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Il fondamento metafisico del conflitto tra Israele e Palestina di Daniel Ferraz Pubblicato su
https://www.estudosnacionais.com/42788/o-fundamento-metafisico- do-conflito-entre-israel-e-palestina/ ![]() Una analisi filosofica,
teologica e storica delle radici gnostiche, esoteriche e messianiche
che sono alla base del conflitto moderno in Medio Oriente
Introduzione Il presente saggio si propone di offrire una analisi profonda, filosofica e metafisica delle cause primarie che strutturano, fin dalle loro radici spirituali, il conflitto storico e attuale tra lo Stato moderno di Israele e la Palestina. Si tratta di approccio che si allontana deliberatamente dalla superficialità di analisi meramente geo-politiche, sociologiche o economiche, e che cerca di cogliere il nucleo ontologico, religioso e epistemologico che sostiene, da tempo immemorabile, le tensioni che oggi si dispiegano in ambito militare, politico e simbolico. Pertanto, ciò che qui si propone non è un commento agli aggiornamenti quotidiani dei confronti, né una descrizione cronologica dei fatti storici – compito che svolgono con competenza altri ricercatori, giornalisti e analisti. Questo lavoro mira piuttosto a svelare i fondamenti ultimi che rendono il conflitto, non solo una questione territoriale o diplomatica, ma uno scontro tra visioni metafisiche profondamente inconciliabili. Va chiarito fin da subito che questo saggio non intende essere una difesa romantica, ideologica o sentimentale di alcuna delle parti coinvolte. E’ evidente che, dal punto di vista etico e di civiltà, è impossibile equiparare moralmente l’abietto terrorismo di organizzazioni come Hamas – i cui metodi includono l’uccisione di civili, l’uso di scudi umani e pratiche di inimmaginabile brutalità – con gli atti di autodifesa di uno Stato organizzato, anche se questo Stato ha fondamenti politici e filosofici profondamente problematici. Tuttavia, la condanna delle pratiche terroristiche non implica in alcun modo la canonizzazione metafisica del moderno Stato di Israele, la cui costituzione è anch’essa il frutto di un progetto ideologico, laico e gnostico profondamente incompatibile con la visione cristiana dell’ordine e della storia. Per altro verso, è parimenti condannabile l’atteggiamento – oggi tristemente comune in certi ambienti della destra occidentale – di trattare lo Stato di Israele come un’estensione dell’Israele biblico, come se fra l’Israele teocratico, formato sulla base dell’Antica Alleanza, e l’attuale Stato laico, sionista, socialista e rivoluzionario, ci fosse una continuità teologica, politica o spirituale. Tale illusione non resiste ad una analisi nemmeno superficiale della storia del sionismo e della costituzione del moderno Stato ebraico; e tanto meno all’esame dell’analisi metafisica che qui verrà condotta. Questo saggio non si presta nemmeno a servire da base d’appoggio alla retorica, ugualmente romantica e ingannevole, che vede la causa palestinese come una presunta rappresentazione della tradizione, della trascendenza e delle lotta dei popoli contro l’imperialismo moderno. Questo è precisamente il discorso manipolato da forze geo-politiche di orientamento euroasiatico, tradizionalista-esoterico o islamista radicale; il cui scopo è catturare emotivamente e spiritualmente settori dell’Occidente che, disconnessi dalla propria tradizione cristiana, cercano disperatamente qualche parvenza di trascendenza perfino all’interno di ideologie profondamente ostili al Vangelo. Pertanto è necessario, prima di tutto, smantellare i falsi dualismi, i semplicismi sentimentali e le illusioni romantiche che albergano tanto a destra quanto a sinistra in Occidente quando si affronta questo conflitto. Qui si tratta di comprendere che non si tratta di una lotta fra il bene assoluto e il male assoluto, fra una civiltà che preserva i valori della tradizione e un’altra che rappresenta la decadenza morale. Al contrario, siamo di fronte allo scontro tra due messianismi secolarizzati, entrambi eredi di visioni del mondo gnostiche, emanazioniste, antitrinitarie e anticristiane. Tali messianismi, pure assumendo forme politiche, militari e ideologiche diverse, sono strutturalmente identici nei loro presupposti metafisici: entrambi rifiutano l’Incarnazione del Verbo, entrambi negano l’unione ipostatica di Nostro Signore Gesù Cristo, entrambi rifiutano la creazione ex nihilo, entrambi sostituiscono la grazia santificante con processi esoterici, iniziatici o legali, ed entrambi fondono essenzialmente l’autorità spirituale col potere temporale, negando così il principio stesso di distinzione tra i due ordini, come stabilito da Cristo e perpetuato dalla Chiesa. Pertanto, questo saggio si dividerà, metodicamente, nell’analisi dei quattro pilastri principali che sostengono metafisicamente il conflitto: - la metafisica talmudica e
cabalistica, che struttura la concezione ebraica moderna del mondo,
della storia e del Messia.
- la metafisica sufi e islamica, nella figura esemplare del filosofo Al-Farabi, che esprime la sintesi dell’esoterismo islamico e delle sue concezioni emanazioniste. - il processo di secolarizzazione di entrambe queste visioni del mondo, che ha dato origine, da un lato, al moderno Stato di Israele con i suoi fondamenti socialisti, illuministi e cabalistici – e dall’altro ai movimenti rivoluzionari islamici, come la Fratellanza Musulmana, l’OLP e i gruppi jihadisti. - la contrapposizione della visione cristiana, cattolica e tradizionale che, fin dall’incarnazione del Verbo, rompe ontologicamente con ogni tentativo di fondere la trascendenza con l’immanenza, il sacro con il potere temporale, offrendo così la chiave definitiva per comprendere la falsità metafisica di entrambi i progetti. 1 - La metafisica del Talmud e della Cabala Nessuna analisi seria del conflitto tra Israele e Palestina può essere condotta senza comprendere, in modo rigoroso, la metafisica che sostiene la visione talmudica e cabalistica ebraica della realtà. Questa non è, ovviamente una critica degli Ebrei come individui, ma una analisi teologica, ontologica e metafisica dell’ebraismo post-cristiano, così come si è sviluppato dopo il rifiuto dell’Incarnazione del Verbo. Il punto centrale di questa metafisica sta innanzi tutto nel rifiuto assoluto della Incarnazione di Nostro Signore Gesù Cristo. Questo rifiuto non è solo un dato storico o teologico, ma un evento ontologico dalle conseguenze cosmiche. A partire da questo, tutto l’edificio spirituale dell’ebraismo si riorganizza intorno all’attesa di un Messia puramente terreno, politico, militare e imperiale, la cui missione non è redimere le anime, ma instaurare un regno mondano di pace, prosperità e dominazione storica. Nella concezione ebraica, la promessa messianica non si realizza nella persona di Gesù Cristo, proprio perché Egli affermò: “il mio regno non è di questo mondo”. Il messianismo talmudico, invece, esige un regno che sia di questo mondo e che trasformi lo stesso mondo, sul piano temporale, in una espressione del Paradiso. E’ per questo che nella teologia rabbinica il Messia è colui che, con la forza del potere, della guerra, della legge e della politica, riunirà gli Ebrei, distruggerà i loro nemici e instaurerà un’era di dominio, prosperità e sicurezza materiale. Dietro questa concezione vi è un principio metafisico ancora più profondo: il rifiuto della dottrina cristiana della creazione ex nihilo e la sua sostituzione con una ontologia emanazionista, con radici gnostiche, cabalistiche e neoplatoniche. Nella tradizione talmudica, e soprattutto nella Cabala, Dio non crea il mondo dal nulla, ma lo emana dalla sua stessa sostanza. La stessa interpretazione della frase biblica: “Bereshit Bara Elohim” – in principio Dio creò il cielo e la terra – nell’esoterismo ebraico viene manipolata per suggerire che vi fosse un principio anteriore allo stesso Dio Creatore. Questo principio sarebbe una sorta di superessenza indifferenziata, una unità impersonale da cui Dio – qui inteso non come il Dio Uno e Trino della Rivelazione, ma come il demiurgo, l’organizzatore del cosmo – sarebbe emanato. E da questo demiurgo si dispiega tutta la creazione, non come un atto libero, amorevole e sovrano, ma come una necessità ontologica, una effusione dell’essere. In questo modello, la divinità si trova prigioniera del suo stesso effondersi. Frammenti del divino – le cosiddette “scintille” o Klipot vengono imprigionate nel mondo materiale, nel cosmo, nel corpo e nell’anima degli uomini. Pertanto, il dramma metafisico dell’esistenza non è la Redenzione delle anime col Sacrificio di Cristo, ma il salvataggio di queste “scintille” divine tramite pratiche esoteriche, rituali cabalistici, processi di purificazione e ascensione gnostiche. Di conseguenza, lo stesso ordine creato cessa di essere buono, vero e bello in sé, come insegna la metafisica cristiana, e passa ad essere visto come una prigione, una illusione, una emanazione imperfetta. Il mondo, la materia, il corpo, la legge naturale – tutto questo viene percepito come catene che imprigionano la scintilla divina. Da questo deriva inevitabilmente l’egualitarismo ontologico che caratterizza sia l’esoterismo ebraico sia i suoi derivati moderni. In ultima analisi, se tutto è una manifestazione dello stesso essere divino, allora non esistono gerarchie di essere, di bellezza, di verità o di bontà. Questa metafisica conduce, inesorabilmente, al rifiuto della analogia dell’essere, alla distruzione delle gerarchie ontologiche e al rifiuto di qualsiasi trascendenza reale. Dio non è più l’Essere Sussistente in Sé, che crea liberamente dal nulla, mantenendo l’assoluta distinzione fra Creatore e creatura. Al contrario, Dio è solo lo stadio superiore di un processo emanativo, la cui realtà ultima è una unità indifferenziata, senza volto, senza Persona, senza distinzioni. 2 - La metafisica dell’islamismo sufi e la filosofia di Al-Farabi Così come nell’ebraismo talmudico e cabalistico troviamo una metafisica caratterizzata dalla dottrina dell’emanazione, dall’egualitarismo ontologico e dal rifiuto della creazione ex nihilo, l’islamismo - specialmente nella sua branca sufi – condivide principii strutturalmente analoghi, sebbene formulati entro un distinto quadro simbolico e teologico. La comprensione di questo fondamento metafisico è assolutamente indispensabile per comprendere che il moderno conflitto tra Israele e la Palestina non si limita ad una mera disputa sui territori, sulla sovranità o sulle risorse naturali, ma è radicato in visioni gnoseologiche del mondo che fin dalle loro origini si sono costituite come negazione esplicita della teologia cristiana, della Incarnazione del Verbo, della dottrina della grazia santificante e della creazione del mondo dal nulla. Fra i molti pensatori che hanno sintetizzato la metafisica islamica nella sua forma più esoterica spicca la figura di Al-Farabi (870-950 d. C.), uno dei più eminenti filosofi musulmani del Medioevo. Sebbene spesso trattato dalla storiografia accademica come un mero commentatore di Aristotele, in realtà Al-Farabi fu soprattutto un pensatore profondamente impegnato nella integrazione di aristotelismo, neoplatonismo e metafisica islamica, in una sintesi che è essenzialmente gnostica ed emanazionista. La filosofia di Al-Farabi si basa sul principio aristotelico del motore immobile, ovvero sull’idea che ogni essere in movimento debba essere mosso da un altro, e che quindi sia necessario postulare un primo motore, assolutamente immobile, che agisca come causa finale di ogni movimento. Fin qui, la formulazione appare compatibile con la teologia classica. Tuttavia è proprio nella interpretazione di questo motore immobile che Al-Farabi introduce gli elementi fondamentali dell’emanazionismo islamico. Nella sua concezione, l’Essere Primo – che può essere identificato in termini teologici islamici con Allah – è in effetti il fondamento ultimo dell’Essere, ma questo Essere non crea il mondo liberamente, con un atto di volontà sovrana, distinto da sé. Al contrario, il mondo emana da Allah in maniera necessaria, automatica, quasi meccanica. Questa emanazione avviene per fasi successive, formando una gerarchia di intelligenze, anime e sfere celesti, che culmina nella formazione del mondo sensibile e degli esseri umani. Il punto cruciale di questa metafisica risiede nella identificazione parziale, sebbene non assoluta, tra l’intelletto umano e l’intelletto divino. Secondo Al-Farabi, l’essere umano, dotato di un intelletto agente, è capace di apprendere le forme intelligibili che strutturano la realtà. Ora, per lui, questa capacità di apprendere non è una mera partecipazione accidentale all’Essere divino, come avviene nella teologia cristiana, ma una reale identificazione con la natura. In ultima analisi, nell’uomo, l’intelletto agente è una estensione – o meglio una emanazione – della stessa intelligenza divina. Questo è il nucleo metafisico della dottrina sufi: l’uomo è, in un certo senso, Dio in potenza, in quanto porta in sé una particella della stessa sostanza divina. Pertanto, la realizzazione spirituale consiste non nella elevazione della natura per mezzo della grazia, come insegna il cristianesimo, ma nel ritorno della particella divina alla sua fonte originaria, per mezzo di pratiche ascetiche, rituali iniziatici e processi di svuotamento dell’io individuale. In questa concezione, il mondo sensibile, la materia, il corpo e la stessa ragione sono visti come ostacoli, come prigioni che tengono imprigionato lo spirito nella illusione della molteplicità. La verità ultima è l’unità, l’indifferenziazione, il ritorno all’Uno, alla fonte originaria da cui tutto emana. Quindi, la via del compimento non è la via della redenzione, ma la via della dissoluzione del sé, dell’annientamento della identità personale e della reintegrazione nel Tutto. Dal punto di vista epistemologico, la dottrina di Al-Farabi stabilisce che la capacità di astrazione dell’essere umano – ovvero la facoltà di cogliere le essenze universali a partire dalle realtà sensibili – non è semplicemente un segno della struttura razionale del creato, come insegna San Tommaso d’Aquino. Al contrario, questa capacità è la prova che lo stesso intelletto umano è, in essenza, divino. Qui si stabilisce una rottura radicale con la metafisica cristiana. Nella teologia cattolica. La capacità dell’intelletto di cogliere la verità deriva dall’analogia dell’essere: l’uomo conosce nella misura in cui partecipa, per analogia, all’Essere Sussistente di Dio, senza mai confondersi con Lui. La distinzione fra Creatore e creatura è assoluta, ontologica e insormontabile. Ogni partecipazione è analogia no identità. Dio crea liberamente, per amore, a partire dal nulla, e concede alle creature una partecipazione all’Essere, che non è il loro essere proprio, ma un dono assolutamente distinto, anche se costantemente sostenuto dalla Sua volontà. Nella concezione di Al-Farabi - come in tutta la tradizione sufi e gnostica – questa distinzione scompare. La capacità di conoscere è la divinità stessa che opera nell’uomo. Pertanto, conoscere è, in un certo senso, essere Dio. Da ciò consegue questa inevitabile conclusione: se l’uomo è Dio in potenza egli non necessità della Redenzione, del Sacrificio, della Croce, dell’Incarnazione e nemmeno della grazia santificante. Tutto quello che deve fare è percorrere il cammino dell’autoconoscenza esoterica, dell’ascesi, della meditazione e della dissoluzione dell’ego. Questa dottrina ha implicazioni dirette e devastanti nell’ordine sociale e politico, poiché non esiste una reale distinzione tra l’ordine naturale e l’ordine soprannaturale, fra il potere spirituale e il potere temporale, tra la società civile e la società religiosa. L’intera struttura sociale islamica è organizzata come una teocrazia immanente, in cui la legge civile – la sharia – è inseparabile dalla legge religiosa. In questo modello, non esiste il concetto cristiano di un ordine naturale autonomo, retto dalla ragione, dalla legge naturale e dalla corretta amministrazione dei beni temporali. Tutto è sacro perché tutto è divino, e tutto è divino perché tutto emana dall’Uno. Da qui deriva, inevitabilmente, la divisione del mondo in due sfere ontologiche e giuridiche: la Dar al-Islam, o “casa della pace”, che è il territorio in cui la sharia è pienamente applicata; e la Dar al-Harb, o “casa della guerra”, che è tutto il resto del mondo abitato dagli infedeli e destinato, per principio, alla conversione o alla sottomissione. Questa divisione non è solo una strategia politica, ma è l’espressione ontologica della stessa struttura metafisica dell’Islamismo. Pertanto, così come nell’ebraismo talmudico, nell’islamismo sufi – e per estensione in gran parte del pensiero islamico tradizionale, vi è una confusione radicale fra trascendenza e immanenza, fra sacro e politico, fra Cielo e terra. In questo modello, non vi è posto per la concezione cristiana di un ordine civile legittimo, autonomo, razionale e naturalmente ordinato, subordinato alla legge morale, ma distinto dal governo spirituale della Chiesa e dall’ordine soprannaturale della grazia. L’inevitabile risultato di questo modello è il messianismo politico, che si manifesta sia nella forma della jihad, della guerra santa, sia nella forma di progetto di costruzione di una società teocratica, in cui il potere civile non è altro che un braccio della volontà divina, o più esattamente della interpretazione umana di questa volontà, secondo i precetti della sharia. Di conseguenza, è assolutamente impossibile comprendere i conflitti contemporanei in Medio Oriente senza rendersi conto che, alla base delle dispute territoriali vi è una struttura metafisica che, per principio, esige la guerra. Non si tratta di una guerra accidentale, occasionale, frutto delle moderne dispute per le risorse o per l’influenza. Si tratta di una guerra ontologica, la cui radice sta nella stessa concezione del mondo, della divinità e dell’essere umano. E’ proprio questo nucleo metafisico a rendere il conflitto tra Israele e la Palestina una realtà insolubile nell’ambito delle soluzioni meramente diplomatiche, giuridiche o geopolitiche. Quello che è in giuoco non solo una frontiera, un territorio o un trattato. E’ in giuoco la stessa concezione del cosmo, del divino dell’umano e della storia. 3 - Il processo di secolarizzazione: dal messianismo esoterico al conflitto politico moderno Una volta analizzati i fondamenti metafisici dell’ebraismo talmudico e dell’islamismo sufi, diventa possibile comprendere come, a partire da queste strutture spirituali e ontologiche, emergano i movimenti politici moderni che, pur apparentemente laici e secolari, sono nella loro essenza espressioni derivate dagli antichi messianismi, oggi trasfigurati dalla dialettica rivoluzionaria della modernità. In questo contesto, quello che si denomina processo di secolarizzazione non deve essere confuso con una mera perdita della religiosità o con un allontanamento dalla sfera spirituale. Al contrario, si tratta di una mutazione del sacro, una trasposizione dell’orizzonte metafisico nel campo dell’immanenza, in cui le antiche aspirazioni escatologiche, teocratiche e redentive si convertono in progetti politici, nazionalisti, rivoluzionari e imperialisti. Il messianismo permane, ma non più come attesa di un evento escatologico trascendente, bensì come costruzione attiva di un ordine salvifico all’interno dello stesso tempo storico. Dal lato ebraico, questa mutazione assume la sua forma più esplicita nel moderno progetto sionista, che il suo padre intellettuale: Theodor Herzl (1860-1904), sintetizzò nel suo celebre trattato Lo Stato ebraico, le basi politiche, ideologiche e filosofiche per la costituzione di una patria nazionale ebraica. Tuttavia, ciò che Herzl propone non è una restaurazione dell’Israele biblico, né una ripresa della teocrazia mosaica. E’ piuttosto l’edificazione di uno Stato moderno, laico, socialista, naturalista e profondamente illuminista, fondato sui principii del nazionalismo moderno e della sovranità statale, così come concepiti dagli ideologi della modernità europea. Pertanto, il sionismo di Herzl è una secolarizzazione del messianismo talmudico e cabalistico. Se il Messia, nella concezione rabbinica, deve instaurare un regno terreno di prosperità, sicurezza e dominio, allora, in assenza di questo Messia, spetta al popolo ebraico realizzare, con le sue mani, quello che prima era attribuito all’intervento divino. La redenzione messianica si trasforma così in un progetto politico, in una impresa storica, in una forma di ingegneria sociale. Non a caso, il moderno Stato di Israele è nato sotto l’egida diretta delle potenze moderne – in particolare dell’Impero Britannico e dell’Unione Sovietica – e ha goduto dell’appoggio decisivo della famiglia Rothschild, la cui azione nel corso dei secoli illustra in modo esemplare la simbiosi tra le strutture dell’alta finanza internazionale, l’esoterismo cabalistico e i progetti di riconfigurazione geopolitica del mondo moderno. La Dichiarazione Balfour, del 1917, nella quale il governo britannico espresse il suo appoggio alla creazione di una patria nazionale ebraica in Palestina, è la formalizzazione diplomatica di un processo già articolato ai massimi livelli della ingegneria sociale moderna. In questo contesto, la presenza dei Rothschild non fu né casuale né meramente economica. Fu piuttosto l’opera di una stirpe che, fin dalle sue origini, fu profondamente intrecciata con i circoli esoterici dell’ebraismo cabalistico, con la massoneria illuminista e con le strutture finanziarie che alimentarono – e continuano ad alimentare – le dinamiche rivoluzionarie del mondo moderno. E’ essenziale sapere che il sionismo non è un movimento omogeneo. Esso si suddivide in diverse correnti che vanno dal sionismo socialista – maggioritario nella fondazione dello Stato di Israele - al sionismo liberale, religioso, revisionista, nazionalista e perfino tecnocratico. Tuttavia, tutte queste correnti condividono lo stesso presupposto ontologico: la fusione fra potere spirituale e potere temporale, la trasformazione del messianismo in progetto politico, il rifiuto dell’ordine soprannaturale come fondamento della speranza escatologica e la sua sostituzione con la utopia immanente della redenzione storica. Questa struttura metafisica secolarizzata non si limita, tuttavia, alla parte israeliana. In campo islamico, il processo di secolarizzazione assume forme ugualmente messianiche e rivoluzionarie, espresse pragmaticamente nella creazione della Fratellanza Musulmana, nel 1928, realizzata da Hassan al-Banna, e nella successiva formazione della Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP), la cui genesi è strettamente legata alle operazioni del KGB sovietico durante la guerra fredda. Ciò che unisce movimenti tanto apparentemente distinti come il sionismo e la Fratellanza musulmana, non è solo la logica geopolitica, ma soprattutto il fatto che sono entrambi espressioni di una stessa trasfigurazione del sacro in progetto rivoluzionario. Entrambi partono da una metafisica emanazionista che rifiuta la creazione ex nihilo, che nega la caduta dell’uomo, che rigetta la necessità della grazia e della Redenzione operata da Cristo. Entrambi trasformano la speranza escatologica in orizzonte politico, entrambi fondono religione e politica in una unità indissolubile, entrambi costruiscono teocrazie travestite da nazioni moderne, entrambi operano secondo la logica dell’accelerazione rivoluzionaria, in cui è la storia il campo della redenzione e non più l’anima individuale. Nella logica della Fratellanza Musulmana, per esempio, non esiste alcuna separazione tra legge civile e legge religiosa. La sharia non è solo un insieme di precetti spirituali, essa è soprattutto una costituzione politica, civile, economica, penale e militare di tutti i territorii sotto la sovranità islamica. E nella misura in cui il mondo è diviso ontologicamente tra Dar al-Islam (casa della pace) e Dar al-Harb (casa della guerra), tutto i territorii abitati dai non musulmani sono, per definizione, legittimi territorii di espansione, di conquista e di sottomissione, sia attraverso la conversione sia tramite la guerra o l’imposizione di una sottomissione formale (dhimmi). Hamas, come espressione estrema di questo paradigma, non è altro che la manifestazione militarizzata di un messianismo politico che deriva direttamente dalle strutture metafisiche del sufismo e dell’islamismo tradizionali, ora trasposte nella moderna logica rivoluzionaria. La sua azione non è mero terrorismo nel senso banale del termine, ma un jihadismo ontologico. Il cui obiettivo finale non è solo la distruzione dello Stato di Israele, ma la sottomissione del mondo intero all’ordine islamico, in cui non c’è spazio per la distinzione fra sacro e profano, fra Cielo e terra, fra Dio e Stato. Per altro verso, la stessa costituzione dello Stato di Israele, nonostante le sue strutture democratiche e liberali, non sfugge alla stessa logica messianica. La presenza di movimenti sionisti religiosi, l’azione di settori ultraortodossi che, pur condannando il sionismo laico, alimentano aspettative messianiche teocratiche, così come la costante manipolazione delle Scritture per giustificare i progetti di espansione territoriale e di supremazia etnico-religiosa, sono tutte chiare indicazioni che la secolarizzazione qui non significa mera “laicizzazione” nel senso più banale del termine, ma una trasmutazione del sacro in potere politico. Ecco, dunque, il nocciolo della questione: il conflitto tra Israele e Palestina, così come si presenta al mondo moderno, non è altro che l’inevitabile dispiegarsi di due messianismi secolarizzati, entrambi eredi di visioni gnostiche, emanazioniste e antitrinitarie. In questo contesto, la guerra non è un incidente né un problema contingente suscettibile di risoluzione diplomatica; è piuttosto una esigenza ontologica di questi sistemi metafisici, per i quali la redenzione non avviene nell’ordine della grazia, ma nella conquista dello spazio, nel dominio sull’altro, nella imposizione del proprio ordine come orizzonte assoluto della storia. Perciò stesso, qualunque tentativo di analizzare questo conflitto secondo le categorie moderne dei diritti umani, dell’autodeterminazione dei popoli, della sovranità nazionale o dell’equilibrio geopolitico, è condannato al fallimento. Tali categorie sono completamente inadeguate, perché sono il prodotto di una modernità cristiana secolarizzata che presupponeva, almeno alle sue origini, l’esistenza di un ordine naturale governato dalla ragione, dalla legge naturale e dalle legittima separazione fra potere spirituale e potere temporale. Nessuna di queste categorie ha senso all’interno delle visioni del mondo che strutturano metafisicamente sia il sionismo ebraico sia lo jihadismo islamico. Pertanto, ciò a cui si assiste non è solo una guerra in Medio Oriente, ma una guerra tra ontologie, concezioni dell’essere, del mondo e del destino ultimo degli uomini. 4 - Il contrasto assoluto: la visione cristiana di fronte al messianismo gnostico di Israele e Palestina Sulla base dell’analisi qui esposta è inevitabile concludere che tanto il sionismo moderno – frutto della secolarizzazione del messianismo talmudico e cabalistico – quanto lo jihadismo islamico – erede della metafisica sufi e della teocrazia coranica – sono due facce della stessa medaglia ontologica. Entrambe si strutturano sulla negazione dei principii fondamentali che reggono l’ontologia cristiana: la creazione ex nihilo, la assoluta distinzione ontologica fra Creatore e creatura, l’Incarnazione del Verbo, l’unione ipostatica, l’elevazione della natura tramite la grazia e l’economia sacramentale della Chiesa fondata da Nostro Signore Gesù Cristo. Pertanto, è solo alla luce della Rivelazione cristiana che è possibile comprendere, in tutta la sua profondità, l’errore strutturale delle due visioni del mondo e, di conseguenza, la radice metafisica del conflitto che oggi devasta il Medio Oriente. Il cristianesimo, fin dalla sua origine, rompe definitivamente con ogni concezione emanazionista, con ogni dualismo gnostico, con ogni tentativo di fusione panteista o monista fra Dio e il mondo. Il dogma della creazione ex nihilo, definito già nei primi secoli della Chiesa, stabilisce che Dio, Essere Sussistente in Sé, assolutamente semplice, Uno, Trino ed Eterno, crea liberamente tutte le cose a partire dal nulla, con un atto di amore sovrano e di volontà onnipotente. Questo atto creatore non è una emanazione, né una necessità ontologica. Dio non crea perché ha bisogno di traboccare dalla Sua Essenza, né perché esiste un principio superiore o anteriore a Lui. Dio crea per amore e crea esseri che, sebbene ontologicamente dipendenti da Lui, non sono frammenti della Sua Sostanza. La distinzione fra Creatore e creatura è assoluta e insuperabile. Tuttavia, questa distinzione non significa separazione. Dio sostiene costantemente tutte le cose create nell’essere. Ma questo sostentamento non avviene attraverso la confusione ontologica; bensì attraverso la partecipazione. Le creature partecipano all’Essere di Dio, ma non si identificano con Lui. L’essere creato è un dono, non una estensione della divinità. In questo contesto, l’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, possiede una natura spirituale che è elevata dalla grazia e non da qualche processo di autoconoscenza gnostica, di ascetismo sufi o di manipolazione cabalistica. L’elevazione dell’uomo avviene nell’ordine della grazia, che perfeziona la natura senza mai distruggerla o dissolverla. La stessa Incarnazione del Verbo – Dio che si fa veramente uomo senza cessare di essere veramente Dio – è la chiave ontologica che rompe in maniera definitiva con tutte le concezioni gnostiche, sufi, talmudiche e cabalistiche. Nell’unione ipostatica di Nostro Signore Gesù Cristo risiede il punto assoluto di separazione fra il cristianesimo e tutte le altre visioni religiose o esoteriche della storia. Mentre il messianismo ebraico e islamico cercano la fusione fra lo spirituale e il politico, fra il Cielo e la terra, fra Dio e lo Stato, il cristianesimo stabilisce, per istituzione divina, la distinzione essenziale tra i due ordini: “Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”. La Chiesa, come Corpo Mistico di Cristo, è l’unica società perfetta fondata per condurre le anime alla salvezza, attraverso l’amministrazione dei sacramenti, la predicazione della verità e la custodia della Rivelazione. Lo Stato, in quanto società naturale, è ordinato ai beni temporali, subordinato alla legge naturale, ma senza essere mai confuso con la sfera soprannaturale. Tuttavia, questa distinzione non significa neutralità religiosa o laicismo, nel senso moderno e liberale del termine. La civiltà cristiana, così come è fiorita nella Cristianità, è proprio la sintesi armoniosa tra un giusto ordine naturale, fondato sulla legge morale e sulla retta ragione, e un ordine soprannaturale, diretto dalla Chiesa, che conduce le anime alla beatitudine eterna. Il potere temporale, subordinato all’autorità spirituale, amministra i beni di questo mondo, senza mai usurpare per sé la missione soprannaturale della Chiesa. E’ esattamente quest’ordine, fondato sulla gerarchia dell’essere, sulla analogia dell’essere, sulla distinzione tra natura e grazia, che il sionismo e l’islamismo rigettano. Essi sono strutturati su una ontologia egualitaria, monista e gnostica, in cui non c’è distinzione reale fra Dio e il mondo, fra lo spirituale e il politico, fra il Cielo e la terra. Entrambi cercano di stabilire, ognuno a suo modo, il Paradiso in terra, sia con l’edificazione di uno Stato teocratico ebraico, sia con la diffusione della sharia fino ai confini del mondo. Pertanto, entrambi sono forme di eresia escatologica, di messianismo politico, di gnosi applicata alla storia. Ed è precisamente per questo che il conflitto tra Israele e Palestina non può essere risolto con mezzi umani. Qui non si tratta di un problema di frontiere, di diplomazia o di trattati di pace. Si tratta di un problema ontologico, di una falsa concezione dell’essere, della creazione, della storia e del destino ultimo dell’uomo. In questo contesto, il cristianesimo non offre una terza via tra Israele e Palestina, offre invece l’unica vera via che trascende radicalmente entrambe le false alternative: la via dell’Incarnazione, della Redenzione, della Croce, della grazia e della Chiesa. Mentre i messianismi gnostici si divorano a vicenda in guerre interminabili, nell’illusione di instaurare, con la spada o con la legge, il regno di Dio sulla terra, la Chiesa proclama che il Regno di Dio “non è di questo mondo”. Il Regno è presente sacramentalmente nella Chiesa mentre siamo in pellegrinaggio in questa valle di lacrime, e si consumerà nella gloria dopo il Giudizio finale. Qui risiede la distinzione assoluta. Mentre gli esoterismi ebraico e islamico – così come le loro versioni secolarizzate nel sionismo e nel jihadismo – cercano la redenzione nel tempo, il cristianesimo annuncia che la redenzione è un evento soprannaturale operato da Cristo sulla Croce e perpetuato sacramentalmente nella Chiesa fino alla fine dei tempi. Nessuna ingegneria politica, nessun movimento rivoluzionario, nessuna jihad, nessuno Stato messianico può sostituire ciò che Dio, nella Sua infinita misericordia, ha realizzato nella Persona del Verbo Incarnato. Pertanto, ciò che in sostanza si osserva non è solo un conflitto storico, ma la manifestazione visibile della guerra spirituale che ha sempre opposto il Regno di Dio alle forze della rivoluzione gnostica. Israele e Palestina, ciascuno a suo modo, rappresentano due espressioni storiche di questa gnosi perenne, che fin dall’antichità cerca di usurpare il posto di Dio, di costruire la Torre di Babele, di stabilire sulla terra ciò che può essere concesso solo nell’eternità. E’ per questo che, mentre il mondo si divide tra falsi dualismi: pro Israele o pro Palestina, pro Occidente o pro Islam, pro sionismo o pro jihadismo, l’unica posizione veramente cristiana è il rifiuto radicale di entrambe le alternative e la totale e incondizionata adesione al Regno di Cristo, che non è di questo mondo, ma che governa sovrano su questo mondo e sul mondo venturo. Conclusione generale Il conflitto tra Israele e Palestina non è, nel suo nucleo più profondo, una disputa di terre, di frontiere o di diritti civili. E’ invece uno scontro storico tra due messianismi gnostici, entrambi derivati da concezioni metafisiche che negano i fondamenti della ontologia cristiana. Tanto il sionismo moderno, erede della Cabala, del Talmud e dell’illuminismo rivoluzionario, quanto lo jiadismo islamico, espressione politico-militare della metafisica sufi e della teocrazia coranica, sono, in ultima analisi, tentativi di costruire in terra un Paradiso che può esistere solo in Cielo. Entrambi rigettano l’Incarnazione, entrambi negano la Croce, entrambi disprezzano la grazia, entrambi confondono il Creatore con la creatura, lo spirituale col politico, il Cielo con la terra. In questo panorama, l’unica risposta vera è quella che la Chiesa, fin dagli Apostoli, proclama ininterrottamente: c’è salvezza solo in Nostro Signore Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, unico mediatore fra Dio e gli uomini, unico Re la cui sovranità si esercita già in questo mondo nel governo invisibile ma reale della Chiesa e che si consumerà nella gloria quando Egli verrà a giudicare i vivi e i morti e a stabilire definitivamente il Suo Regno, in cui non ci saranno mai guerre, né lacrime, né dolore, ma solo la perfetta visione dell’Essere, nella beatitudine eterna dei giusti. |