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Il beato Francesco Bonifacio (1912-1946) nell’80° anniversario del martirio ad opera dei comunisti titini ![]() Il beato Francesco Bonifacio Il Vescovo di Trieste Enrico Trevisi, nella lettera di ringraziamento a Papa Francesco per la sua visita pastorale del 7 luglio 2024, ebbe così a richiamare la missione di questa antica città imperiale oggi capoluogo della Regione Friuli-Venezia Giulia: «siamo una famiglia, una città che si è costruita attraverso l’apporto di tante culture e di tanti popoli ma anche di tante sofferenze e violenze: e noi vogliamo raccogliere la sfida di essere un laboratorio di pace e di dialogo anche per altre terre che ancora sono attraversate da tensioni e guerre. Intercedano i martiri Francesco Bonifacio, Miroslav Bulešić, Lojze Grozdè (un italiano, un croato e uno sloveno)» (mons. Enrico Trevisi, Un laboratorio di pace e di dialogo, in “L’Osservatore Romano”, 8 luglio 2024, p. 5). Il ricorso da parte del presule all’intercessione “per la pace” del sacerdote istriano (nativo di Pirano, oggi appartenente alla Slovenia ma provincia italiana dal 1923 al 1947) don Francesco Bonifacio (1912-1946), assume un significato particolare per la ricorrenza, il prossimo 11 settembre, dell’80° anniversario del suo martirio ad opera dei comunisti titini. Come documentato dalla recente biografia dello studioso istriano Mario Ravalico (Francesco Bonifacio. Vita e martirio di un uomo di Dio, Edizioni Ares, Milano 2025, pp. 256, € 20), il beato Bonifacio (è stato proclamato tale da Benedetto XVI il 4 ottobre 2008, riconoscendo che la sua morte è avvenuta in “odium fidei”) ha vissuto in prima persona tutti i terribili drammi del Novecento che hanno sconvolto l’Istria e la Venezia Giulia: dalla guerra all’armistizio, dall’annessione al Terzo Reich alla liberazione dall’occupazione nazista e, infine, la tragedia della dittatura dei cosiddetti “Poteri Popolari”, ovvero i comunisti della Jugoslavia del Maresciallo Tito [Josip Broz (1892-1980)]. Figura esemplare di sacerdote e pastore, don Bonifacio è rimasto fino all’ultimo minuto della sua breve vita tra la sua gente, testimoniando una fede limpida e sacrificata fino al crudele rapimento e “sparizione” avvenute l’11 settembre 1946. A tutt’oggi, la sua salma non è stata mai rinvenuta e, per questo, il Beato è definito come il “martire delle foibe”, ragion per cui la sua luminosa figura è stata per lo più nascosta o dimenticata per motivi di convenienza politica della sinistra italiana dalla storia e dalla coscienza collettiva nazionale. Per fortuna il libro di Mario Ravalico, conterraneo di don Bonifacio in quanto nativo anch’egli di Pirano e già autore di diverse pubblicazioni sul Beato, getta luce sul silenzio che per decenni ne ha avvolto la tragica fine, avvalendosi per questo non solo della Prefazione del già citato mons. Enrico Trevisi (nonché dell’introduzione dello storico Roberto Spazzali), ma anche del patrocinio dell’Istituto Regionale per la Cultura Istriano fiumano-dalmata (I.R.C.I.) e del sostegno della Comunità degli italiani di Crassiza, dell’Unione Italiana di Fiume e dell’Università Popolare di Trieste. Frutto di diversi anni di ricerche, il libro descrive per la prima volta in assoluto le circostanze della morte e del possibile luogo di sepoltura di don Bonifacio, attraverso una ricostruzione minuziosa e completa, l’ascolto di testimoni diretti, lo studio accurato in archivi, documenti e memorie. Mario Ravalico ha svolto negli scorsi decenni attività di studio e ricerca sul contesto politico sociale e religioso dell’Istria al tempo del martirio del beato Bonifacio, promuovendo – attraverso l’Azione Cattolica Italiana – la memoria, la diffusione e il culto del sacerdote-martire. Dagli anni dell’emergenza profughi dall’ex Jugoslavia Ravalico è stato, per oltre un decennio, direttore della Caritas diocesana di Trieste, anche avviando progetti di collaborazione e di reciprocità con alcune Caritas diocesane nei Paesi della ex Jugoslavia. È significativo come le indagini di Ravalico siano iniziate su spinta di mons. Giuseppe Rocco, l’ultimo ad aver incontrato don Bonifacio vivo poche ore prima della sua sparizione, e sono proseguite fino ad oggi anche grazie al sostegno del governo croato, tramite la legge votata dal Sabor (Parlamento) nel marzo 2011 e che prevede «la ricerca delle persone scomparse durante e dopo il Secondo conflitto mondiale, vittime dei crimini commessi dal regime comunista jugoslavo, la loro identificazione e la degna sepoltura dei loro resti». Le ultime notizie certe che finora si avevano di don Bonifacio, curato dal 1939 nel piccolo borgo di Crassiza, nell’Istria settentrionale, è che fu prelevato l’11 settembre 1946 da una pattuglia riconducibile alle “Guardie del popolo” comuniste presenti nell’Istria sotto l’occupazione Jugoslava e “fatto sparire” misteriosamente lungo una strada di campagna. Da allora, del suo corpo non si ebbe più notizia. Il nome di Francesco Bonifacio divenne d’allora simbolo di un’intera stagione di persecuzioni religiose e repressioni ideologiche nell’Istria del dopoguerra, oltre che di una verità a lungo negata, ma grazie a Dio mai del tutto dimenticata. Il contesto storico in cui si verificò la scomparsa del beato Bonifacio era segnato da gravi tensioni politiche e militari, violenze, intimidazioni e una crescente ostilità verso la comunità cattolica da parte del regime comunista jugoslavo. Nell’estate del 1946, a guerra ormai conclusa, mentre a Parigi si decidevano i confini della Venezia Giulia e dell’Istria, numerosi sacerdoti si videro costretti a fuggire, molti dei rimasti vennero perseguitati: tra loro, don Miroslav Bulešić (ucciso), mons. Jakob Ukmar (ferito), don Izidor Zavadlav (ucciso), don Giovanni Pinesi (minacciato di morte) e don Francesco Bonifacio, colpevole solo di non aver voluto abbandonare la propria comunità anche se significava esporsi alla persecuzione e al martirio. Ma perché don Bonifacio fu arrestato? Dove sono i suoi resti? Perché il suo martirio, pur riconosciuto dalla Chiesa con la beatificazione, ha dovuto scontare per così tanto tempo i silenzi e le omissioni di alcuni degli ambienti ecclesiastici e civili delle diocesi di Trieste e Capodistria? Sono queste le domande che hanno guidato e continuano a guidare lo studioso Mario Ravalico per un’indagine che oltre che storica è anche morale, puntando a riaccendere una luce su una delle pagine più oscure della storia del Novecento. |