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I poveri secondo Leone e secondo Francesco ![]() Una baraccopoli in periferia Non mi sembra, ma potrei sbagliarmi, che vi sia piena coerenza tra quanto afferma l’attuale Pontefice e quanto scriveva il precedente. Un conto è dire che la più grave povertà è non conoscere Dio (idea del tutto condivisibile) e un conto è dire che i poveri sarebbero discriminati per mancanza di attenzione spirituale. I due concetti, infatti, non appaiono necessariamente consequenziali. Non voglio certo (anche perché non ne avrei né titolo né autorevolezza) essere incluso tra coloro che provano a tirare la mozzetta (visto che ne ha ripristinato l’uso) al nuovo Papa, ma la sensazione (o forse la speranza) che ho è che alcune citazioni di Papa Francesco siano funzionali a correggere distorsioni del magistero precedente attraverso una politica dei piccoli passi che, senza strattoni, mostri una continuità che in realtà si cerca gradatamente di abbandonare. Leggendo i messaggi di Papa Francesco in occasione delle precedenti giornate dei poveri, emerge chiaramente, salvo alcuni tiepidi richiami alla tradizione e al catechismo, come lo sguardo fosse rivolto più alla povertà materiale che a quella spirituale. Il passaggio contenuto nel terzo messaggio del 2019 non può essere più esplicito: “Dovunque si volga lo sguardo, la Parola di Dio indica che i poveri sono quanti non hanno il necessario per vivere perché dipendono dagli altri”. Papa Leone XIV, pur non dimenticando che la giustizia, prima ancora della carità, impone di aiutare gli indigenti, sembra invece voler porre l’accento innanzitutto sulla povertà spirituale, anche perché “tutti i beni di questa terra, le realtà materiali, i piaceri del mondo, il benessere economico, seppure importanti, non bastano per rendere il cuore felice. Le ricchezze spesso illudono e portano a situazioni drammatiche di povertà, prima fra tutte quella di pensare di non avere bisogno di Dio e condurre la propria vita indipendentemente da Lui”. La povertà, che può colpire ognuno di noi, è intesa come perdita di tutto ciò che “un tempo ci pareva sicuro”: le cose non solo materiali (“un’abitazione, il cibo adeguato per la giornata, l’accesso alle cure”) ma anche immateriali (“un buon livello di istruzione e di informazione, la libertà religiosa e di espressione”). Così “tutte le forme di povertà, nessuna esclusa, sono una chiamata a vivere con concretezza il Vangelo e a offrire segni efficaci di speranza”. In definitiva, il povero altro non è che l’umile che confida in Dio, colui che rinuncia a ogni attaccamento – non solo ai beni materiali, ma anche a sé stesso, ai propri desideri, alla propria volontà – per seguire Dio. Al termine del suo messaggio, Papa Leone XIV si congratula, infine, “per le iniziative già esistenti e per l’impegno che viene profuso ogni giorno a livello internazionale da un gran numero di uomini e donne di buona volontà”. Mi piace vedere in questo ringraziamento un richiamo alla “Rerum novarum” di Leone XIII il quale sottolineò come la Chiesa sia “madre comune dei poveri e dei ricchi, ispirando e suscitando dappertutto l’eroismo della carità” e creando “sodalizi religiosi ed altri benefici istituti, che non lasciarono quasi alcuna specie di miseria senza aiuto e conforto. Molti oggi, come già fecero i gentili, biasimano la Chiesa perfino di questa carità squisita, e si è creduto bene di sostituire a questa la beneficenza legale. Ma non è umana industria che possa supplire la carità cristiana, tutta consacrata al bene altrui. Ed essa non può essere se non virtù della Chiesa, perché è virtù che sgorga solamente dal cuore santissimo di Gesù Cristo: e si allontana da Gesù Cristo chi si allontana dalla Chiesa”. |