Fase terminale

dei rapporti giudaico-cristiani


di Don Curzio Nitoglia


Gli articoli dell'Autore sono reperibili sul suo sito
https://doncurzionitoglia.wordpress.com/








Dalla shoah al Mondialismo pienamente realizzato


Premessa

Scrivo queste righe per evidenziare la gravità, oramai “terminale”, della situazione in cui ci troviamo a vivere da circa 10 anni (rivolte arabe, crisi del dollaro e dell’euro assommate, affrontamento di Usa/Israele e Russia/Cina/Iran nella regione della Siria, Palestina, Libano e Ucraina).

La situazione può essere definita apocalittica – come citerò in basso – sia da autorità rabbiniche che da autorità ecclesiali.


“Inizio” della Globalizzazione:

la “prima svolta teologica” giudaico-cristiana del 1965


La Globalizzazione religiosa o il “Tempio universale”

Prima del Vaticano II la distinzione e contrapposizione tra Cristianesimo (che crede nella divinità di Gesù e nella SS. Trinità) e Giudaismo talmudico o post-biblico (che nega la divinità di Cristo e la Trinità) era pacifica.

Tanto per rifarci ai Documenti pontifici più recenti, nell’Atto di Consacrazione al S. Cuore di Gesù scritto da LEONE XIII (1900) e reso, per ordine di PIO XI, da recitarsi obbligatoriamente nella Festa di Cristo Re (1925) da parte dei sacerdoti si legge: “Siate Re di tutti quelli che sono ancora avvolti nelle tenebre dell’idolatria o dell’islamismo […]. Riguardate con occhio di misericordia i figli di quel popolo che un giorno fu il prediletto: scenda anche sopra di loro [come lavacro di Misericordia, ndr] il Sangue già sopra di essi invocato [come ammissione della loro responsabilità, ndr]”.
Questa preghiera era letta nella Chiesa universale sino al 1962 e fu abrogata da Giovanni XXIII.

D’altro canto PIO XI nell’enciclica Mit brennender Sorge del 1937 ha scritto: “Il Verbo avrebbe preso carne da un popolo che poi Lo avrebbe confitto in Croce”.
Questa era la dottrina comune della Chiesa, contenuta nelle fonti della Rivelazione (Tradizione e Scrittura), insegnata costantemente dal Magistero pontificio.


Le altre “perle” del post/concilio

Il 26 gennaio 2011 su Avvenire (il quotidiano della “Conferenza Episcopale Italiana”), è apparso un articolo della professoressa israelita ANNA FOA intitolato: “Nel dopoguerra la vera svolta nella teologia” in cui si legge:

«Non vi è dubbio che il mutamento dei rapporti tra Chiesa ed Ebraismo verificatosi con il Concilio Vaticano II e con la Dichiarazione Nostra aetate abbia avuto le sue radici nel trauma della shoah. […]. Nostra aetate fu una svolta radicale, […] che aprì la strada a una vera e propria rivisitazione teologica del rapporto con l’Ebraismo, destinata ad approfondirsi […], introducendo l’idea, per dirla con Giovanni Paolo II nella sua visita in sinagoga romana del 1986, che la religione ebraica non fosse “estrinseca”, ma in un certo qual modo “intrinseca” alla religione cristiana. La presa di coscienza determinata dallo sterminio di sei milioni di Ebreimodificato in profondità non solo i rapporti tra Ebrei e Cristiani, ma le basi teologiche stesse su cui tali rapporti si fondavano» (p. 26).

Sempre sul medesimo quotidiano, lo stesso giorno e nella medesima pagina, un articolo del priore di Bose (provincia di Biella) ENZO BIANCHI, “Intorno al Concilio la convergenza tra le Fedi”, ci spiega che «la svolta storica cui abbiamo assistito in questi ultimi cinquanta anni, svolta cui non è stata certo estranea la tragedia del “male assoluto”» è talmente epocale che «nessun Cristiano potrà più invocare l’ignoranza a propria scusante: ciascuno è e sarà responsabile in prima persona di una conferma o di una contraddizione a questa svolta».

Inoltre, Bianchi continua, scrivendo, che «Giovanni Paolo II […], il 17 novembre 1980 a Magonza pronuncia una formula inedita, anzi contraddittoria a diciannove secoli di esegesi e teologia cristiana, in cui gli Ebrei sono definiti “il popolo di Dio dell’Antica Alleanza che non è stata mai revocata”. […]. Si può notare la novità e l’audacia rispetto a tutto il Magistero ecclesiastico precedente. […]. La teologia della sostituzione è così abbandonata per sempre». L’ermeneutica della rottura trova spazio sulle pagine del quotidiano dell’Episcopato Italiano, il cui Primate è il Papa, che però sostiene, ma non dimostra (1), l’ermeneutica della continuità.



NOTA

1 -   B. GHERARDINI, Concilio ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, Frigento - Avellino, 2009.




 
luglio 2025
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