Il “Credo” del Giudaismo talmudico


di Don Curzio Nitoglia


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Il Talmud


Nella “pratica religiosa” dell’Ebraismo post-biblico “la prassi occupa un posto centrale […]. Perciò, pratica la religione ebraica colui, che obbedisce [alla Legge, ndr] e non colui, che sa e accetta un Credo […]. Tuttavia, l’accettazione e il compimento del volere di Dio [Legge, ndr] riposano su una serie di convinzioni teologiche, che fungono da premesse oggettive e fondanti una prassi, e costituiscono la teologia ebraica” (1).

Perciò, non si può parlare di dogma ebraico in senso stretto, poiché non v’è nel Giudaismo talmudico un’autorità magisteriale unica e infallibile, ma si può parlare soltanto di “Credo” in senso largo, come verità religiose rivelate, ma non definite e proposte a credere dal magistero.

Quindi, prosegue il Carmona, “non è mai esistita una dottrina ufficialmente ortodossa, definita e imposta, e neppure un’altra eterodossa, che escluderebbe dalla comunione ebraica. Nell’Ebraismo c’è una maggioranza che crede in una serie di fatti e princìpi religiosi; parimenti esiste una minoranza che non crede e per questo non cessa di essere considerata ebrea” (2).

L’essenziale è l’appartenenza al popolo ebraico, cioè: è ebreo chi nasce da madre ebrea, non chi crede e osserva la Legge. Inoltre, il concetto di fede giudaica è non intellettuale ma, volontaristico/sentimentale; ossia, la fede non è un atto dell’intelletto che, spinto dalla volontà e mosso dalla grazia, aderisce a delle verità rivelate; ma è un affidarsi o aver fiducia nell’aiuto di Dio verso Israele, suo popolo eletto (3).

Tre sono le verità fondamentali del Giudaismo rabbinico: 1°) L’unità di Dio; 2°) la Torah come volontà divina data a Israele; 3°) Israele come popolo eletto da Dio e depositario della sua Legge.

Queste tre verità basilari, però vanno intese “a livello pratico, più che teologico-speculativo, […]. Si tratta di proposizioni pastorali, per la vita spirituale del popolo” (4). Ossia, la pratica religiosa ebraica può sussistere senza la “fede” (anche in senso largo), la quale, se esiste, ha solo un valore pratico e non dogmatico (come vuole anche il Modernismo) ed è relativa, all’appartenenza al popolo d’Israele.

Infatti, il Giudaismo consiste essenzialmente nell’appartenenza al popolo d’Israele da cui può conseguire accidentalmente, una pratica di legge, che aiuta a mantenere l’identità di popolo eletto.

Ho scritto “accidentalmente”, perché si è Ebrei, anche se non si pratica, purché si sia figli di madre ebrea. Tale pratica, normalmente, ma non necessariamente, è fondata su alcune verità religiose ma, queste verità hanno uno scopo più pastorale (o pratico), che dogmatico (o speculativo) perché servono a cementare il senso d’appartenenza al popolo eletto, separandolo dagli altri, specialmente dai cristiani.

Infatti:

1°) l’unità di Dio serve a distinguere il Giudaismo rabbinico dal Cristianesimo, che crede nell’Unità della Natura divina nella Trinità delle Persone. Onde, il Giudaismo rabbinico è caratterizzato dal rifiuto della SS. Trinità e dell’Unione ipostatica (= Gesù vero Dio e vero uomo).

2°) la Torah è la Legge (o volontà) divina consegnata da Dio a Israele. Essa serve a distinguere Israele da tutti gli altri popoli. Se la si pratica è specialmente in quest’ottica razziale esclusivista e segregazionista.

Il Giudaismo rabbinico, con la letteratura talmudica, ha aggiunto alla Legge mosaica (Decalogo mosaico) altri 613 precetti (di cui 248 - come le parti del corpo umano - sono positivi e 365 - come i giorni dell’anno - sono negativi), per distinguere il talmudista dal cristiano, il quale guarda ai dieci Comandamenti rivelati da Dio a Mosè sul monte Sinai e perfezionati da Gesù nel “Discorso della montagna”.

Secondo il Talmudismo, invece, sette precetti noachidi furono consegnati da Dio a tutti gli altri uomini in Noè, come una sorta di Legge naturale per i “gojim” (i non ebrei) corrispondente, grossomodo, al Decalogo mosaico.

3°) Israele è il popolo santo e l’israelita appartiene a questo popolo prescelto da Dio: “L’elezione d’Israele è uno dei princìpi teologici fondamentali del Giudaismo rabbinico” (23).

Compito d’Israele è di salvare il mondo, essendo un “regno di sacerdoti, una nazione santa” e la “luce delle nazioni”. Israele “a motivo della sua elezione, fungerà da mediatore tra Dio e l’intera umanità […] che alla fine abbandonerà i falsi Dei e riconoscerà la sovranità di Jaweh [e d’Israele suo popolo, ndr]” (24).

Il professor Carmona spiega: “La Torah è stata data in funzione dell’elezione, la quale però […] permane anche quando l’ebreo decidesse d’ignorare gli obblighi dell’Alleanza o di rifiutarli.  L’elezione è il dato primario; l’accoglienza della Torah è l’accadimento secondario” (25).

“Eletto da Dio, Israele ha ricevuto una terra nella quale potersi realizzare come popolo: l’antico Paese di Canaan […] da allora è terra d’Israele (Eretz Jisrael). Una terra considerata santa non per se stessa [...], ma per la sua relazione col popolo eletto, cui Dio […] ha dato in dono la Torah: questa può realizzarsi totalmente soltanto nella terra d’Israele” (26).

In breve, la Terra di Palestina è redenta e santificata dal popolo d’Israele. Di qui l’importanza che il Sionismo riveste per il Giudaismo rabbinico. Senza la terra “d’Israele” (ossia la Palestina che dal 135 al 1948 è appartenuta ai Palestinesi), la Torah non può essere vissuta totalmente, ma solo imperfettamente.

Onde, il Talmudismo è - radicalmente e virtualmente - sionista. Inoltre, si evince che tutta la fede e la legge rabbinica si riducono all’elezione d’Israele e al suo primato sugli altri popoli; perciò, la pratica e la teologia rabbinica sono ordinate all’appartenenza etnica al popolo santo.

Essenzialmente il Giudaismo consiste nell’essere geneticamente Ebrei e – secondariamente – nel praticare o avere la fede: si resta pur sempre Israeliti, anche se non si crede e non si pratica; è questione di “sangue e suolo”, non di “fede e buone opere”.
Infatti, l’amore verso il prossimo “è limitato ai compatrioti (i “prossimi”), e non riferito a tutte le possibili relazioni interpersonali” (27).

Per quanto riguarda la mistica ebraica o Cabala (5), Carmona spiega che è meglio parlare di “misticismo”, il quale (nella tradizione giudaica) va di pari passo con l’esoterismo (28).

Il “misticismo” è una deviazione elitaria, occulta ed occultistica (ottenuta mediante tecniche umane segrete) della vera mistica, la quale invece consiste nell’unione con Dio, offerta apertamente o pubblicamente dalla grazia divina a tutti coloro che vogliono corrispondere al suo appello tramite una seria vita ascetica, che sarà poi seguita nella via mistica dal predominio dei sette Doni dello Spirito Santo come normale sviluppo della vita della grazia santificante, la quale culminerà in cielo nella Visione Beatifica grazie al Lumen gloriae

Il misticismo ebraico è detto Cabala o tradizione perché è presentata dal Giudaismo post-biblico come “una Rivelazione primordiale concessa ad Adamo o alle generazioni umane” (29).
Se al suo inizio la Cabala fu un movimento riservato a pochi eletti, con lo Chassidismo dei secoli XII-XIII (in Francia e in Germania), ma soprattutto nel XVIII secolo (in Polonia e Ucraina), divenne un movimento di massa, aperto all’uomo comune, mischiato a fenomeni di magia, amuletica ed erboristeria di bassa lega. Tuttavia esso ha avuto anche dei rappresentanti assai colti, come Martin Bubèr († 1965) e W. Abraham J. Heschel († 1973), il cui pensiero ha esercitato un influsso enorme sul Concilio Vaticano II e sulla formazione intellettuale di K. Wojtyla e di J. Ratzinger.  

Questa è – in breve – la storia e la teologia del Giudaismo rabbinico-talmudico.


NOTE

1 - ANTONIO RODRÌGUEZ CARMONA, La religione ebraica. Storia e teologia, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2005, p. 259.
2 - Ibidem, p. 261.
3Ibidem, pp. 485-486.
4Ibidem, p. 276.
5 - Cfr. J. MIEINVIELLE, Dalla Càbala al Progressismo, Proceno – Viterbo, Effedieffe, 2019; L. MEURIN, La Frammassoneria Sinagoga di Satana, Proceno -Viterbo, Effedieffe, 2019.
23 - Ibidem, p. 476
24 - Ibidem, p. 477.
25 - Ibidem, p. 478
26 - Ibidem, p. 481.
27 - Ibidem, p. 490. Cfr. anche: D. NOVAK, L’elezione di Israele. L’idea di popolo eletto, Brescia, Paideia, 2001; K.-J. KUSCHEL, La controversia su Abramo. Ciò che divide e unisce ebrei, cristiani e musulmani, Brescia, Queriniana, 1996; A. J. HESCHEL, L’uomo non è solo, Milano, Rusconi, 1987; D. STEMBERGER, La religione ebraica, Bologna, EDB, 1996; H. HENEMANN, La preghiera ebraica, Magnano, Qiqajon, 1992; R. FABRIS, La spiritualità del Nuovo Testamento, Roma, Borla, 1985; L. JACOBS, La preghiera chassidica, Milano, Gribaudi, 2001.
28 - Ibidem, p. 211.
29 - Ibidem, p. 220







 
maggio 2025
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