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Cattolici nell’era dei like ![]() Viviamo in un’epoca in cui la
lucidità intellettuale, la capacità di giudizio e
l’autonomia di valutazione sono fortemente compromesse. Molte menti
sono infatti offuscate da criteri estrinseci al reale, si lasciano
guidare da emozioni o desideri e si affidano alle prese di posizione di
altri.
L’intento di chi scrive su queste pagine, invece, ben lungi dall’essere quello di voler influenzare chicchessia, non è altro che quello di evidenziare dei fatti per aiutare ognuno a riflettere da sé sulla realtà oggettiva; esso non risponde né a ordini di scuderia da parte di occulti finanziatori, che non esistono, né ad una strategia politica mirante a ottenere consensi: al contrario, l’assoluta sincerità delle osservazioni qui condivise rischia di far perdere all’autore anche i suoi venticinque lettori. Non siamo manichei L’impegno più urgente che ci si profila dinanzi è quello di uscire dalla “logica” manichea del mondo postmoderno, secondo la quale bisogna per forza dichiararsi pro o contra, mostrare il pollice retto o il pollice verso, dividere l’umanità in buoni (in tutto e per sempre, incorruttibili e immacolati) e cattivi (in tutto e per sempre, irredimibili e pestiferi). In un quadro del genere – che non è affatto cristiano – è impensabile pregare per qualcuno che non sia già santo; anzi, ci si attende la salvezza da quelli che la massa ha già canonizzato, delegando loro la soluzione di ogni problema. Presto o tardi, però, si scopre che tali “salvatori” non erano poi così efficienti, ma mutano posizione a seconda del volere dei manovratori occulti, come Putin sulla Siria e Trump sull’Ucraina. Chi accorda eccessiva fiducia agli uomini, in ogni caso, dimostra di non essere davvero radicato in Cristo. Oggi è breve il passo perché il medesimo approccio sia applicato alla vita ecclesiale, specie dopo dodici anni di incubo distopico. Il comprensibile bisogno psicologico di esser rassicurati e confortati rischia però di deformare la percezione del reale mettendo in esagerato rilievo i dati considerati positivi e lasciando nella penombra quelli che disturbano: dopo il male assoluto, è imperativo che, adesso, tutto vada di nuovo bene. A parte l’impossibilità concreta che ciò succeda in questa situazione di completa contraffazione del cristianesimo, che procede indisturbata da sessant’anni e non ha risparmiato alcun aspetto della Chiesa, ciò che la carità intellettuale suggerisce, in questo momento, è un prudente mettere in guardia dalle illusioni: un’eventuale delusione, infatti, sarà tanto più cocente quanto più esse saranno state forti. Quello che conta, riguardo al nuovo Papa, sono i fatti e le parole, che vanno valutati per quello che sono in sé stessi piuttosto che in base a mere ipotesi di strategie segrete volte ad accontentare gli elettori. Quando fatti e parole mostrano una salda coerenza e un’oggettiva continuità con quanto detto e fatto dal predecessore, un osservatore obiettivo non può rifugiarsi nei sogni. Certo, ci sono tempi e modalità diverse di reazione: si può rispondere a caldo, nell’immediato, come pure in modo più ponderato, dopo opportuna meditazione. Ciò non significa affatto che la percezione della realtà cambi a seconda del momento o dello stato d’animo, ma che la maniera di porsi in relazione con la realtà percepita può maturare e perfezionarsi, soprattutto se interviene quel fattore soprannaturale che denominiamo grazia. Osserviamo i fatti Ci siamo già soffermati su alcune dichiarazioni di Leone XIV che, sia pure in mezzo a richiami più rassicuranti, sono causa di profonda inquietudine, visto che si ricollegano inequivocabilmente alle posizioni di “papa Francesco”. Ora accenniamo a qualche sua decisione, ossia alle nomine, le quali sono una sicura cartina di tornasole degli orientamenti di chi governa. Si obietterà che è prematuro trarre conclusioni dopo nemmeno un mese, osservazione con cui siamo perfettamente d’accordo, tant’è vero che, come già asserito, sospendiamo il giudizio sul pontificato appena iniziato, senza la minima pretesa di sentenziare su ciò che non ci compete, ma limitandoci a guardare senza paraocchi ciò che succede, così da evitare lo shock subìto, nel Settembre del 2013, alla lettura dell’intervista di Bergoglio a La Civiltà Cattolica, zeppa non solo di eresie, ma di autentici non-sensi. Se quella volta, a motivo dell’inusuale presentazione alla loggia di San Pietro, ci eravamo mantenuti guardinghi per sei mesi, fino a quando l’atroce realtà fu impietosamente svelata, questa volta non vogliamo lasciarci sedurre dagli orpelli esterni tornati in auge, in quanto essi non bastano, da soli, a dimostrare un cambiamento in meglio, soprattutto se il resto non concorda. Che dire, dunque, della nomina di un’altra suora al Dicastero dei religiosi? Anziché sanare quella grave anomalia teologico-giuridica che è stato il conferimento di un incarico di governo (capo di un organo della Santa Sede!) a chi non è insignito dell’Ordine sacro (né mai potrà esserlo), Leone XIV ha affiancato al “prefetto” illegittimo un “segretario” altrettanto illegittimo, catapultandolo oltretutto da fuori in un ruolo di solito ricoperto da un membro del dicastero che ne conosca bene colleghi e funzionamento. L’organo che coadiuva il Papa nel governare milioni di religiosi e religiose è così venuto a trovarsi in mano a due incompetenti da cui non ci si può aspettare altro – oltre all’aumento del malcontento di quanti ci lavorano – che una prosecuzione e una moltiplicazione delle gravissime ingiustizie già in atto contro numerosi Ordini e monasteri, per non parlare degli istituti di rito tradizionale, i quali, da qualche anno, dipendono dal medesimo dicastero. Cosa significa l’avervi messo alla testa due donne, in patente contraddizione di quanto stabilito da Bergoglio stesso nella Costituzione Apostolica Praedicate evangelium, che richiede un cardinale come prefetto e un arcivescovo come segretario? Non è forse, questo, l’ennesimo atto di puro arbitrio compiuto in assoluto spregio dell’ordinamento giuridico della Chiesa Cattolica? Per restare nell’ambito della Santa Sede, la nomina del nuovo cancelliere della Pontificia Accademia per la Vita è un’altra decisione che denota continuità piuttosto che cambiamento di rotta. Uno che auspichi la regolamentazione giuridica del cosiddetto suicidio assistito di fatto lo avalla, esattamente come avvenuto con l’aborto; l’omicidio, però, rimane tale anche se chiesto dall’interessato o se la vittima non è ancora in grado di esprimersi. Il plauso delle associazioni pro vita a questa designazione le denuncia come falsa opposizione e complici del sistema: la loro attività neutralizza infatti ogni serio impegno a difesa della vita umana, come dimostrato in occasione della campagna Un cuore che batte, da alcune palesemente osteggiata con obiezioni inconsistenti, da altre guardata con freddezza, se non con sufficienza… fino a quando le centoseimila firme raccolte le han costrette a far salti mortali per riposizionarsi in merito. Pensiamo al Giudizio In definitiva, tutto sarà chiaro al Giudizio finale; ciò non toglie che ognuno di noi sia in primo luogo obbligato a pensare al proprio, che avverrà al momento della morte. Perciò, ben lungi dal pretendere di emettere giudizi sulle persone, così da non usurpare un diritto esclusivo di Dio, ci limitiamo, come già detto, a osservare i fatti e a trarne cautamente qualche conseguenza onde evitare di restare ancora delusi. È innegabile che il modo di presentarsi e di parlare di Leone XIV sia ben più degno di quello del predecessore, ma il pensiero, almeno per quanto è finora dato arguire, non suona sostanzialmente diverso. Il grido di dolore della volta scorsa è scaturito proprio dall’amore per la Chiesa e per il Papa, dal quale ci si attende legittimamente una parola che non lasci adito a dubbi circa non solo la centralità di Cristo, ma anche la necessità della Chiesa ai fini della salvezza; altrimenti, a forza di dare per scontate verità fondamentali, si finisce col dimenticarle e cedere alle menzogne moderniste. |