I sacerdoti di Taybeh

contro i nuovi attacchi dei coloni israeliani



di Marie-Armelle Beaulieu



Pubblicato sul sito  Terra Santa Net
 




L’incendio appiccato dai coloni israeliani
ha raggiunto i piedi dell’abside della chiesa di San Giorgio, a Taybeh.
(foto Collettivo di Taybeh)




Il paese cristiano di Taybeh, in Cisgiordania, è nel mirino dei coloni israeliani. Agli attacchi sporadici dell’ultimo anno hanno fatto seguito provocazioni quotidiane.
In una dichiarazione congiunta, i tre sacerdoti del villaggio hanno lanciato un appello alla comunità internazionale.

In una dichiarazione congiunta inviata ai media arabi martedì 8 luglio, i sacerdoti delle tre confessioni cristiane di Taybeh – greco-ortodossa, cattolica latina e melchita (cioè greco-cattolica) – denunciano «con la massima fermezza» una serie di attacchi da parte di coloni israeliani contro il loro villaggio, i suoi abitanti, i terreni agricoli e i luoghi sacri.

La dichiarazione è firmata dai padri Daoud Khoury, Jack-Nobel Abed e Bashar Fawadleh.
Fa seguito all’incendio scoppiato lunedì 7 luglio nei pressi del cimitero di Taybeh e della chiesa bizantina di San Giorgio (Al-Khader) che risale al V secolo, uno degli edifici religiosi più antichi della Palestina. Il peggio è stato evitato grazie alla vigilanza degli abitanti del villaggio e al rapido intervento dei vigili del fuoco, ma i sacerdoti denunciano una situazione divenuta «insostenibile».

Questo attacco si inserisce nella serie di atti, molestie e provocazioni documentate nel corso di vari mesi in questo villaggio cristiano situato a est di Ramallah.
Diversi incidenti erano già stati segnalati nella primavera del 2024: intrusioni di coloni in proprietà agricole, saccheggi nelle piantagioni, spari in aria, costruzione illegale di avamposti, il tutto senza l’intervento delle forze di sicurezza israeliane.
Alla fine di giugno, è stata attaccata anche una casa presso uno degli ingressi del villaggio.


L’antica Efraim, villaggio cristiano

Taybeh, l’antica Efraim biblica, dove il Vangelo di Giovanni (11,54) colloca un momento chiave nella vita di Gesù, è l’ultima località interamente cristiana della Cisgiordania. I suoi circa 1.300 abitanti vivono principalmente di agricoltura, in particolare della coltivazione degli ulivi, e di piccole attività artigianali a conduzione familiare.

Secondo il comunicato, la metà orientale del territorio comunale oggi è sotto costante pressione. Da giovedì 3 luglio, i coloni israeliani vengono a far pascolare le loro mandrie sui terreni delle famiglie, distruggendo i raccolti e bloccando l’accesso ai terreni. Gli ulivi, un vero pilastro dell’economia locale, sono sistematicamente danneggiati.

«I coloni vengono a far pascolare le loro mucche sui nostri terreni. Sono armati, non osiamo avvicinarci. Ma se non diciamo nulla, rischiamo che creino un precedente», ha dichiarato un abitante del villaggio.



Le mucche come nuovo strumento di colonizzazione

Questa tecnica viene utilizzata alla periferia di un numero crescente di villaggi della Cisgiordania.
«Arrivano sui terreni di un villaggio con una mandria. Nessuno dice loro nulla (sono sistematicamente armati – ndr). E giorno dopo giorno si avvicinano. Lo fanno ripetutamente, poi un giorno arano la terra e dicono: “È nostra”. Li abbiamo visti fare lo stesso su terreni più elevati, in aree più agricole. Adesso è il turno di Taybeh».

L’incendio ai piedi dell’antica chiesa del villaggio è stato l’occasione per la dichiarazione dei sacerdoti, in cui denunciano anche la comparsa di avamposti illegali, creati con il sostegno o la compiacenza delle autorità israeliane. Questi insediamenti fungono da base logistica per nuovi attacchi, alimentando un clima di paura e molestie quotidiane.


Un appello al mondo cristiano e alla comunità internazionale

I firmatari del testo invitano le Chiese di tutto il mondo, i diplomatici di stanza a Gerusalemme e in Palestina e le organizzazioni internazionali a uscire dal loro riserbo e chiedono:
•    l’apertura di un’indagine indipendente sugli incendi e le aggressioni;
•    una concreta pressione diplomatica sulle autorità israeliane perché fermino le incursioni;
•    l’invio di delegazioni ecclesiastiche e internazionali sul campo per documentare le violazioni;
•    sostegno economico e legale agli abitanti per rafforzare la loro resilienza.

«La Terra Santa non può restare viva senza la sua popolazione autoctona – scrivono –. L’espulsione dei contadini, la minaccia contro le chiese e l’accerchiamento dei nostri villaggi sono tutte ferite inferte al cuore di questa nazione».


Una mobilitazione ancora troppo timida

Dietro le quinte, le personalità ecclesiastiche stanno iniziando a reagire.
A metà giugno, una delegazione di leader religiosi europei ha visitato Taybeh per esprimere la propria solidarietà. Ma le iniziative rimangono sporadiche.

Da parte israeliana, le autorità non hanno risposto ufficialmente a queste accuse. L’esercito afferma in generale di «garantire la sicurezza di tutti i cittadini», ma in realtà non sono state prese misure concrete per proteggere Taybeh dalle incursioni o per smantellare gli avamposti. E per i coloni israeliani il senso di impunità è totale.

«Quando diamo ordini di distruggere gli avamposti dei coloni, dobbiamo anche emettere ordini di distruzione nei villaggi palestinesi “per precauzione”», ha dichiarato un ufficiale in condizione di anonimato.

Mentre la situazione in Cisgiordania continua a deteriorarsi in un contesto regionale esplosivo, Taybeh sta suo malgrado diventando un simbolo: quello di una presenza cristiana ancestrale che teme per la propria sopravvivenza nelle sue terre.

I sacerdoti ne sono consapevoli. La loro dichiarazione si conclude con un’affermazione netta: «Restiamo saldi nella nostra fede e nella nostra speranza. Verità e giustizia trionferanno, questo è certo».






 
luglio  2025
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