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Conoscere meglio la Chiesa: I Riti nella Chiesa il Rito Mozarabico ![]() La Cattedrale di Toledo, in Spagna, dove in una cappella viene celebrato quotidianamente il Rito Mozarabico La liturgia mozarabica
è un’antica liturgia latina della Spagna; venne codificata dai
concilii e dai Padri della Chiesa fin dal IV secolo e conobbe la sua
età d’oro nel VII secolo sotto il Regno dei Visigoti.
Cercando di sopravvivere sotto il dominio musulmano, finì quasi con lo scomparire dalla Spagna a favore della liturgia romana, per poi rinascere secoli dopo. Mozarabico, un nome contestabile Il nome mozarabico (Muzarabes, mostarabes), sia che derivi da musta’rab o da mixto-arabic, significa «arabizzato» ed indica la popolazione cristiana che, dopo l’invasione della Spagna nel 712, fu sottomessa al dominio degli Arabi. Applicato alla liturgia della Spagna è un termine improprio, poiché la liturgia che indica è anteriore alla conquista araba. In Effetti, questa liturgia fu per un periodo quella dei cristiani che non erano sottomessi agli Arabi, e non ha nulla in sé di specificamente mozarabo: al contrario, si può dire che i mozarabi si limitarono a mutuarla dalla vecchia liturgia ispanica o da altre liturgie. Tuttavia, questo nome ha prevalso ed è impiegato dalla maggior parte degli autori. Anche i nomi di Rito visigoto, Rito di Toledo, Rito Isidoriano o Rito Ispanico, Gotico o Spagnolo, con i quali si è proposto di rimpiazzarlo, non sono del tutto esatti. In ogni caso, questo termine indica una liturgia che fu propria della Spagna fin da quando se ne può ricostruire la storia e che fu mantenuta fino al XII secolo. Anche dopo la sua soppressione di fatto, esso continuò ad essere usato in alcune sporadiche chiese, per essere nuovamente ripristinato ufficialmente nel XVI secolo nelle chiese di Toledo, dove è usato ancora oggi, dopo la riforma seguita al concilio Vaticano Traguardi storici La liturgia mozarabica è basata sul latino. Il Rito è simile ad altre liturgie latine: italica (Roma, Aquiliea, Milano), africana, gallicana, celtica. Ha numerosi punti in comune con l’antico Rito delle Gallie. Sono presenti anche numerosi elementi bizantini. Questa liturgia ha un insieme coerente che presenta caratteristiche nazionali ben definite. I 18 Concilii di Toledo, svoltisi dal 400 al 702, e i Padri spagnoli del VI e del VII secolo, contribuirono a darle la sua organizzazione e soprattutto la sua fisionomia. I Santi Leandro e Isidoro di Siviglia, Giuliano e Idelfonso di Toledo, svolsero per questo Rito lo stesso ruolo che i santi Papi: Damaso, Leone il Grande, Gelasio, Gregorio Magno svolsero per il Rito romano. Sotto il Regno dei Visigoti, convertitisi alla fede cattolica, questi Padri organizzarono questo Rito. Questo lavoro congiunto dei grandi Dottori spagnoli produsse una delle liturgie più originali esistenti. L’invasione musulmana Dopo l’invasione musulmana del 711, i cristiani rimasti nella penisola, in base allo stato di dhimmi che l’Islam impose alla «gente del libro», poterono conservare i loro beni e praticare liberamente il loro culto, in cambio di una tassa pro-capite, la djizya, pagata al sovrano regnante. Numerosi nelle città di Toledo, Cordova, Siviglia e Medira, questi cristiani sottoposti all’autorità musulmana e designati a posteriori mozarabi godettero di una certa autonomia. Sebbene fosse loro vietato costruire nuove chiese, riuscirono a mantenere la gerarchia ecclesiastica. I loro vescovi erano convocati in Sinodi regolari sotto l’autorità del Metropolita di Toledo. Per quasi 4 secoli, i mozarabi rimasero isolati dal resto della cristianità, e così la loro liturgia, come le loro arti, si cristallizzò e cessò di evolversi. Questo spiega perché questo rito poté conservare numerosi arcaismi liturgici. Ma, a partire dall’XI secolo i Regni di Navarra e di Aragona adottarono la Regola di San Benedetto e il nuovo Rito Romano. A quel tempo, l’Ordine di Cluny inviava i suoi monaci per costruire dei monasteri lungo il Cammino di Santiago. Si trattò di una rivoluzione culturale che fu più difficile attuare nelle province appena occupate, dove mulsumani e mozarabi negoziarono la loro sottomissione come corpi costituiti. Il giudizio del fuoco Benpresto, i Regni di Navarra e di Aragona abbandonarono la liturgia mozarabica a favore della liturgia romana. Il Re Alfonso VI di Leon e Catiglia (1040-1109), figura determinante della Riconquista, cercò di introdurre il Rito romano nei suoi Stati al posto delle usanze mozarabiche. Davanti alla reale affezione del suo popolo per tali usanze, egli ritardò l’atto formale della loro soppressione. Ma nel 1080 promulgò l’abbandono del Rito Romano. Nel 1085, Toledo fu riconquistata, ma i Toledani rivendicarono la loro fedeltà all’antica liturgia di Sant’Isidoro e di San Giuliano. La Cronaca di Najera riporta l’autodafé che ebbe luogo in quel periodo: si gettò nel fuoco un Messale Romano e un Messale Mozarabico, quello che sarebbe bruciato sarebbe stato condannato a sparire da Toledo. Il Messale Mozarabico rimase nel fuoco senza consumarsi, il Messale Romano balzò fuori dal fuoco senza consumarsi. Il segno fu interpretato come una risposta di Dio perché i due Riti potessero coabitare. La popolazione poté continuare a celebrare la liturgia mozarabica in sei parrocchie di Toledo. Ma fuori da Toledo il Rito sparì un po’ dappertutto nei territori gradualmente riconquistati. Al di fuori delle sei parrocchie di Toledo, solo pochi luoghi molto rari mantennero la celebrazione del Rito mozarabico. Il luogo più notevole fu la Basilica di Sant’Isidoro di Leon, che era una necropoli reale. La Restaurazione del Cardinale Cisneros Francisco Jiménez, cardinale di Cisneros (1436-1517) fu una figura di spicco del Rinascimento spagnolo. Austero e ascetico francescano, egli fu scelto come confessore da Isabella la Cattolica, che lo nominò arcivescovo di Toledo e Primate di Spagna. In seguito, il cardinale Cisneros divenne un uomo politico di primo piano: egli assunse a più riprese la reggenza della Castiglia, e rafforzò il trono del giovane Carlo Quinto. Come Capo della diocesi di Toledo si preoccupò per il declino delle tradizioni mozarabiche nella città. Raccolse, allora, un gran numero di manoscritti mozarabici in tutto il Regno e fece stampare per la prima volta il Messale (1500) e il Breviario (1502) mozarabici. In tal modo, stampato, il Rito fu salvato. Il Rito Mozabarico restaurato da Cisneros fu pienamente riconosciuto nella Chiesa. I fedeli che lo praticavano avevano dei diritti particolari e formavano una comunità canonica, sia civile sia liturgica. Malgrado i tentativi di sopprimerla, essa venne mantenuta: attualmente ci sono 2000 fedeli appartenenti al Rito Mozabarico, sia per nascita sia per battesimo sia per matrimonio. Particolarità del Rito Mozabarico I] Prima della Messa 1. La Messa inizia con l’Introito, chiamato officium: esso è tratto sia dai Libri santi, sia dagli atti dei Santi di cui si celebra la festa. 2. Gloria in excelsis e colletta. Il Gloria è concluso col Per omnia sempre secula seculorum. Dopo il Per omnia della fine, il sacerdote recita una orazione. La colletta, chiamata oratio, è spesso rivolta direttamente a Cristo. Essa non ha né la sobrietà, né la precisione, né il ritmo della colletta romana. 3. Letture. Vi è una lettura dell’Antico Testamento, una di San Paolo e la terza è il Vangelo. La prima si chiama Prophetia, la seconda Epistola o l’Apostolo, la terza Il Vangelo. La Domenica, la Prophetia è soppressa. In Quaresima e nei giorni di digiuno vi sono quattro letture. 4. Psallendo. Dopo la Prophetia si canta il il Cantico dei tre fanciulli (libro di Daniele), con il primo versetto del Salmo Confitemini. Questa era anche l’usanza nella liturgia gallicana. Il Psallendo che segue è un responsorio che il cantore cantava dal pulpito. 5. Tratto. Gli antichi libri mozarabici contengono un Tratto, Tractus, che era cantato dall’ambone. Esso differiva dal Tratto romano per il fatto che il Tratto gregoriano segue il Graduale e sostituisce l’Alleluia, mentre il Tratto mozarabico sostituisce il Psallendo. 6. Preghiere diaconali. Oggi, il sacerdote prepara il Calice, ma un tempo era il diacono a farlo e doveva recitare le preghiere diaconali: esse sono una reliquia del passato, conservati anche nelle liturgie orientali, ma di cui la liturgia romana ha conservato solo rare vestigia. 7. Epistola. Dopo il canto del Psallendo e le preghiere diaconali, il sacerdote ordina il silenzio: Silentium facite, e il lettore legge l’Epistola che era comunemente chiamata come in Gallia, in Italia, in Africa e in altri paesi: l’Apostolo. 8. Vangelo. Il Vangelo fu subito riservato al diacono. Lo stesso come in Gallia. 9. Le Lauda. Segue il Vangelo. Esso si compone dell’Alleluia e da un versetto, tratto generalmente da un Salmo. Ed è cantato da un cantore. II] La Messa dei fedeli 1. Offertorio. Il Sacrificium che segue queste preghiere corrisponde all’Offertorio. Mentre il coro canta il Sacrificium, (il vescovo) i sacerdoti e i diaconi ricevono le oblazioni del popolo, il pane e il vino. Ad un segnale, il canto del Sacrificium è fermato e il sacerdote (o il vescovo) recita l’Accedam ad te. 2. Missa. Il sacerdote recita una orazione chiamata Missa. Poi menziona i sacerdoti che offrono, il Papa, i sacerdoti e altri chierici. Segue la commemorazione degli Apostoli, dei Martiri; l’elenco dei nomi dei viventi che è seguito da quello dei morti. 3. L’orazione Post nomina. La memoria dei morti non è separata dalla memoria dei viventi, come nella Messa Romana. Inoltre, i dittici in Spagna contenevano i nomi dei Santi, dei Patriarchi e dei Profeti dell’Antico Testamento. 4. L’orazione per la pace e il bacio della pace. Il bacio della pace, rinviato al momento della Comunione nella liturgia romana, in Spagna, come in Gallia e in Oriente, precede la consacrazione. 5 – Il Sacrificio o Canone. Esso inizia con l’inlatio o illatio, che rappresenta il Prefazio. L’illatio mozarabico termina con il Sanctus, e il Sanctus, in Spagna, come in Gallia, a differenza di Roma, è seguito da una orazione il cui titolo è sempre Post Sanctus. 6. Il Sanctus. L’illatio si conclude con un passaggio al Sanctus, che nella Messa mozarabica non è invariabile come nella liturgia romana e nella maggior parte delle altre liturgie. 7. Post Sanctus e Consacrazione. Il titolo Post Sanctus indica una orazione che è una parafrasi del Sanctus. Essa è passaggio tra il Sanctus e la Consacrazione, che si trova anche nelle liturgie greche e orientali. Un tempo esisteva una forma speciale della consacrazione, che è stata sostituita con la formula romana nel XVI secolo. 8. Orazione Post pridie. L’orazione Post pridie che segue la Consacrazione corrisponde a quella che nei libri gallicani è chiamata Post secreta o Post mysterium. Essa varia e talvolta è molto lunga. E’ una di quelle preghiere in cui la ricchezza dei Padri spagnoli ha dato libero sfogo. 9. Credo. Gli Spagnoli furono i primi in Occidente ad introdurre nella Messa la recita del Credo. Gli Spagnoli, come i Greci e gli orientali, collocandolo alla fine del Canone e prima del Pater, alterano in qualche modo l’equilibrio generale di questa parte della Messa. 10. Frazione. La frazione è complicata. Il sacerdote divide l’Ostia in nove parti che sono disposte a forma di croce, ed ogni parte ha un nome: incarnazione, natività, circoncisione, epifania, passione, morte, resurrezione, gloria e regno. La frazione è accompagnata da un canto. 11. Pater. Nella Messa mozarabica, il Pater è recitato come nella maggior parte delle liturgie. Esso si conclude con un embolismo (come nel Rito Romano) intitolato Liberati (Libera nos nel Rito Romano) 12. Commistione (commixtio). Dopo l’embolismo, il sacerdote prende sulla Patena il frammento dell’Ostia che corrisponde al gloria e lo mescola al Vino del Calice, con la formula: Sancta sanctis, «ciò che è santo per i santi», che proviene dalle liturgie orientali. 13. Benedizione. Il rito della Benedizione, in Spagna come in Gallia, segue il Pater. Il diacono avverte il popolo, quindi il sacerdote benedice con una formula variabile. 14. Comunione. La Comunione è preceduta da una orazione. Poi il sacerdote si comunica, consumando tutti i frammenti dell’Ostia secondo un ordine stabilito, quindi assume il preziosissimo Sangue. Dopo, i fedeli si comunicano con entrambe le specie, separatamente: il sacerdote distribuisce l’Ostia e il diacono fa loro assumere del Sangue dal Calice. Durante la Comunione si canta il Ad accedentes (Gustate e vedete quanto è buono il Signore). La cerimonia è seguita da un post-communio e da una completoria che varia a seconda dei tempi. 15. La fine della Messa viene annunciata come segue: il sacerdote saluta il popolo col Dominus sit, poi il diacono annuncia: «La nostra celebrazione è terminata. Nel Nome di Nostro Signore Gesù Cristo, Dio accetti in pace i nostri desideri e le nostre preghiere». Quindi congeda i fedeli. |