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Maria Sofia e la fine di un Regno. Storia di una Regina e del suo esercito ![]() Maria Sofia, Regina del Regno delle Due Sicilie Mercoledì 19 febbraio 2025,
l’Archivio di Stato di Caserta
e il Centro Studi della Provincia di Caserta “Antica Terra di Lavoro” APS, hanno
dedicato un pomeriggio all’ultima Regina delle Due Sicilie: Sua
Maestà [S. M.] Maria Sofia von Wittelsbach, Duchessa in Baviera
(Castello di Possenhofen, 4 ottobre 1841 – Monaco di Baviera, 19
gennaio 1925), moglie di Sua Maestà [S. M.] Francesco di
Borbone, in occasione del centenario della morte; all’Esercito delle
Due Sicilie e alle battaglie che portarono all’unificazione politica
italiana.
Il mito dell’eroina di Gaeta non è stato mai offuscato dal passare del tempo, anche se i testi di storia hanno ignorato o addirittura vituperato la figura, la personalità e il comportamento eroico dell’ultima Regina delle Due Sicilie. L’evento dal tema Maria Sofia e la fine di un regno. Storia di una regina e del suo esercito si è svolto alle ore 17.30 presso la Sala Conferenza dell’Archivio di Stato di Caserta al Palazzo Reale in piazza Carlo di Borbone di Caserta. ![]() La sala del convegno Dopo i saluti del Direttore dell’Archivio di Stato di Caserta: Dott.ssa Fortunata Manzi, il Presidente del Centro Studi della Provincia di Caserta “Antica Terra di Lavoro”: Dott. Tommaso Tartaglione, promotore e realizzatore dell’evento, ha dialogato con tre storici di valore, che hanno raccontato la figura di S.M. Maria Sofia von Wittelsbach, ultima Regina delle Due Sicilie, e la storia dell’esercito che la sostenne nella strenua difesa del Regno tra il 1860 e il 1861. il grande affabulatore Prof. Aurelio Musi, Ordinario di Storia moderna all’Università degli Studi di Salerno, autore del libro Maria Sofia. L’ultima Regina del Sud, che ha stimolato e incuriosito la platea col suo puntuale e partecipato ritratto di una donna straordinaria. Il rigoroso Giovanni Pede e l’appassionato Luca Esposito, cultori di storia militare, autori del libro Dal Macerone a Gaeta. L’ultima difesa delle Due Sicilie, che hanno suscitato l’interesse dei cultori di storia degli eserciti e dei loro soldati. S.M. Maria Sofia Amalia von Wittelsbach, Regina delle Due Sicilie Alta, slanciata, elegante nel portamento nobile e grazioso, con una magnifica capigliatura castana, bellissimi occhi di color azzurro-cupo, Maria Sofia trascorre l’infanzia e l’adolescenza nel castello di Possenhofen dei Duchi in Baviera, dove le giovani Wittelsbach si esercitano in lunghe galoppate a caccia di animali selvatici. Oltre alle passeggiate a cavallo, pratica la scherma, il nuoto, la ginnastica, la danza, riceve una solida educazione musicale e una formazione al gusto estetico secondo i modelli ereditati dalle corti europee d’antico regime. È molto affascinata dalla fotografia: una passione che le rimarrà tutta la vita. Come la sorella Elisabetta, Sissi, futura Imperatrice d’Austria, è solita girare da sola per la città e fumare piccoli sigari in pubblico. Non rispetta l’etichetta di corte e coltiva i rapporti umani, che intrattiene anche con persone umili. Fin da ragazza è esuberante, indipendente, anticonformista, nonostante i tentativi della madre Ludovica di frenarne gli eccessi. «Femme hèroique qui, reine soldat, avait fait elle meme son coup de feu sur les remparts de Gaete» (Donna eroica che, da regina soldato, aveva sparato lei stessa il suo colpo di fuoco sui bastioni di Gaeta): così Marcel Proust nel suo La prisonnière, canta della Regina soldato, la giovane Maria Sofia von Wittelsbach dei Duchi in Baviera, divenuta a solo 18 anni l’ultima Regina delle Due Sicilie, per poco più di un anno, l’eroina che dagli spalti della fortezza di Gaeta infonde coraggio a quel che rimane dell’esercito borbonico annientato dall’arrembaggio piemontese. Prestò assistenza alle truppe reali e curò i feriti, fece tutto ciò che era in suo potere per aiutare, sostenere e incoraggiare i soldati combattenti. Armata lei stessa di fucile, si recò sul bastione della fortezza di Gaeta durante l’assedio piemontese e non esitò a sostituire un artigliere ferito a morte, continuando il fuoco contro gli assedianti piemontesi. Il suo comportamento attirò attenzione e ammirazione in tutta Europa. ![]() Karl Theodor von Piloty, La Regina Maria Sofia di Napoli in una delle batterie di Gaeta,1863, olio su tela, 54,5x67cm, proprietà dei Duchi in Baviera del Casato Wittelsbach, Wildbad Kreuth, Baviera. La Regina Maria Sofia
è accompagnata dal Generale Felix
von Schumacher e dal suo aiutante Alphons Pfyffer von Altishofen sui
bastioni di Gaeta durante l’assedio.
La sua sciarpa rossa e gli stivali con speroni, che indossava durante l’assedio, sono ora, insieme ad altri cimeli, in possesso della famiglia Schumacher a Lucerna. Il Generale Felix von Schumacher (Lucerna, 14 luglio 1814-Lucerna, 19 ottobre 1894) apparteneva alla famiglia patrizia Schumacher di Lucerna. Fu aiutante di campo del Re delle Due Sicilie, S. M. Ferdinando II, consigliere dei suoi figli Francesco II e i Conti di Trani e di Caserta, protettore della giovane Regina Maria Sofia. Nel 1858 fu elevato al titolo di patrizio napoletano. Dopo la caduta del Regno delle Due Sicilie nel 1861, accompagnò il Re e la Regina in esilio a Roma. Il mito dell’eroina di Gaeta non è stato mai offuscato dal passare del tempo, anche se i testi di storia hanno ignorato o addirittura vituperato la figura, la personalità e il comportamento eroico dell’ultima Regina delle Due Sicilie. Gabriele D’Annunzio definì Maria Sofia “l’aquiletta bavara che rampogna”, intendendo con queste parole disprezzare la Regina che si oppose con tutto il suo coraggio all’usurpazione sabauda del Regno delle Due Sicilie. Maria Sofia, infatti, tentò di riconquistare sino all’ultimo giorno della sua vita quella Patria meridionale che lei, bavarese di nascita, aveva fatto sua e profondamente amata, insieme alla sua gente. L’assedio e la caduta di Gaeta L’assedio di Gaeta, tra il 13 novembre 1860 ed il 13 febbraio 1861, di cui 75 giorni trascorsi sotto il fuoco piemontese, fu uno degli ultimi fatti d’armi delle operazioni di conquista dell’Italia meridionale nel corso del Risorgimento italiano. La Città di Gaeta, al confine tra il Regno delle Due Sicilie e lo Stato Pontificio, era difesa dai soldati dell’esercito delle Due Sicilie, ivi arroccati dopo la Spedizione dei Mille e l’intervento della Regia Armata Sarda. La caduta di Gaeta, insieme con la successiva presa di Messina e di Civitella del Tronto, portò alla proclamazione del Regno d’Italia. Tra tutti gli assedi subiti da Gaeta nella sua millenaria storia di fortezza militare fin dall’846, questo fu il più ingente per i mezzi militari impegnati. Il numero ufficiale delle vittime di questo assedio: tra le file piemontesi 46 morti e 321 feriti, tra le file borboniche 826 morti, 569 feriti e 200 dispersi. Purtroppo non sono stati registrati ufficialmente i morti, feriti e dispersi tra la popolazione civile che pure patì l’assedio. ![]() Raffigurazione dell'assedio di Gaeta Un racconto leggendario dell’epoca, diffuso inizialmente dal giornalista Carlo Garnier, narrava che dopo il 15 dicembre, con l’inasprirsi dei bombardamenti, la Regina Maria Sofia incominciò a vedersi continuamente sui bastioni della città, prodigandosi a soccorrere i feriti e a dare conforto ai soldati, venendo soprannominata “eroina di Gaeta”. ![]() La Regina Maria Sofia nella fortezza Ci limitiamo a riportare le commoventi parole di Roberto Martucci, che descrive il tragico clima in cui avvenne l’assedio, specie gli ultimi giorni, e soprattutto descrive lo stato d’animo di chi stava perdendo – tra la fame e la pestilenza – ma sapendo di essere vittima incolpevole di un’aggressione da nessuno desiderata ed eroico difensore non di un Regno, ma di una civiltà plurisecolare, e di chi stava vincendo fra le risa, ma era un riso di amaro sapore. «Il 5 febbraio 1861,
un proiettile centrò la polveriera Sant’Antonio, provocando
circa cento morti e seppellendo, sotto le macerie, centinaia di soldati
vivi.
“Il nemico – scrisse Pietro Calà d’Ulloa – faceva
un sacrificio di vittime umane agli dei degli inferi; un’ultima
esplosione lanciò in aria per poi precipitarli in mare soldati e
ufficiali; gli assedianti, a Mola, batterono le mani come a uno
spettacolo”»
Dopo una breve tregua per estrarre i feriti dalle rovine, il
Generale Cialdini
rifiutò una proroga che avrebbe consentito di soccorrere le
altre vittime ancora vive; il generale sardo volle quindi riprendere il
bombardamento, offrendo al tempo stesso una resa senza condizioni alla
stremata guarnigione napoletana. [Pietro Cala d’Ulloa, Lettres d’un ministre émigré,
Marseille, 1870, p. 80].
Di fronte alla inutilità di un’ulteriore resistenza, S.M. Francesco II autorizzò il Governatore di Gaeta – che era quello stesso Generale Giosué Ritucci che aveva diretto la sfortunata controffensiva sul Volturno – a trattare la Capitolazione. Era l’11 febbraio e per due giorni si protrassero i colloqui senza che il Generale Cialdini cessasse di rovesciare sulla sventurata fortezza una valanga di fuoco; ne aveva anzi approfittato per far entrare in azione altre due micidiali batterie di cannoni a canna rigata. Visto che la resa era sicura, quell’ulteriore dispiegamento di artiglieria d’assedio era mortalmente inutile. A meno che non ci si trovasse di fronte a quella sindrome magistralmente descritta dal romanziere francese Jules Verne in Dalla terra alla luna, quando gli affranti ingegneri e periti balistici, soci del “Gun club” di Baltimora, appresero con dolore ineguagliato che la fine della Guerra di Secessione impediva di sperimentare l’efficacia dei proiettili dei loro cannoni sulla carne confederata. 13 febbraio 1861 - Così capitolarono i valorosi difensori del Regno delle Due Sicilie della Piazzaforte di Gaeta «Gli assedianti hanno lanciato circa 60.000 bombe dal 10 [febbraio] sera fin a questo momento [13 febbraio]. 60.000 bombe in tre giorni, sessantamila bombe tra la domanda di capitolazione e la sua firma. Le vittime di queste 60.000 bombe grideranno vendetta eterna contro Cialdini (…) Ecco una Fortezza il cui assedio finirà senza che si sia aperta una trincea, senza che l’Assediante si sia avvicinato a meno di 1500 metri! (…) Cialdini fa colazione, pranzo e cena e dorme pacificamente a Castellone, nella Villa Real di Mola, a cinque chilometri da Gaeta. (…) Sulle tombe di tanti bravi, che hanno sofferto con una inalterabile fermezza e che sono morti con magnanima semplicità, sulle rovine di una città che si è difesa cento giorni con risorse così esigue, con mezzi insufficienti, io straniero, semplice testimone, ma non testimone insensibile, affermo che l’assedio di Gaeta sarà una delle più belle pagine della storia contemporanea. La gloria non sarà per i vincitori, ma per i vinti» [Charles Garnier, Diario dell’Assedio di Gaeta 1860-1861, Brussel 1861, trad, it. Editoriale il Giglio 2022]. «Venne finalmente stabilito in massima che da oggi in poi [11 febbraio] si raddoppierebbe il fuoco delle nostre artiglierie, né si cesserebbero fino a conchiusa capitolazione (…) al toccare della mezzanotte dalle batterie italiane erano partiti 4.397 colpi e da quelle dei Borbonici 1.493 (…) i feriti nel campo italiano erano stati 4, ed in Gaeta 9 i morti e 7 i feriti. Dal tifo erano stati colti 48 e condotti in fin di vita 7» [Federico Carandini, Ufficiale dello Stato Maggiore piemontese, L’ Assedio di Gaeta nel 1860-61, Torino 1874]. ![]() Esplosione della polveriera I plenipotenziari borbonici, che stavano trattando la resa nel Quartier Generale di Cialdini, trattennero a stento le lacrime, mentre i loro ospiti applaudivano fragorosamente contravvenendo simultaneamente alle regole dell’ospitalità e alle leggi non scritte dell’onore militare. Il 13 febbraio 1861, nella villa reale dei Borbone (già villa Caposele, attualmente Villa Rubino, a Formia) venne firmato l’armistizio. Alle ore 18.15 le artiglierie di entrambi gli schieramenti cessarono le ostilità, entrando in vigore il cessate il fuoco a seguito della firma della capitolazione, e dopo la resistenza per oltre tre mesi alle truppe piemontesi, i valorosi difensori del Regno delle Due Sicilie della guarnigione di Gaeta uscirono dalla Piazzaforte con l’onore delle armi. Cialdini, non ancora soddisfatto, volle anche riuscire sarcastico per umiliare chi aveva avuto il coraggio di resistergli con dignità, e si offrì di fornire con generosità alla coppia sovrana una nave per andare a Roma: ne scelse una che fece ribattezzare “Garibaldi”. ![]() Le Loro Maestà: Il Re Francesco di Borbone e la Regina Maria Sofia lasciano Gaeta Fra le lacrime dei soldati e degli ufficiali inginocchiati e della popolazione, mentre stringevano le mani a tutti, senza distinzione, fra le lacrime e i sorrisi, le Loro Maestà Francesco II e Maria Sofia salparono per Roma. La cittadella di Messina si arrese a Garibaldi dopo due mesi, il 12 marzo e Civitella del Tronto – ultima roccaforte dell’esercito delle Due Sicilie – riuscì a resistere all’esercito piemontese con 530 uomini appartenenti ai diversi corpi (gendarmeria, fanteria di riserva, reali veterani, artiglieria) con 21 cannoni, 2 obici, 2 mortai e 1 colubrina in bronzo del museo, fino al 20 marzo 1861. Dopo due giorni di terrificanti bombardamenti – 7.860 proiettili per 6.500 kg di polvere utilizzata – i Piemontesi riescono ad entrare attraverso una breccia. Finisce il Regno delle Due Sicilie. ![]() La biografia storica di Maria Sofia va ben oltre il breve periodo del Regno. In collegamento con i ribelli, la Regina alimenta la destabilizzazione del Regno d’Italia. Giura vendetta ai Savoia, che le hanno sottratto un regno e le sue ricchezze. Dopo i dieci anni di esilio a Roma, ospite di Papa Pio IX, l’ultima Sovrana del Regno delle Due Sicilie vive tra Austria, Ungheria, Francia, Germania. Muore a Monaco nel 1925. Nella sua lunga vita ispira scrittori e artisti. Chi ne fa un monumento, in cui lei si riconosce, è Marcel Proust nel suo La prisonnière. A lungo Luchino Visconti accarezza l’idea, poi sfumata, di realizzare un film sulla sua vita affidando a Greta Garbo la parte della protagonista. L’esercito del Regno delle Due Sicilie era davvero un esercito di stranieri e di mercenari, di uomini sanguinari e feroci contro i loro stessi fratelli? O, peggio ancora, di ufficiali traditori, pronti a passare dalla parte del vincitore? In realtà, era un esercito nazionale la cui principale ragion d’essere era il mantenimento dell’ordine interno, ma che fece la sua parte quando il Re se ne mise a capo, dopo le dimissioni del governo costituzionale napoletano. La ricerca degli autori si propone di approfondire questi aspetti di storia militare ricordando tanti fedeli “soldati del Re” e focalizzandosi sul periodo che va dal risolutivo intervento armato sardo-piemontese del 12 ottobre 1860 alla metà del mese successivo. L’irresolutezza dell’alto comando napoletano, cui non fu estraneo lo stesso Re nell’ingannevole speranza in un aiuto francese, rimandò lo scontro definitivo con l’Armata Sarda fino a che fu troppo tardi e tutto compromesso in una settimana o poco più. La ritirata si concluse solo a Gaeta, una fortezza che, a causa del mortale immobilismo degli ultimi anni di regno di Ferdinando II, non era in grado di resistere a un assedio sostenuto da cannoni a grande gittata, di fronte ai quali gli artiglieri napoletani nulla poterono. [Dal libro di Pede ed
Esposito, Dal Macerone a Gaeta.
L’ultima difesa delle Due Sicilie. Un racconto dalla parte dei vinti,
Cosmo
Iannone Editore, 2024
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