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Conoscere meglio la Chiesa: I Riti nella Chiesa ![]() Rito greco-ucraino celebrato nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma Dopo aver considerato,
l’estate scorsa, i sette Patriarcati cattolici detti
«orientali», adesso vedremo di scoprire l’insieme delle
particolarità rituali e territoriali della Chiesa.
Per prima cosa vedremo i diversi Riti. Il «rito» indica comunemente l’ordine della preghiera ufficiale o norma dell’azione liturgica fissata d’autorità e che si esprime pubblicamente nella liturgia. Nel III secolo comparvero i primi segni di differenti liturgie nelle tre grandi metropoli dell’Impero: Roma, Alessandria e Antiochia. Nel IV secolo si delinearono le zone liturgiche costituite secondo le grandi divisioni politiche dell’epoca, in cui finirono col prevalere le forme liturgiche che sono alla base dei riti attuali. Il Rito Latino In Occidente, la liturgia praticata a Roma si impose universalmente. L’antica liturgia gallicana, ampiamente diffusa e che fornì numerosi elementi alle liturgie locali e anche alla liturgia romana, venne rimpiazzata, a partire dal tempo di Carlo Magno, dalla liturgia romana. Lo stesso avvenne, nell’XI secolo, per la liturgia ispanica o mozarabica, vicina per certi aspetti alla liturgia gallicana. Essa fu ripresa nel XVI secolo in una cappella della Cattedrale e in alcune parrocchie di Toledo, dove si mantiene ancora. Nell’arcidiocesi di Milano e in diverse parrocchie della diocesi di Bergamo, Novara, Pavia e Lugano, la liturgia ambrosiana, riorganizzata da San Carlo Borromeo, è tuttora in vigore. Diverse particolarità delle liturgie locali furono soppresse dal Concilio di Trento, perché da più di due secoli non avevano più alcuna autorità; tuttavia, alcune sono sopravvissute fino al concilio Vaticano II: nell’arcidiocesi di Braga, Portogallo (Rito di Braga) e nell’arcidiocesi di Lione, Francia (Rito Lionese), e in alcune famiglie religiose, come i Domenicani e i Certosini (Rito domenicano e Rito certosino). I Riti orientali Il concetto di «Rito» in senso stretto è riservato alle azioni liturgiche. Il Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, promulgato il 18 ottobre 1990, presenta una nozione più ampia: che comprende tutto il «patrimonio liturgico, teologico, spirituale e disciplinare» delle singole Chiese Orientali. Questo patrimonio trae la sua origine in una delle seguenti tradizioni: alessandrina, antiochena, armena, caldea e costantinopolitana. Tre di esse sono nate nell’Impero Romano; l’alessandrina e la costantinopolitana in Cappadocia, l’antiochena a Gerusalemme; due sono nate nella periferia dell’Impero: la caldea in Mesopotamia e in Persia; l’armena per gli Armeni. La tradizione alessandrina ha avuto uno sviluppo particolare in Etiopia, dove ha subito delle influenze antiochene; La tradizione costantinopolitana o bizantina si è conservata, senza subire profonde modifiche, nelle Chiese sorte dallo stesso Patriarcato. Sia la tradizione alessandrina sia la tradizione antiochena, nelle comunità fedeli al Concilio di Efeso e di Calcedonia, furono gradualmente sostituite, dopo le controversie cristologiche del V secolo, con la tradizione costantinopolitana, quella dell’Impero e della Corte. Così, a partire dal Medio Evo, la liturgia di Alessandria fu praticata solo dagli oppositori del Concilio di Calcedonia in Egitto e in Etiopia, e quella di Antiochia in Siria, in Palestina e in Mesopotamia, nonché dai Maroniti, che in seguito vi apportarono alcune modifiche. A coloro che sono in comunione con la Chiesa cattolica, la Santa Sede lascia normalmente il loro patrimonio. Un principio già affermato da San Leone IX: «La Chiesa romana sa che i diversi costumi secondo i luoghi e i tempi non sono di ostacolo alla salvezza dei credenti, quando un’unica fede, che opera con l’amore il bene che può, raccomanda tutti gli uomini ad un solo Dio». Tradizione alessandrina Questa tradizione si divise in due: egiziana ed etiopica. Essa dominò in Egitto fino al XIII secolo: quando fu abbandonata a favore della tradizione costantinopolitana. Dopo la conquista musulmana, l’Arabo sostituì a poco a poco il Greco, di cui restano solo poche tracce (Rito copto). In Etiopia e in Eritrea, la liturgia alessandrina subì profonde modifiche e si arricchì di nuovi testi, influenzati dai testi antiocheni. La lingua liturgica utilizzata è il Ge’ez, già lingua ufficiale nel V secolo, quando le prime traduzioni dei testi biblici e liturgici vennero fatte ad Axum (Rito Ge’ez). Tradizione antiochena Formatasi, dal punto di vista liturgico, a Gerusalemme e poi soprattutto ad Antiochia, e diffusasi in Palestina, in Siria e nella Mesopotamia settentrionale, questa tradizione si diffuse progressivamente a partire dalla seconda metà del XVII secolo tra i cristiani di San Tommaso, nell’India del Sud. I Maroniti hanno conservato la tradizione antiochena, con delle modifiche in senso latino (Rito maronita). Celebrata inizialmente in greco e in siriano, oggi è celebrata solo in siriano con molte parti in arabo, in particolare dai Siriani (Rito siro-antiocheno). I Malankaresi, cattolici di tradizione antiochena dell’India, usano, oltre al siriano, il malayalam (Rito siro-malankarese). Tradizione armena La tradizione armena si è sviluppata a partire dai testi antiocheni, con una notevole influenza dei testi cappadoci e bizantini, ma con una parte considerevole del tutto originale, fin dai tempi più antichi (Rito armeno). Nel Medio Evo furono introdotti degli elementi latini. La lingua liturgica è l’armeno classico, lingua ufficiale dell’Armenia del V secolo. In certe Eparchie del Patriarcato cattolico di Cilicia (a Sud-Est dell’attuale Turchia) è presente un utilizzo liturgico crescente della lingua araba. Tradizione caldea Questa tradizione si è sviluppata in maniera indipendente nell’antico Impero Sasanide, da cui la denominazione di «Rito persiano». A partire dal XVII secolo, a Roma è prevalsa la denominazione «caldea», ma nelle regioni abitate dai Caldei è chiamata «siro-orientale» (Rito caldeo). Questo patrimonio rituale fu trasmesso dai missionari di Mesopotamia nell’Asia centrale, in Cina e in India. L’uso del siriano, scritto e pronunciato in maniera molto diversa da quello usato in Siria, è stato conservato quasi esclusivamente nella liturgia. In Mesopotamia, alcune Chiese hanno preso l’abitudine di leggere in arabo le pericopi scritturali, e alcune altre formule. Il ramo più numeroso è la Chiesa siro-malabar che, secondo la tradizione, risale all’Apostolo San Tommaso; la lingua liturgica usata oggi è il malayamal (Rito siro-malabar). Tradizione constaninopolitana o bizantina Questa tradizione, spesso chiamata in Occidente «Rito greco», si sviluppò a Costantinopoli, l’antica Bisanzio, essenzialmente a partire dalla tradizione di Antiochia, ma con elementi provenienti da Alessandria e dalla Cappadocia (Rito greco o bizantino). Nel corso dei secoli, i testi liturgici e quelli relativi alla disciplina canonica di Costantinopoli, furono tradotti dal greco nelle lingue dei popoli sottoposti alla giurisdizione dei Patriarchi di Costantinopoli, Alessandria e Antiochia, aderenti alla fede di Calcedonia: prima in georgiano, siriano, paleoslavo e arabo, poi in rumeno e, più recentemente, in molte altre lingue. |