specie di fobia, non lasciando loro altra scelta che abbandonare il mondo per paura di esserne contaminati.
Oppure questa follia sarebbe quella del fanatismo, in cui l’ossessione per il Cielo instillata fin dalla più tenera età squilibra totalmente i ragazzi fino al punto da farli precipitare in questa via impossibile.

La seconda spiegazione è quella del conformismo sociale, certo un è po’ più difficile da utilizzare oggi, in cui il sacerdozio non è più veramente di moda. Ma alcuni ci provano: se questo giovane è diventato sacerdote – pensano – è perché la sua famiglia, i suoi amici, il suo ambiente sociale, lo hanno spinto a tanto. Egli è stato condizionato per entrare in Seminario ed egli ha seguito questa via che era stata tracciata per lui, senza rifletterci veramente. Non è stato un atto libero, ma gli è stato imposto. Inoltre, per lui era molto più facile passare da un contesto ben protetto (l’ambiente familiare con la scuola cattolica) ad un altro (il Seminario), piuttosto che affrontare il mondo ostile.

Un terzo tentativo di spiegazione consisterebbe nel considerare questa strada come una scelta per difetto. Egli è entrato in Seminario perché non aveva veramente alcun avvenire nel mondo. Con la sua asocialità, la sua mancanza di intelligenza e il suo fisico difforme, non aveva assolutamente nulla per riuscire in qualche modo nel mondo. Si comprende quindi perché ha scelto la via degli Ordini…


Buona intuizione

Questi tentativi mondani per cogliere il mistero delle vocazioni sono certo insufficienti.
Se una vocazione si riconoscesse nell’uno o nell’altro dei motivi sopradetti, sarebbe allora necessario mettere fine alla sua marcia verso il sacerdozio. Generalmente, è a questo che servono i cinque anni preparatorii del Seminario prima dell’impegno definitivo al suddiaconato. C’è anche il ruolo dei Superiori del Seminario, che devono discernere le attitudini e le motivazioni dei candidati che si presentano all’ordinazione.
Non si diventa sacerdote per fobia o per nevrosi, non si diventa sacerdote per compiacere i genitori e ancora più non si diventa sacerdote perché si è fallito nella vita…

Ma il mondo ha ragione su un punto: la vocazione è una follia.

In un certo senso, la vocazione è davvero una follia. Infatti, non è facile diventare sacerdote, bisogna rinunciare a molte cose per impegnarsi a seguito di Nostro Signore nella via stretta e difficile da seguire secondo lo spirito dei consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza. … Quale uomo sensato farebbe questo senza ricevere niente in cambio? Anche San Pietro era preoccupato: «Signore, ecco noi abbiamo lasciato tutto per seguirti… quale sarà la nostra ricompensa?» La risposta di Nostro Signore invita San Pietro ad andare oltre il suo sguardo terreno, per trovare nell’altro regno la ragion d’essere del suo impegno. Poi rassicura il discepolo promettendogli il centuplo in questa vita. Ma il Regno dei Cieli viene prima nella Sua promessa.


La vera ragione

Al pari di San Pietro, l’uomo del mondo è scioccato dalla vocazione e vorrebbe comprenderne la redditività … altrimenti la cosa sembra così assurda!

Ma può comprenderla senza conoscere Cristo? Impresa difficile, ci sembra, difficile quanto parlare di colori ad un cieco o descrivere le sottigliezze della musica ad un sordo. Infatti, come spiegare lo scopo della vocazione sacerdotale a chi ha come solo orizzonte di vita ciò che ha consumato ieri e che consumerà domami? Che per comprendere gli manca l’essenziale: la dimensione soprannaturale?

La ragion d’essere del sacerdozio è continuare l’opera di Nostro Signore. E’ dunque Lui all’origine di questo impegno di vita. Nessuno può comprendere la vocazione senza considerare Colui che chiama.
Alla nostra domanda iniziale, obiettava Mons. Fulton Sheen, «la domanda è mal posta», perché sembrerebbe che sia stato io a scegliere Dio. Ora, io non desideravo niente, era Lui che desiderava qualcosa da me.
Come la matita è solo uno strumento che ubbidisce alla mano che scrive, così Dio mi ha voluto come strumento della Sua potenza.

Se dovessi spiegare «perché sono diventato sacerdote», dimenticherei le parole del Signore: «Non siete voi che mi avete scelto, ma sono io che ho scelto voi».
Sì, la vocazione è la risposta ad una domanda che trascende i secoli: quella di Cristo sacerdote, vero mediatore per l’eternità fra Dio e gli uomini.
Non c’è semplicemente il desiderio del soggetto di fare qualcosa di grande nella vita o di operare per il bene degli altri. Vi è una grazia sublime, un dono di Dio all’anima, che porta a donare a Cristo la propria persona, perché con essa Egli continui la sua opera di Redenzione dell’umanità.

Si tratta di una dimensione ben più ampia delle semplici ragioni psicologiche e sociali.
Una dimensione accessibile anche alla mente che rifiuta ogni forma di trascendenza.

Ma questa è l’unica buona spiegazione.


La vera follia

La vocazione è dunque una follia, ma potrebbe essere diversamente dal momento che ci impegna a seguire Cristo?
In effetti, questa follia che tanto scandalizza non è altro che la follia della croce: certo, saggezza agli occhi di Dio, ma follia per i pagani e scandalo per i Giudei, come dice San Paolo.
E’ la follia dell’amore di Dio in noi. Cristo ci ha amato di un amore eterno e assolutamente folle, fino ad abbassarsi all’Incarnazione e all’umiliazione delle sofferenze della Sua Passione.
Il sacerdote che desidera diventare uno strumento di Cristo, una umanità ulteriore, partecipa necessariamente a questa follia di Cristo e quindi è anche lui uno scandalo per il mondo.

La vocazione esige da parte sua una rinuncia, perché è una risposta ad un amore sacrificato: l’amore di Nostro Signore. Ed è perché l’anima incontra questo amore in un modo più personale, più intenso, che decide di ricambiare donando la propria vita.
Questo processo non può quindi essere compreso senza la grazia.

Dopo aver aperto il nostro mese di maggio con una noveva per le vocazioni, continuiamo con le nostre preghiere raddoppiate al Cuore Immacolato di Maria per implorare dal Cielo tanti santi sacerdoti che si impegnino a seguire Gesù crocifisso!

 

 
maggio 2025
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