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La
vicenda del blog “Messainlatino”
luglio 2025
e il mercato dell’informazione ![]() Comportamento deviante La motivazione fornita è la solita: violazione della policy contro l’hate speech [discorso di odio]. Quale contenuto specifico abbia provocato l’intervento non è dato sapere. Forse un articolo critico sulle teorie gender, forse le rivelazioni sulle motivazioni (clamorosamente smentite da recenti documenti) che hanno portato alle restrizioni della Messa tridentina. Poco importa: la decisione è stata presa, il blog è stato oscurato. A molti, comprensibilmente, questo fatto è apparso scandaloso. Personalmente, pur ritenendo ingiusto il trattamento subito dal blog e assai deplorevole il comportamento di Google, vorrei sottolineare un aspetto sulla libertà di stampa (e di parola) negli ordinamenti liberali che viene spesso frainteso. Lo dico subito e senza girarci intorno: in un sistema libero Google ha il diritto di sospendere il blog così come il “Corriere della sera” ha il diritto di non pubblicare una notizia o un articolo ritenuti sconvenienti o non condivisi e così come tu [Valli] hai il diritto di non ospitare nel tuo blog un mio eventuale sproloquio (inclusa, naturalmente, questa lettera). Non è questa la censura in senso proprio. È esercizio di libertà editoriale, se non fosse che Google non è un editore e se da un lato non si assume (né vuole assumersi) le responsabilità proprie degli editori, dall’altro pretende di sindacare cosa si può e non si può scrivere sulle sue piattaforme. Ha, tuttavia, a mio avviso, diritto di farlo così come è diritto di noi utenti criticare anche aspramente le politiche censorie di Google ed eventualmente boicottarne i servizi. Il problema, in realtà, non è di per sé, la censura di Google. Il problema nasce quando Google — insieme a Meta, YouTube, X, ecc. — detiene un potere di fatto monopolistico, e inibisce ogni canale alternativo. È qui che la questione privata diventa pubblica. Quando chi controlla l’accesso alle informazioni agisce in modo coordinato, selettivo, ideologico, e impedisce — per legge o per egemonia — la libera espressione di certe idee. In un articolo del 13 aprile del 1948 sul “Corriere della sera” (“Chi vuole la libertà”) Luigi Einaudi ammoniva dal pericolo che chi possiede tutti i mezzi, sia esso “un solo colossale monopolista privato” o lo Stato, possa minare le libertà dei singoli. D’altronde, come scriveva von Hayek, “chi possiede tutti i mezzi stabilisce tutti i fini”; per citare un altro liberale, von Mises, se tutte le cartiere e tutte le tipografie appartenessero allo Stato (o ad un unico monopolista) non vi sarebbe alcuna libertà di stampa. In definitiva, la libertà di stampa è tale soltanto quando chiunque abbia qualcosa da dire possa fondare un giornale o aprire un blog o possa scrivere un libro per dirlo: nessuno ha il diritto di essere ospitato da Google, ma tutti devono avere la possibilità di trovare (o creare) uno spazio alternativo per esprimersi. La libertà non esige che tutti i media diano spazio a tutte le opinioni, ma solo che nessuno sia impedito con la forza dal poterle esprimere. Oggi, purtroppo, l’impedimento non è più sempre diretto, esplicito, violento; è più sottile, tecnologico, dettato da algoritmi, ma è altrettanto efficace di quello realizzato con la forza con l’effetto che chi dissente dal sentire comune dovrà correre il rischio di vedere oscurato, disattivato, depotenziato il proprio canale. L’autocensura, in questo sistema, non è un obbligo giuridico ma diventa spesso una scelta dettata dalla paura dell’esclusione. Ritengo la decisione di Google ingiusta, ideologica e culturalmente dannosa; da liberale, tuttavia, non contesto il fatto che Google possa astrattamente prendere tale decisione. Contesto il fatto che il mercato dell’informazione online sia oggi così concentrato da rendere quasi irrilevante la distinzione tra un monopolio pubblico e un monopolio privato, con il concreto rischio di perdere la libertà di espressione costituzionalmente garantita: azzerato il pluralismo dei mezzi, anche il pluralismo delle idee rischia di diventare una finzione. |