L'uguaglianza è il nemico
 



di Chad Crowley










Non c’è significato senza differenza

Una vita senza distinzione è una vita senza valore, perché il valore nasce dalla disuguaglianza. Che si tratti di forza, spirito, intelletto, bellezza o forma, ciò che distingue una cosa da un’altra, ciò che la rende rara, eccezionale o superiore, non è l’uguaglianza, ma la differenza. Uguagliare tutto non significa elevare ciò che è in basso, ma distruggere ciò che è in alto; significa abolire il valore stesso.

Il valore esiste in due forme principali: quella qualitativa e quella quantitativa. Una cosa possiede valore qualitativo quando è unica, quando possiede un carattere irripetibile, una presenza indivisibile. Possiede valore quantitativo quando eccelle in grado, quando è più forte, più puro, più preciso o più completo delle sue alternative.
L’uno parla all’anima, l’altro comanda alla mente, eppure entrambi traggono la loro misura dalla disuguaglianza. Una cosa ha significato proprio perché non è identica a tutte le altre: perché differisce, perché si distingue. In questa differenza risiede l’intero fondamento del valore.

Emerge così l’inevitabile conseguenza: eliminare la disuguaglianza significa eliminare il significato. Rendere tutte le cose uguali significa appiattirle fino a renderle prive di peso, intercambiabili, dimenticabili. L’eguaglianza non preserva il valore attraverso l’equilibrio; lo cancella attraverso l’uguaglianza. Non eleva il comune; profana l’eccezionale. In un mondo del genere, un uomo non diventa altro che un numero, una vita non più che un’unità: sacrificabile, sostituibile, priva di dignità.

Questa non è un’astrazione teorica, ma storia vissuta. I regimi che più esaltavano l’uguaglianza erano quelli che più sminuivano la vita. Nel sistema sovietico, dove l’uomo era ridotto a un ingranaggio della collettività, il suicidio e il massacro raggiunsero la scala industriale. La vita di milioni di persone fu spenta nell’indifferenza burocratica.
L’uguaglianza, una volta resa assoluta, divenne l’aritmetica della morte.

Anche oggi, gli uomini resistono istintivamente all’annientamento del valore. Cercano un significato nella differenza. Si sforzano di elevarsi, di distinguersi e di essere legati a qualcosa di più elevato, che si tratti di una tradizione, di un popolo o di un ordine sacro. Hanno fame di forme di appartenenza che elevino anziché dissolvano, che conferiscano dignità anziché cancellarla. Nessuno vive veramente per un mondo in cui tutti siano uguali. Persino coloro che predicano l’uguaglianza lo fanno nella speranza di essere giudicati più virtuosi, più illuminati, più degni degli altri.
Sotto la maschera dell’egualitarismo si cela la volontà di dominare.

Eppure l’Occidente moderno continua la sua marcia verso la perfetta uniformità.
In nome della liberazione, recide ogni legame che un tempo dava forma alla vita: il legame verticale con il trascendente, il legame ancestrale con la parentela, il legame naturale tra uomo e donna, il legame civico tra cittadino e nazione. Ognuno di essi è considerato un ostacolo alla libertà, perché ognuno afferma che la vita è diseguale e quindi piena di significato.

Il liberalismo prometteva l’emancipazione dalla gerarchia, ma, separando l’uomo dalle strutture stesse che gli davano forma, lo lasciò alla deriva in un mondo di materialismo senza radici. Il marxismo prometteva giustizia attraverso l’abolizione delle classi, ma ciò che abolì fu lo spirito.
La convergenza di questi due credi ha prodotto un Occidente saturo di consumi e sterile di anima, una civiltà che teme il giudizio, disprezza l’eccellenza e rifugge da ogni criterio che possa ancora nobilitare.

Ciò che ne consegue è l’esaurimento spirituale. L’uomo liberale, abituato a disprezzare la sua razza, il suo sesso, la sua eredità e i suoi dei, si ritrova solo tra infinite opzioni, nessuna delle quali può soddisfarlo. Gli viene detto che giudicare è peccato, appartenere è oppressione e elevarsi è arroganza. Eppure, senza queste cose, non può vivere. Può sopravvivere; non prospererà. Può provare piacere; non conoscerà la gioia. Può avere dei diritti; non avrà alcuno scopo.

L’uguaglianza, quando viene elevata a ideale assoluto, conduce al decadimento della civiltà, minandone grandezza, scopo e dignità. Smette di credere nella grandezza e quindi cessa di produrla. Diventa incapace di riverenza, lealtà, bellezza. Perde il suo senso della tragedia, perché nega l’eroico; il suo senso del destino, perché nega il nobile.
Diventa nient’altro che un mercato di appetiti, dove la ricerca del piacere e del consumo sostituisce il perseguimento di ideali superiori, dove l’appartenenza è una posa, la virtù un’ostentazione e la storia ridotta a un’accusa.

Questo non è progresso. È regressione. Non è un ritorno alla natura, ma una discesa nel nulla.
La verità rimane: la disuguaglianza non è contraria alla giustizia, ma ne è il fondamento. Perché la giustizia richiede proporzione: ricompensa per il merito, onore per la virtù, protezione per gli innocenti, punizione per i malvagi. L’uguaglianza non riconosce tali distinzioni. Esige che tutti siano trattati allo stesso modo, a prescindere dalla verità, dal valore o dalle conseguenze.
Così facendo, tradisce gli stessi ideali che professa di sostenere.


L’uguaglianza è il nemico

Non eleva la società; la appiattisce. Cercando di rendere tutti uguali, priva la vita di significato e nega le condizioni in cui può sorgere la grandezza. Cancella distinzione, eccellenza e scopo: quelle cose che danno valore alla vita.
Vivere bene significa vivere in modo significativo. Vivere in modo significativo significa accettare che alcune vite brillano più di altre, che alcune anime sono chiamate a traguardi più elevati e che non tutti gli uomini sono uguali in ciò che sono, in ciò che danno o in ciò che potrebbero diventare.
Questa verità può offendere; eppure solo la verità può salvare.

Lasciamo che gli egualitari digrignino i denti. Lasciamo che ci chiamino crudeli, elitari, reazionari. Le loro calunnie sono la misura della loro paura. Perché sanno, come noi, che un futuro costruito sull’uguaglianza non è affatto futuro; è la morte della vita, la fine del significato e la rovina della civiltà.

Affermare la disuguaglianza non significa negare i deboli; significa proteggere i forti, affinché possano costruire, guidare e ispirare, poiché sono il fondamento su cui sorgono le civiltà. Significa salvaguardare le condizioni in cui qualsiasi cosa nobile possa ancora esistere. Perché se vogliamo perdurare – se la nostra civiltà deve risorgere dal fango – dobbiamo esaltare ciò che è più elevato, preservare ciò che è raro e custodire ciò che è vero.

Contro l’uguaglianza, scegliamo il significato. Contro l’uguaglianza, scegliamo la grandezza. Contro il nichilismo, scegliamo la vita stessa.







 
giugno 2025
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