![]() |
![]() |
Nascosta la storia cristiana di uno dei mosaici più belli trovati in Israele ![]() Restauratore al lavoro sul mosaico L’Autorità Israeliana
per le Antichità (AIA) informa che uno dei mosaici più
belli mai trovati in Israele è ora visibile al pubblico.
Ma non dice che decorava il pavimento di una chiesa, lungo una via di pellegrinaggio... Con orgoglio l’Autorità Israeliana per le Antichità (AIA) ha annunciato la presentazione al pubblico, presso il Consiglio regionale di Merhavim, a Nord-Ovest di Be’er Sheva, di uno dei mosaici più impressionanti mai scoperti in Israele. Fu nel 1990, nei pressi del kibbutz Urim, vicino alla Striscia di Gaza, nella zona di Khirbet Be’er Shema, che il mosaico detto di Be’er Shema (o anche Birsama) fu portato alla luce durante gli scavi condotti da Dan Gazit e Shaike Lender. Immediatamente coperto per proteggerlo, fu poi restaurato e ora è esposto nell’ambito del progetto «Le antichità a casa vostra», un’iniziativa congiunta del Ministero del Patrimonio e della AIA, volta ad avvicinare il patrimonio archeologico al grande pubblico. Da notare che il mosaico è stato spostato dal sito in cui è stato rinvenuto, un vasto complesso monastico dove decorava il pavimento della chiesa. La parola «chiesa» «è sorprendentemente omessa dal comunicato stampa, che si riferisce invece al grande torchio e ai magazzini contenenti le giare del complesso monastico, la cui economia si basava sulla produzione vinicola. Messo da parte il carattere cristiano del mosaico ![]() Il mosaico di Be’er Shema con al centro della seconda fila di medaglioni la figura indicata come Victor. (foto Emil Aladjem/Aia) Con una superficie di 60 metri quadrati, il mosaico presenta 55 medaglioni riccamente decorati. Raffigurano scene di caccia, momenti di vita quotidiana, animali esotici, cesti di frutta e figure mitologiche, in una profusione di dettagli e colori. Composta da minuscole tessere di pietra, vetro e ceramica, l’opera dimostra l’eccezionale maestria dell’artista che l’ha creata. «Questo gioiello archeologico è ora un’attrazione turistica per la nostra regione, un invito a scoprire il nostro patrimonio e a rafforzare il legame tra passato, presente e futuro», ha esultato Shay Hajaj, Presidente del Consiglio regionale di Merhavim. Eppure, nessuno dei discorsi ha menzionato il carattere cristiano di questo passato. La chiesa da cui è stato rimosso contiene non meno di dieci iscrizioni in greco. «La maggior parte di esse sono dedicatorie», come aveva osservato Dan Gazit nelle sue conclusioni. Citano i nomi di «donatori e donatrici, inclusi nomi arabi, a testimonianza della conversione di nomadi locali al cristianesimo», ha spiegato. Il nome di Stephanos, che costruì la chiesa e la dedicò a santo Stefano, il primo martire, compare in molti di esse. Nel medaglione centrale, nella seconda fila partendo dall’alto, è raffigurato un uomo che regge un piatto cilindrico, che potrebbe contenere la zampa di un animale, ma, cosa ancora più importante, ai lati della testa si trovano le lettere BIKTωP, che stanno per Victor, designato come intendente in una delle iscrizioni. Sembra che, essendo privo di simboli cristiani, il mosaico sia sufficientemente «kosher» da poter essere presentato al pubblico israeliano. E se riguardasse Agar e suo figlio Ismaele? ![]() Donna che allatta, dettaglio del mosaico di Be’er Shema. (foto Albert Nathan/Aia) Speriamo almeno che l’affascinante interpretazione dei medaglioni fatta da Dan Gazit sia presentata al pubblico. Riflettendo sulla donna che allatta, raffigurata in basso nel mosaico, è giunto a un’interpretazione che spiega sul suo blog: «Mi è venuto in mente che questo potrebbe essere il ‘deserto di Be’er Sheva’ menzionato nella Bibbia (Genesi 21,14), dove, secondo la tradizione biblica, Agar, la serva egiziana, si perse sulla via del ritorno (in Egitto!) dopo essere stata scacciata: la direzione è corretta (da Be’er Sheva via Be’er Shema fino all’Egitto), la distanza anche (poche ore di cammino finché “l’acqua nell’otre non si esaurì”), la posizione è appropriata (un deserto), e ci sono persino alcuni pozzi nella zona, alcuni molto antichi (si veda il versetto 19). Non c’è motivo per cui la tradizione biblica dei vagabondaggi di Agar e di suo figlio Ismaele non sia stata preservata nella regione e rafforzata dal cristianesimo (che, all’epoca, santificava anche l’Antico Testamento). L’immagine di Agar nel mosaico evidenzia il contrasto tra i suoi sontuosi abiti (compreso un velo che le copre i capelli) e il fatto che sia scalza, come i nomadi; suo figlio, allattato al seno, è adornato con braccialetti e gioielli d’oro e tiene in mano un giocattolo a forma di arco, illustrando così la sua descrizione biblica (versetto 20). ![]() Il pavimento della chiesa fotografato nel 1990. Si nota il mosaico del presbiterio e la forma absidale della chiesa. (foto Albert Nathan/Aia) «Questo è stato il primo passo – prosegue Dan Gazit – che mi ha portato a comprendere che, in realtà, l’intero pavimento (a mosaico) è dedicato alle storie dei Patriarchi, il che è appropriato per una regione in cui, secondo la Bibbia, essi hanno operato: Victor sarebbe Abramo che accoglie gli Angeli con del pane (chiamato ’ouga = “pane piatto” o “rotondo”), accompagnato da un pezzo di carne (Genesi 18, 6-7). È scalzo e vestito modestamente, come si addice a un uomo del deserto (o potrebbe essere il pane e l’otre d’acqua che diede ad Agar dopo il suo congedo?). Sotto di lui ci sono i fratelli Esaù (“uomo del campo”), appoggiato a una clava, e Giacobbe (“uomo retto”), un pastore delicato che suona il flauto. Alla sua destra sta Cam, figlio di Noè (raffigurato come un uomo nero a cavallo di un elefante), e alla sua sinistra suo fratello Iafet: insieme, simboleggiano l’umanità nel suo insieme. Sotto queste figure, una coppia di conducenti di cammelli e asini carichi, evoca l’episodio di Eliezer, Isacco e Rebecca (Genesi 24). E quale Patriarca manca? Naturalmente Isacco, poiché il suo sitra akhra (“l’altro lato”, espressione cabalistica che designa l’opposto spirituale o il lato oscuro) è il suo fratellastro Ismaele, che appare qui in tutto lo splendore della sua infanzia, proprio alla base del tappeto musivo, nel posto più onorato, come si addice all’eroe della storia». Che ne è stato del monastero? ![]() Il secondo mosaico che nella chiesa bizantina circondava l’altare. (foto Albert Nathanm /Aia) Nel 1990, il sito archeologico fu scoperto durante uno scavo preventivo. Dan Gazit si rammaricò presto che nessuno avesse pensato di spostare immediatamente questo mosaico, che era in uno stato di conservazione eccezionale ma sarebbe stato esposto agli effetti dell’agricoltura e dell’urbanizzazione. Ciò è stato fatto ora. Tuttavia, non sappiamo che fine abbia fatto l’altro mosaico. Si trovava nel bema (il presbiterio) che circondava l’altare. I resoconti degli scavi lo descrivono come composto da due cornici e un’iscrizione di sei righe. La cornice esterna è una catena di maglie rotonde e quadrate alternate. La cornice interna è composta da 22 medaglioni decorati con vari meandri geometrici. Il complesso monastico si trovava lungo l’antica strada nabateo-romana che collegava Halutza al porto di Gaza. Costituiva un rifugio sicuro per i viaggiatori minacciati dalle incursioni beduine. Oggi è sepolto, come tanti altri, ma il lavoro degli archeologi e la loro documentazione ci permettono di riportarli in vita (o almeno quando ci si ricorda di farvi riferimento). |