Il cardinale Burke, il «vetus ordo», Tolkien e gli hobbit.

Perché anche noi siamo nella Terra di Mezzo



di Robert B. Greving





Pubblicato sul sito di Aldo Maria Valli






Il cardinale Raymond Burke celebra la Messa tradizionale



In un recente discorso alla Latin Mass Society di Inghilterra e Galles, il cardinale Raymond Burke ha chiesto un ritorno al «Summorum Pontificum» e un maggiore accesso alla Messa tradizionale.
Ha osservato che la sacra liturgia è la «massima espressione della nostra vita in Cristo e, pertanto, il vero culto non può che riflettere la vera fede».
Ha ricordato inoltre che già ai tempi di san Paolo gli abusi nella celebrazione dell’Eucaristia erano «direttamente correlati alle divisioni dottrinali e morali tra i membri della comunità».

Vorrei andare oltre e affermare che la migliore speranza della Chiesa per la sua santificazione ed evangelizzazione risiede proprio nella Santa Messa tradizionale.

Perché? Perché la liturgia esprime una relazione fondamentale. «Essa non solo insegna la verità, ma forma le anime. Nel suo simbolismo riccamente stratificato, nella sua poesia drammatica e nella sua azione rituale, la Messa plasma l’immaginazione tanto quanto illumina l’intelletto; chi vi partecipa regolarmente apprende non solo fatti o concetti, ma un modo distinto di interagire con Dio, con il prossimo e con tutta la creazione».

Questa citazione non è del cardinale Burke; è tratta dal nuovo libro del professor Ben Reinhard, «The High Hallow: Tolkien’s Liturgical Imagination».

E questo ci porta agli hobbit.

Il libro di Reinhard offre un’eccellente panoramica della mitologia della Terra di Mezzo di Tolkien e dimostra che il potere e il fascino di Tolkien derivano dalla sua consapevolezza liturgica, nel rispetto del giusto ordinamento della creazione rispetto al Creatore.
Reinhard sostiene (a mio avviso, in modo convincente) che questo è il motivo per cui le opere di Tolkien risuonano così profondamente in così tante persone. È anche il motivo per cui la Terra di Mezzo colpisce così profondamente i lettori, mentre la Messa novus ordo non lo fa, e forse nemmeno può farlo.

Affinché una mitologia funzioni, ovvero rifletta in modo accurato e convincente la relazione tra un Creatore e la creazione, deve basarsi sulla verità ed esprimerla in modi intuitivamente sensati. Deve esserci non solo una verità intellettuale, ma anche una verità immaginativa. Quanto più una mitologia corrisponde sia alla verità intellettuale sia a quella immaginativa, tanto più quella mitologia sarà riuscita, ovvero persuasiva e appagante.

Potremmo paragonare il cattolicesimo, come spiegazione della creazione, a una «mitologia», ovviamente in senso lato, perché è verità.
Anche il legendarium della Terra di Mezzo di Tolkien è una mitologia. Non è realtà fattuale, perché la creazione e le creature in essa presenti non esistono realmente, ma è qualcosa di vero nel senso che il rapporto tra quella creazione e quelle creature con il loro Creatore (ovvero, la loro liturgia) è accurato. E quindi «funziona».

Per Tolkien, la liturgia era quella della Messa tradizionale, e permeava la sua vita. L’aveva memorizzata ed era in grado di citare ampiamente i testi liturgici, spesso usandoli in lettere e conversazioni. Quella liturgia per lui rappresentava davvero molto, se non tutto. Non avrebbe potuto vedere il mondo in nessun altro modo.

Il «Silmarillion» dimostra che l’elemento più importante della liturgia è il concetto di «liturgia cosmica, cioè l’idea che tutta la creazione partecipi a un inno di lode al Creatore che si dispiega all’infinito».
La caduta dell’isola edenica di Númenor avviene perché il malvagio valar (angelo) Sauron corrompe la liturgia, rivolgendola verso l’interno per adorare Morgoth (il Signore dell’Oscurità).
Nella Terra di Mezzo un’ombra di vera adorazione permane, almeno tra alcuni elfi, ma per il resto, senza Rivelazione, e ancor meno Incarnazione, nessuna vera adorazione è possibile.

Personaggi centrali di questa guerra, gli hobbit vivevano «al riparo, ma avevano smesso di ricordarsene», come afferma Aragorn. Ignoravano i loro benefattori spirituali e quindi non nutrivano alcun tipo di culto. Per uscire dal loro compiacimento, gli hobbit dovettero incontrare la vera religione, il che significò il contatto con il misterioso e il maestoso.
Come osserva Reinhard, «quasi ogni avventura degli hobbit avviene così», nel mistero e nel maestoso.

Affermò lo stesso Tolkien in una lettera: «Ne “Il Signore degli anelli” il conflitto non riguarda fondamentalmente la libertà, sebbene questa sia naturalmente implicata. Riguarda Dio e il suo esclusivo diritto all’onore divino».

Come ha detto il cardinale Burke nel suo discorso, «solo osservando e onorando il diritto di Dio a essere conosciuto, adorato e servito come Egli comanda, l’uomo trova la sua felicità».

Cosa c’entra tutto questo con la Messa vetus ordo e novus ordo?

L’appello di Tolkien non è tanto all’intelletto – sebbene, come sostiene Reinhard e credo anch’io, sia intellettualmente coerente con la verità – quanto all’immaginazione.
In un mondo e in un’epoca in cui gli uomini hanno abbandonato l’idea di verità intellettuale, è attraverso l’anima e nell’immaginazione che possono, e devono, essere raggiunti.

Tolkien non gradiva i cambiamenti nella liturgia introdotti dopo il Concilio Vaticano II. Forse era la solita avversione al cambiamento, naturale in un uomo della sua età.
Ma credo che fosse perché Tolkien era un uomo la cui intera vita professionale e personale era così permeata dal potere dell’immaginazione che intuì istintivamente che i cambiamenti avrebbero rovinato la capacità dell’uomo di rispondere al suo Creatore.

È difficile, forse impossibile, raggiungere l’uomo moderno attraverso il solo intelletto. Il suo intelletto è stato così deformato dalla cultura e dall’educazione che le argomentazioni razionali raramente funzionano. Bisogna andare oltre l’intelletto, più in profondità. Bisogna penetrare nel suo cuore e nella sua anima, cioè nella sua immaginazione, nel regno del simbolismo, dei rituali, delle cerimonie e dei gesti, un mondo che inconsciamente, ma con forza, accogliamo dentro di noi.

Non serve a nulla dire all’uomo moderno che durante la Messa sta accadendo qualcosa di meraviglioso o di sacro. La sua mente è stata praticamente intorpidita. Deve percepire che in questo c’è qualcosa di profondo. Bisogna fare appello al suo senso di meraviglia e stupore, al suo senso del numinoso, di qualcosa di diverso.

Come dice Reinhard nel suo libro, il problema dell’uomo moderno è che non è né pagano né cristiano, ma post-cristiano; tagliato fuori dalla bellezza, dal significato e dalla «meraviglia delle cose». Al posto di un mondo dominato dal materialismo, dalla meccanizzazione e da una sete di potere sempre crescente, Tolkien ci ha dato un mondo definito da meraviglia, riverenza e sacrificio.

In un’epoca in cui sempre meno cattolici rimangono fedeli alla propria fede e sempre più persone si classificano come “none” [in inglese, persone che non si identificano in alcuna religione, N.d.T.] questo appello è fondamentale.

Ecco qual è, per me, è la differenza significativa tra il vetus e il novus ordo.
Se incontri l’uomo moderno lì «dove si trova», resterà lì. Se gli dai musica alla moda, parole alla moda, paramenti alla moda, decorazioni alla moda, otterrai un cattolico alla moda. Deve essere sollevato da sé stesso.

La liturgia novus ordo non fa questo. In essa c’è poca differenza tra ciò che l’uomo moderno sperimenta a Messa e ciò che sperimenta al di fuori di essa. Il linguaggio è lo stesso, l’architettura è la stessa, le azioni sono le stesse, l’atmosfera generale è la stessa, quindi anche l’uomo rimane lo stesso. Dato che la Messa novus ordo usa il linguaggio, le forme e l’approccio del mondo moderno, la Chiesa sta combattendo la battaglia alle condizioni del nemico.

Affinché l’uomo moderno possa raggiungere una corretta consapevolezza liturgica, deve incontrare il misterioso e il terribile, proprio come fecero gli hobbit.

Come ogni esperienza immaginativa, anche quella della Messa deve essere ripetuta affinché penetri più a fondo. Ho letto «Il Signore degli anelli» diverse volte, e ogni volta sperimento qualcosa di più. Vedo verità diverse e ho intuizioni più profonde. Questo perché lì dentro c’è così tanto.
Lo stesso vale per il rito antico. La vostra prima reazione probabilmente, come con una prima lettura de «Il Signore degli anelli», sarà che lì c’è qualcosa di strano, forse persino di estraneo a voi. Qualcosa, tuttavia, di diverso e persino allettante. Ed ecco che attraverso la rilettura, con una frequentazione ripetuta, il rito vi catturerà, fino a diventare parte della vostra coscienza e del vostro essere, come succede con la lettura di Tolkien.

Tutto ciò non è possibile in una Messa che prevede un’infinità di preghiere e risposte, rese ancora più caotiche dalle improvvisazioni del sacerdote, del direttore del coro e di altri «animatori». In quel rito sei troppo attivo perché qualcosa possa entrare in te in profondità.

Tolkien chiamava questo potere sfuggente dell’immaginazione «fae». È insito nella tradizione, ed è per questo che Tolkien la considerava la chiave di tutti i miti pagani, e vedeva molti di essi come una ricerca della Verità racchiusa nel cattolicesimo. Senza di essa, nessuna storia, incluso il Vangelo, può sostenerci. Affermava: «Fae è necessaria per la salute e il completo funzionamento dell’Umano quanto la luce del sole per la salute fisica».

O, come dice il cardinale Burke in un altro modo: «La fonte delle difficoltà è la perdita della conoscenza della sacra tradizione come veicolo insostituibile di trasmissione della sacra liturgia».

Reinhard sostiene che Tolkien si è riappropriato dell’immaginazione nel mondo moderno. Ecco perché lo definisce «il più grande evangelizzatore fantasioso del ventesimo secolo». Concordo.
Se la Chiesa vuole riappropriarsi della sua capacità evangelizzatrice, anch’essa deve riappropriarsi dell’immaginazione dell’uomo.

Non so se il cardinale Burke abbia letto Tolkien, ma i due sono sulla stessa lunghezza d’onda.


 





 
luglio  2025
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