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Il Giudizio Universale di Don Curzio Nitoglia ![]() Visione del Giudizio universale Il versetto 11° del capitolo XX dell’Apocalisse di san Giovanni inizia con la visione del Giudizio Universale: “Vidi un gran trono candido e uno che sedeva sopra di esso, dalla vista del quale fuggirono la terra e il cielo e non fu più trovato luogo per loro”. La bianchezza (Sales, La Sacra Bibbia commentata, cit., p. 675, nota 11 (1)) è simbolo della santità e della gloria del Cielo. Colui, che siede sul trono glorioso o candido è Gesù (“Il Padre ha rimesso ogni giudizio al Figlio” Gv., V, 22), supremo Giudice dei vivi e dei morti (cfr. Mt., XXVIII, 18; Acta, X, 42). La terra e il cielo stellato sono tramutati in meglio e non sono annichilati completamente (cfr. S. Tommaso d’Aquino, S. Th., Suppl., q. 91) dalla conflagrazione universale del fuoco, strumento di Dio, che darà vita a “nuovi cieli e nuova terra” (Ap., VI, 12; I Cor., VII, 31; II Petri, III, 7). “E vidi i morti, grandi e piccoli, stare davanti al trono, e si aprirono i libri, e fu aperto anche il libro della vita, e i morti furono giudicati secondo quello che era scritto nei libri riguardo alle loro opere” (v. 2). L’Apostolo parla della risurrezione dei morti, senza eccezione alcuna: “Grandi e piccoli” di ogni età e di ogni stato sociale (Landucci, Commento all’Apocalisse di Giovanni, cit., p. 222, nota 11); “buoni e cattivi, martiri e peccatori, tutti senza eccezione alcuna” (A. Romeo, La Sacra Bibbia, cit., p. 847, nota 11). Il
“Libro della vita”
Poi accenna ai “Libri”, che, in senso metaforico, rappresentano l’Intelletto di Dio in cui sono presenti e conosciute come se vi fossero scritte le azioni buone e cattive di tutti gli uomini. L’Apostolo usa anche il termine “Libro della vita” - che già aveva usato al capitolo III, XIII e XVII - per indicare la prescienza divina, la quale conosce ab aeterno tutti coloro che si salveranno o no (Landucci, cit., p. 222, nota 12), secondo le opere buone e malvagie che avranno compiuto (cfr. S. Tommaso d’Aquino, S. Th., I, q. 24, ivi, q. 39, a. 8). “Il mare rese i morti che giacevano nel suo fondo, e gli inferi e il regno dei morti resero i defunti che avevano” (v. 13). I morti risorti si presentano davanti a Cristo giudice (S. Tommaso d’Aquino, Summa c. Gent., lib. IV, cap. 81; S. Th., Suppl., q. 79, a. 1, ad 3) assiso sul trono bianco venendo da ogni parte del mondo, dal mare e dalle profondità della terra (gli inferi, l’ade o lo sheol che sono il regno dei morti, ossia la regione sotterranea dell’oltretomba; cfr. Landucci, cit., p. 223, nota 13). “E si fece il Giudizio di ciascuno, secondo le sue opere. Gli inferi e il regno dei morti furono gettati nello stagno di fuoco” (v. 14). Coloro che hanno operato il male (inferi, morti) furono gettati nell’inferno. Qualcuno interpreta ciò come la perdita di potere sugli eletti da parte degli inferi e della morte, che non possono oramai più nulla su coloro, che entrano nel Regno dei cieli (Sales, cit., p. 676, nota 15). In breve, anche la morte corporale è sconfitta da Cristo nella sua Parusia. Premio
o punizione eterna sùbito dopo la morte
Il Concilio di Lione (1274, DB 464) ha definito che “le anime giuste e pienamente purificate sùbito (mox) vengono ricevute in cielo, quelle che si trovano nel peccato mortale sùbito (mox) vengono precipitate nell’inferno” (cfr. anche Conc. Lateranense IV, DB 429). La S. Scrittura aveva già rivelato l’immediata retribuzione dei buoni e dei cattivi al momento della loro morte; si veda la parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro (Lc., XVI, 22); la canonizzazione del buon ladrone da parte di Gesù (“Hodie eris mecum in Paradiso”, Lc., XXIII, 43). La Tradizione patristica insegna la medesima dottrina: Ignazio (Rom., IV e VII; Trall., XIII); Clemente romano (I Cor., V, 4 e 7); Policarpo (Phil., IX) e tutti i Padri (con qualche incertezza presso Ilario e Ambrogio dovuta all’escatologia di Origene prima della sua condanna) sino alla scolastica (S. Tommaso d’Aquino, S. Th., Suppl., q. 88; Summa contra Gentiles, lib. IV, cap. 91; A. Piolanti, De Novissimis, Roma/Torino, Marietti, 1941). La
“seconda morte”
L’Apocalisse conclude il XX capitolo: “Questa è la seconda morte” (v. 14); ossia, la morte eterna, la dannazione (Simbolo Atanasiano, DB 40; Conc. Lat. IV, DB 429; Benedetto XII, Costituzione Benedictus Deus, DB 530), che è la prosecuzione per l’eternità dello stato di peccato mortale o della morte spirituale dell’anima, mentre la prima morte è quella del solo corpo, che risorge alla fine del mondo (cfr. S. Tommaso d’Aquino, S. contra Gent., lib. IV, cap. 95). “Chi non si trovò scritto nel Libro della vita fu gettato nello stagno di fuoco” (v. 15); cioè, chi per le sue cattive opere viene conosciuto dalla mente di Dio come malvagio privo della vita della grazia viene gettato nell’inferno. Il
fuoco fisico e reale dell’inferno
Per il fuoco fisico e reale dell’inferno vedi S. Tommaso d’Aquino (S. Th., Suppl., q. 70, a. 3) e la Dichiarazione della S. Penitenzieria (30 aprile 1890). Il Libro della vita (cfr. S. Tommaso d’Aquino, S. Th., I-II, q. 114) è la prescienza divina di coloro che si salveranno o danneranno alla fine del mondo a causa delle loro cattive opere e non di una predestinazione all’inferno da parte della volontà di Dio, come insegna il luteranesimo condannato dal Concilio di Trento (DB 809 e 842). NOTA 1 - Per le citazioni cfr. L’Apocalisse, commentata da ANTONINO ROMEO, in La Sacra Bibbia, sotto la direzione e curata da SALVATORE GAROFALO, Il Nuovo Testamento, vol. III, Torino, Marietti, Casale Monferrato, 1960, pp. 763-861. CORNELIO A LAPIDE, Commentarius in Apocalypsin, Venezia, II ed., 1717. PIER CARLO LANDUCCI, Commento all’Apocalisse di Giovanni, Milano, Diego Fabbri, 1964. JEAN DE MONLEON, Le sens mystique de l’Apocalypse, Parigi, NEL, 1984. AA.VV. La Bibbia commentata dai Padri, Nuovo Testamento, Apocalisse, vol. 12, Roma, Città Nuova, 2008. MARCO SALES, La Sacra Bibbia commentata, Torino, Berruti, Il Nuovo Testamento, vol. II, Le Lettere degli Apostoli – L’Apocalisse, 1914. |