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Lo storico Lee Mordechai: Ecco perché documento i crimini israeliani in corso a Gaza ![]() Il professor Lee Mordechai che insegna storia all’Università ebraica di Gerusalemme Dall’ottobre 2023 Lee Mordechai raccoglie in un sito
migliaia di testimonianze e documenti sulla sproporzionata risposta di
Israele all’attacco di Hamas,
perché nessuno possa dire: «Io non sapevo».
Il professore ne è convinto: parlare di genocidio a Gaza non è fuori luogo. Intere famiglie di Gaza spazzate via ramo dopo ramo, come i 270 membri della famiglia di Youssef Salem che risultavano uccisi o scomparsi al giugno 2025. Lo strazio di Mohammad Abu Al Qumsan che era andato a registrare la nascita dei suoi due gemelli, e quando è tornato a casa ha trovato i piccoli, la moglie e sua madre fatti a pezzi da un raid israeliano che ha raso al suolo l’abitazione (nota 372). Un padre ucciso con le sue cinque figlie e l’unico figlio sopravvissuto di 7 anni, il piccolo Ali Faraj Faraj, catapultato dall’esplosione del missile israeliano sul tetto della casa dei vicini tra i brandelli dei corpi della sua famiglia (nota 375). Il sito, e rapporto, dello storico israeliano Lee Mordechai Bearing Witness to the Israel-Gaza War, ovvero Rendere testimonianza della guerra a Gaza, è stato definito dal quotidiano Haaretz «la più metodica e dettagliata documentazione esistente in ebraico (è disponibile anche la versione in inglese) dei crimini di guerra che Israele sta perpetrando a Gaza». «Che nessuno poi dica: “Io non sapevo”» «Da cittadino israeliano e storico di professione – afferma Mordechai in un colloquio in video con Terrasanta.net – ho deciso di rendere testimonianza degli eventi che si succedono a Gaza per fare memoria di quanto sta avvenendo: perché nessuno possa dire fra 5, 10 o 30 anni “noi non sapevamo, non immaginavamo”. Quelli fra noi che non sanno, hanno scelto di non sapere. Non ho mai avuto o cercato incarichi politici, ma non posso tacere di fronte a quello che, per l’enorme mole di prove che ho visto, non esito a definire genocidio dei Palestinesi di Gaza: in questo senso le ragioni di questo lavoro sono politiche e morali». Lungo le 232 pagine e le oltre 2.100 note a piè di pagina aggiornate al 5 luglio 2025 con i riferimenti alle migliaia di fonti, link, video, testimonianze oculari, inchieste, foto scorrono gli orrori di questi oltre 21 mesi di raid che hanno provocato oltre 57mila morti insieme a centinaia di migliaia di mutilati e feriti e l’uso della fame e del rifiuto di aiuti umanitari come armi di guerra. Il rapporto è anche espressione della vitalità della società civile israeliana contraria al massacro in corso che, «benché nell’impotenza» e nella consapevolezza di costituire una minoranza come ammette lo studioso, non volge lo sguardo altrove di fronte alle responsabilità morali che Israele si assume davanti al mondo. Gli Israeliani in una bolla Ex ufficiale dell’esercito nei corpi di combattimento, 42 anni, Mordechai è professore associato di Storia antica e medievale all’Università ebraica di Gerusalemme. Il 7 ottobre 2023 si trovava negli Stati Uniti per un anno sabbatico alla Princeton University. «Quando hanno cominciato a diffondersi le prime notizie – racconta – da noi era pomeriggio: mi sono reso conto fin dalle prime ore della dissonanza fra quanto veniva trasmesso dai media israeliani e dai social media e quanto veniva riferito dalla Cnn, dalla Bbc, dai media internazionali e anche dai media arabi». Nove anni prima, in effetti, di ritorno da una ricerca nei Balcani mentre nella Striscia di Gaza infuriava l’operazione denominata dalle forze armate israeliane Scudo protettivo, Mordechai aveva percepito «l’assenza di un discorso pubblico aperto in Israele» e aveva elaborato un proprio metodo per informarsi, assumere diversi punti di vista e notizie che non trovava sui media in ebraico. Il 7 ottobre ha automaticamente attivato quell’approccio conoscitivo. «Nei giorni successivi all’attacco di Hamas è diventato ancora più evidente che era come se gli Israeliani vivessero in una bolla: bastava aprire i social media per vedere la pervasività delle “camere dell’eco” dove venivano ripetuti e condivisi ossessivamente i racconti dei sopravvissuti all’attacco e il dramma degli ostaggi. Ciò che mi ha sorpreso di più è che non fossero interessati ad ascoltare quello che gli altri stavano dicendo, quale fosse il punto di vista dei Palestinesi. Era come se Israele vivesse in una realtà separata; in un certo senso è così ancora oggi, quasi due anni dopo». Con il passare dei mesi lo studioso è rimasto colpito anche dal silenzio del mondo accademico israeliano e statunitense sulla gravità di quanto stava avvenendo. «Ho avvertito l’esigenza di registrare e ricostruire gli eventi che si susseguivano sotto i nostri occhi, ho pensato che con gli strumenti del ricercatore potevo dare voce a chi non ha voce – racconta – e raccogliere le prove dei crimini che Israele stava commettendo. All’inizio nessuno ha prestato attenzione a quanto andavo pubblicando sui social media, citando le fonti e le testimonianze da Gaza. Poi all’improvviso è diventato virale e sempre più persone hanno iniziato a contattarmi per raccontarmi le loro storie e segnalarmi altri episodi. Mi sono reso conto di quanto questo lavoro fosse necessario e che era alla mia portata farlo». Quando si disumanizza un popolo Il risultato è un durissimo, articolato e dettagliato atto d’accusa composto da migliaia di dati, fatti e circostanze afferenti alla distruzione di Gaza e alle azioni del governo, dei media, dell’esercito israeliano (con le sue regole di ingaggio tenute segrete) e della società israeliana in generale. In una sezione dedicata alla disumanizzazione del nemico, lo storico documenta centinaia di esempi del comportamento crudele messo in atto dai vertici dello Stato, ma anche dai militari, contro gli abitanti di Gaza, definiti «esseri bestiali». «Il discorso pubblico israeliano – rimarca il professore – ha disumanizzato i Palestinesi al punto tale che la maggioranza degli Ebrei israeliani appoggia la pulizia etnica e l’utilizzo della fame, della sete e del rifiuto di assistenza sanitaria come armi di guerra. La disumanizzazione è stata condotta dalle più alte cariche dello Stato, continua ad essere sostenuta attraverso le infrastrutture statali e militari ed è stata resa possibile dal sostegno della maggior parte dei media in Israele e in Occidente, a cominciare da Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania». Fin dall’inizio, osserva l’accademico, Israele ha intrapreso una campagna mediatica che enfatizza gli orrori del 7 ottobre mescolando fatti documentati ad altri dei quali non sono state fornite le prove, impedendo l’ingresso di giornalisti a Gaza, screditando voci critiche fuori Israele, e controllando il flusso di informazioni interno per orientare l’opinione pubblica israeliana a favore della guerra. «Il risultato è che le narrazioni ufficiali e i media rimangono prevalentemente e acriticamente a favore della guerra, con l’autocensura praticata tanto dalle istituzioni quanto dagli individui». Lo studioso è andato aggiornando e ampliando le diverse sezioni: oggi il rapporto raccoglie migliaia di segnalazioni e documenti probatori, molti dei quali trovati semplicemente navigando e raccogliendo video di violenze e atti vandalici postati dai soldati e da coloni israeliani sui loro account social. Figurano le prove di una donna anziana uccisa da una fucilata mentre teneva per mano il nipotino e nell’altra sventolava una bandiera bianca; due ragazze travolte e uccise dalla calca mentre tentavano di procurarsi del cibo nei punti di distribuzione; detenuti denudati, bendati e umiliati; soldati che vandalizzavano scuole, Università, moschee postando sui loro profili social dileggi e offese. «Non salverò il mondo, ma…» La sezione dedicata alle regole di ingaggio dell’esercito israeliano, tenute nascoste al pubblico fin dal 2018, evidenzia come «le vite dei Palestinesi valgano incredibilmente poco», al punto che è stato rivelato che ai soldati è permesso uccidere anche in casi di pericolo non imminente o in casi in cui non era possibile identificare un Palestinese percepito come una minaccia o un pericolo imminente per l’esercito. Nel giugno 2025 un riservista ha ammesso che «di Gaza non gliene importa più niente a nessuno. È diventato un posto con le sue proprie regole di ingaggio. Le perdite di vite umane non interessano più a nessuno, non costituiscono neppure uno sfortunato incidente come dicono nell’esercito». Ne sono prova tra l’altro le centinaia di Palestinesi uccisi negli ultimi due mesi dal fuoco dell’esercito mentre facevano la fila per avere del cibo, o gli ordini di far saltare in aria le macerie degli edifici distrutti senza nessun chiaro obiettivo strategico o scopo militare. «Non penso di salvare il mondo – chiosa Mordechai – e non mi aspetto che questo lavoro possa portare cambiamenti tangibili a breve termine. Mi ritengo solo un anello di una catena molto più grande di un singolo individuo: altri mi hanno ispirato e io stesso spero di ispirare altri a continuare quello che stiamo facendo e a denunciare ad alta voce questo genocidio. Chi salva una persona salva il mondo intero, e forse anche riuscire a far cambiare idea a una persona o farle comprendere un aspetto della realtà che non aveva considerato prima… ecco già questo mi fa ritenere di aver raggiunto l’obiettivo». |