Siamo alla vigilia della legalizzazione

dell’omicidio del consenziente?



di Fabio Fuiano
Pubblicato su Corrispondenza Romana









Sembra che la strategia dell’Associazione Luca Coscioni stia per raggiungere il proprio ultimo fine.
Finora, i casi a cui aveva dato risalto nella sua battaglia per la legalizzazione di eutanasia e suicidio assistito, riguardavano persone che possedevano i requisiti stabiliti dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 242/2019 ma che allo stesso tempo avevano quella minima autonomia per potersi auto-somministrare il farmaco letale messo a loro disposizione. In questi casi, dunque, era il malato stesso ad uccidersi, motivo per cui tale atto si configurava effettivamente come un suicidio (l’atto finale che provocava la morte era eseguito dal paziente stesso) assistito (i mezzi venivano procurati al malato da terzi) e la sentenza verteva sulla legittimità costituzionale dell’art. 580 del Codice Penale per escludere proprio la punibilità di chi agevola l’esecuzione del suicidio.

Ma l’Associazione punta ora più in alto e stavolta si avvarrà di un caso ancor più particolare: una donna di 55 anni, affetta da sclerosi multipla progressiva, completamente paralizzata e mantenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale. Come loro stessi asseriscono, la donna, pur possedendo i requisiti per l’accesso al suicidio assistito, si trova in una condizione in cui «non è fisicamente in grado di assumere autonomamente il farmaco letale: è completamente paralizzata dal collo in giù, ha difficoltà nel deglutire e dipende dai suoi caregiver per tutte le attività quotidiane».

Non è più quindi all’articolo 580 c.p., ovvero sull’aiuto al suicidio, che si punta, ma direttamente al 579 c.p., che vieta l’omicidio del consenziente, ultimo baluardo da demolire per permettere all’eutanasia attiva (quella passiva, per omissione di trattamenti vitali, è già legale a causa dell’iniqua legge 219/2017 sulle DAT) di entrare a pieno titolo nell’ordinamento giuridico italiano. Il 30 aprile scorso, infatti, il tribunale fiorentino ha sollevato questione di legittimità costituzionale proprio sull’articolo 579 del Codice penale e il prossimo 8 luglio è stata fissata un’udienza dinnanzi alla Corte Costituzionale in merito.

L’articolo 579 sancisce che «chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con la reclusione da sei a quindici anni» e per il momento, non ammette alcuna eccezione, a differenza di quanto ormai da tempo avviene per l’articolo 580.
L’avvocato Filomena Gallo ha infatti affermato: «‘Libera’ (nome di fantasia ndr) potrebbe procedere con l’aiuto al suicidio perché ha i requisiti previsti dalla sentenza Cappato, ma nella sua condizione non è più in grado di autosomministrarsi il farmaco e ha bisogno che sia un medico a farlo per lei. Motivo per cui per la nostra assistita abbiamo chiesto al giudice del tribunale di Firenze di autorizzare il suo medico a procedere con la somministrazione del farmaco che l’azienda sanitaria aveva ritenuto idoneo, e in subordine di sollevare l’incidente di costituzionalità sul reato di omicidio del consenziente previsto dal Codice penale. Il giudice fiorentino ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 579 del Codice penale nella parte in cui non esclude la punibilità del medico che attua, con le modalità della legge 219/2017, articoli 1 e 2, la volontà suicidaria di un paziente nelle condizioni sopra descritte, sottolineando il possibile contrasto con gli articoli 2, 3, 13 e 32 della Costituzione italiana».

Già il 26 marzo scorso quattro malati, affetti da patologie irreversibili, avevano ribadito davanti alla stessa Corte il loro “no” all’abolizione del sostegno vitale dai requisiti di non punibilità del suicidio assistito.

Anche per questa udienza, hanno depositato atto di intervento in giudizio due malati che, trovandosi in questa stessa situazione, chiedono allo Stato di continuare a garantire la loro dignità tramite un divieto assoluto di eutanasia. I due malati, una signora di Roma e un signore di Perugia – assistiti dall’avv. Mario Esposito, del foro di Roma, e dall’avv. Carmelo Leotta, del foro di Torino – «chiedono di intervenire in giudizio per spiegare che, a loro tutela, è necessario conservare il divieto penale di qualsiasi intervento del terzo soppressivo della vita dei malati che pur ne facciano richiesta e implementare il sistema delle cure e dell’assistenza alle famiglie».

La battaglia si fa quindi sempre più dura: ben sette proposte di legge su questi temi sono state sottoposte da esponenti di sinistra al vaglio della Camera tra la XVIII e XIX legislatura. Di queste solo la C. 3101 denominata “Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita”, promossa dall’on. Giorgio Trizzino (Misto) è stata approvata alla Camera il 10 marzo 2022, senza però trovare seguito al Senato.
Tale stasi a livello nazionale, ha portato le singole regioni a fughe in avanti e, dopo l’iniziativa con cui la regione Toscana ha legalizzato il suicidio assistito, la pressione psicologica sul governo italiano è arrivata ad un punto tale che in questi giorni si sta lavorando all’elaborazione di un nuovo disegno di legge che dovrà essere discusso entro il 17 luglio.

Lo scorso 24 giugno, l’avvocato Giulia Bongiorno ha illustrato le caratteristiche di una prima bozza, non ancora pubblica ma che ha fatto già insorgere i paladini dell’omicidio di Stato.
Secondo la Presidente leghista della commissione Giustizia, «la bozza riafferma il diritto alla vita, non apre al suicidio libero e non prevede l’intervento diretto del Servizio sanitario nazionale […]. Chi sceglie la morte medicalmente assistita potrà ricevere aiuto da una persona di fiducia anche in ospedale, senza essere costretto a uscire dalla struttura».
In base al nuovo disegno di legge, si prevede l’istituzione di un Comitato nazionale di valutazione etica, composto da sette membri tra giuristi, medici, psicologi e bioeticisti, chiamato a decidere in massimo 120 giorni se un paziente possa o meno accedere al suicidio. In caso di diniego, la persona interessata non potrà presentare domanda per i successivi quattro anni. Inoltre, il paziente dovrà necessariamente essere inserito in un percorso di cure palliative. Le opposizioni sono insorte parlando di una legge il cui intento è quello di impedire, più che di regolare. Alcuni hanno anche puntato l’attenzione sulla presenza nella bozza di un riferimento al fatto che la vita sarebbe un diritto da tutelare «dal concepimento alla morte naturale» andando pertanto a minare il quadro di principio su cui si fonda la legge 194.

Al di là di come stiano realmente i fatti, al momento non essendovi un testo ufficiale non sembra possibile dare un giudizio preciso. Ciononostante, un ammonimento è doveroso.
Già tre anni fa, in un suo articolo, il filosofo Tommaso Scandroglio metteva in guardia sul fatto che «la ratio di una legge chiede di perfezionarsi, perché la natura di qualsiasi ens, legge compresa, tende al suo perfezionamento. Se infatti la natura è fine, la natura di una legge tenderà ad essere sempre più sé stessa, ad attualizzarsi sempre più conformemente alla propria forma giuridica. Questo comporterà che la sua ratio esigerà di trovare sempre nuovi modi per incarnarsi, esigerà una sua progressiva espansione. Ecco perché […] i paletti che molti parlamentari hanno tentato di inserire nell’articolato di una legge ingiusta al fine di limitarne l’iniquità sono saltati tutti, proprio perché erano in contraddizione con la ratio medesima della legge, la quale nel suo intrinseco dinamismo ha portato all’eliminazione di qualsiasi barriera contenitiva».

Se la bussola dei redattori di questa nuova proposta non sarà quella della legge morale naturale, come ricordato da Papa Leone XIV, essa sarà inevitabilmente iniqua e, per quanti “paletti” si possano inserire, raggiungerà in modo fatale il proprio ultimo fine, sancendo per legge l’esplicita trasgressione del V comandamento.

Ai cattolici di buona volontà il compito di continuare a sperare e a combattere.






 
luglio 2025
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